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Premio Dona 2014: Massimiliano Dona (UNC): ‘Consumatori sempre più attivi nell’era della sharing economy’

Massimilano Dona

Signore e signori, benvenuti al “Premio Vincenzo Dona”, anno 2014! E grazie a Francesco Pezzulli, uno dei più famosi doppiatori italiani, per averci dato in prestito come l’anno scorso, la sua voce (la voce di Leonardo Di Caprio), con la quale possiamo accogliervi nello scenario incantevole del Teatro Argentina!

Il mio benvenuto alle Autorità presenti in sala, ai nostri ospiti qui, ogni anno più numerosi, e un saluto a chi ci segue da casa: colgo l’occasione così per ringraziare Sky,  partner della manifestazione, che trasmetterà in diretta questa mattinata sul canale 505.

Siamo all’ottava edizione del Premio Vincenzo Dona, evento promosso dall’Unione Nazionale Consumatori per ricordare il fondatore del consumerismo in Italia. Negli anni questo nostro appuntamento è stato capace di stimolare la riflessione sui temi di volta in volta più attuali per i consumatori ed ecco perché, abbiamo deciso di dedicare questa edizione al “nuovo”. Il nuovo, badate bene, e non l’innovazione, termine che mi sembra già vecchio per essere richiamato stancamente in ogni contesto nel quale ci si appelli al suo potere salvifico…

Rivolgiamo invece lo sguardo al “nuovo”, per come ve lo abbiamo appena presentato nella nostra sigla di apertura: quelle belle immagini che avete visto correre dallo spazio (tornato d’attualità in questi giorni con la prima donna-astronauta italiana) alla vita di tutti i giorni. Già perché per noi il nuovo è discutere di trend di consumo, sharing economy, nuovi paradigmi nella relazione tra imprese e consumatori..

 

“Cresce la cultura del nuovo” (abbiamo giocato sulla duplice accezione del termine “cultura”, intendendola anche in quella antica di “coltivazione”) e proprio per questo abbiamo consegnato ai nostri ospiti qui un bagde che contiene alcuni semi che ciascuno di noi potrà “allevare” come simbolo della nostra cura per il nuovo. Insomma, come sarà subito chiaro dando uno sguardo all’immagine che ci accompagna in questa scenografia, pensiamo il nuovo come un fatto naturale, un fenomeno che cresce intorno a noi come fa un virgulto che si sviluppa, diventa albero, senza chiederci ragioni e senza avvertirci se domani vorrà portare frutti.

A proposito di “frutti”, ecco il primo della nostra mattinata: vorrei parlarvi del “pro-sumer”. E’ un modo per spiegare il nuovo ruolo al quale siamo chiamati come consumatori all’interno di dinamiche di acquisto che stanno evolvendo rapidamente. Cambia il mercato, che non possiamo più vedere suddiviso nettamente tra chi produce e vende da un lato; chi acquista e consuma dall’altro! Oggi questi due ambiti (produttori e consumatori) si presentano sempre meno distanti, anzi, in qualche caso ci appaiono così interconnessi da essere difficile distinguere il ruolo del produttore da quello del consumatore. Per questo sempre più spesso sentiamo parlare, appunto, di “pro-sumer”, un po’ producer, un po’ consumer.

Mi riferisco a tutti quei fenomeni nei quali siamo chiamati ad interagire con i meccanismi dell’impresa e il consumatore moderno risulta quasi “innestato” (proseguendo nella metafora naturalistica) nello processo industriale: per spiegarmi più concretamente potrei dire che… in principio fu Ikea a convincerci abilmente che fosse “divertente” montare un mobile presso la nostra abitazione e pure proprio così si cominciò ad assegnare al consumatore un ruolo (per l’appunto l’assemblaggio finale di un pezzo d’arredamento) che fino ad allora era tipicamente opera del produttore. E’ evidente che in questo modo l’impresa riduce i suoi costi, ma c’è di più: nel coinvolgere il consumatore si riesce a fidelizzarlo, si può raccogliere un feedback utile a realizzare nuovi prodotti, si trasforma l’atto di acquisto in una “conversazione”.

E da parte sua certamente il consumatore ne trae il vantaggio di un risparmio, ma a sua volta impara a conoscere meglio prodotti e servizi, può aspirare a farsi ascoltare e riuscendo forse anche a reperire sul mercato beni più fedeli alle sue esigenze, quasi su misura, “customizzati”.

Un altro progenitore dell’economia collaborativa è stato eBay, quello del 1996, però, quando era solo un bazaar online di oggetti usati dove gli utenti si scambiavano tra loro qualcosa attraverso un portale che aveva il suo margine di guadagno. Anche qui il consumatore dà un contributo e partecipa al funzionamento del portale (vale ormai per tutti i grandi store online) nel momento in cui condivide l’esperienza di acquisto, offre i propri commenti, giudica un prodotto con una recensione. E’ un’altra delle parole magiche, dei frutti dell’albero del nuovo, lo chiamiamo modernamente “rating”, è la possibilità per ogni consumatore di dire la sua, di commentare, di valutare un prodotto o un servizio e di socializzare questa sua opinione a beneficio di un pubblico potenzialmente sterminato.

Naturalmente oggi il fenomeno ha assunto molteplici declinazioni, dall’appariscente car-sharing alle nuove dinamiche alberghiere, senza dimenticare altre declinazioni collaborative: dalla banca del tempo (che consente di mettere a disposizione qualche ora del nostro lavoro per il giardinaggio o il baby sitting), agli orti urbani fino a farvi rientrare anche i mercati a Km0 (in tutte queste situazioni a “venderci” qualcosa sono altri consumatori e ciò spiega perché parlavo di confusione di ruoli tra domanda e offerta).

Insomma, il mantra di questa nuova economia sembra essere questo: “non possedere niente, ma usare tutto”.

E’ vero che, per la maggior parte, si tratta ancora di fenomeni di nicchia e non dobbiamo cedere alla retorica della condivisione (c’è poi sempre un certo tasso di demagogia o -peggio- di furbizia ad accompagnare il nuovo), ma sono segnali: prendiamo il crowd funding (altra forma collaborativa) o gli investimenti etici o i prestiti solidali: sono gocce nell’oceano della finanza, ma comunque hanno prodotto una incursione in un mondo finora dominato esclusivamente dalle banche tradizionali.

Non possiamo tacere neppure -badate bene- che alcune iniziative sono border-line rispetto a norme e regolamenti: avrete sentito di polemiche e proteste che hanno accompagnato alcuni di questi nuovi modelli di business. E questo è un motivo in più per evitare l’errore di accogliere in modo a-critico tutte queste novità in nome del nuovo. Come Associazione dei consumatori sappiamo bene che siamo chiamati ad accompagnare i cittadini attraverso questi cambiamenti, senza enfatiche esaltazioni, ma “collaborando” allo sviluppo di una nuova consapevolezza che potrà forse persino aiutare la società a reagire alle difficoltà del nostro tempo.

Durante la mattinata, attraverso molte testimonianze, ci proponiamo di quindi di spiegare come il nuovo va “ramificandosi” intorno alle esistenze dei consumatori, le sta cambiando, stimolandoci alla scoperta di nuovi paradigmi (basterebbe accennare che in pochi anni abbiamo assistito alla comparsa di 13 nuove piattaforme sociali e 8 nuovi devices, gli utimi quelli indossabili). Basterebbe raccontare di cosa sono capaci le stampanti 3D; potrei citare il crescente numero di prodotti, oggetti del nostro quotidiano, elettrodomestici che già sono collegati online e che danno vita alla cosiddetta “Internet delle cose”.

Ma quest’oggi non racconteremo, necessariamente, il “nuovo tecnologico”, faremo un viaggio tra i nuovi fenomeni che interessano le nostre esistenze di consumatori. Cose nuove e cose non più nuove da guardare con occhi nuovi, così a pensarci bene le parole che faranno da filo conduttore alla sono quelle del “new normal” (della nuova normalità). Nuovi modi di vivere e di consumare che potremmo riassumere così: it’s time to share. Per questo si parla di sharing economy, un nuovo paradigma che, nella società iper-connessa, coinvolge i consumatori, promette nuovi scenari alle imprese, ma anche alla società: non solo una forma di risparmio dettata dalla crisi (come sostengono i suoi detrattori), ma un diffuso atteggiamento solidale e sostenibile che si sta sviluppando oltre ogni aspettativa e che stimola crescente interesse e tanta voglia di saperne di più… Chi lo ha provato è contento: “funziona davvero”, “mi piace”, “è il futuro”. Sono queste le voci di coloro che hanno messo in pratica le forme collaborative della sharing economy. E ne sono subito diventati divulgatori e testimonial.

Alcuni dati: nell’anno in corso, solo in Italia il 13% della popolazione ha usato almeno una volta servizi in sharing (oltre 7 milioni di persone), sono nate 136 piattaforme collaborative, nel mondo un mercato globale da 26 miliardi di dollari… Secondo il Time, stiamo parlando di una delle 10 idee che cambierà il mondo!

Negli Stati Uniti, in questo istante, migliaia di persone attraverso internet già condividono, scambiano, rimettono in circolo beni e competenze. “Consumo collaborativo”, l’hanno chiamato Rachel Botsman e Roo Rogers nel loro libro “What’s mine is yours” (quel che è mio è tuo). Significa che tutto può essere prestato, barattato o condiviso: dai giocattoli all’orto, dal trapano alla falciatrice (presi in prestito dal vicino di casa o da un amico).

Forse è esagerato celebrare l’addio definitivo alla cultura dell’io, affermare che un giorno la proprietà ci sembrerà anacronistica. Ma in fondo sarete d’accordo con me: perché comprare un trapano se mi serve solo una volta al mese?

I vantaggi per i consumatori sembrano evidenti: si ha la sensazione di fare affari, di ridurre gli sprechi, aiutando in qualche modo l’ambiente si stima che ogni auto in sharing consenta di fare a meno di 15 vetture tradizionali). Ma per condividere, bisogna fidarsi (trust and share) e qui sta, forse, la vera novità: nel mondo dello sharing si sta riaffermando un rispetto delle regole che altri comparti sembrano aver dimenticato (questo accade perché nell’universo digitale tutti ci auto-dichiariamo, ci conosciamo e chi sbaglia viene espulso).

C’è da crederci? Abbiamo il dovere chi credere al nuovo, anche se, d’altro canto, non possiamo nasconderci che il cambiamento è una sfida. Ce lo spiegano bene le forze che si stanno opponendo a questi nuovi paradigmi in una sorta di confronto tra nuove e vecchia economia: proteste in piazza, rincorsa all’adozione di nuove norme o all’adeguamento di quelle esistenti.

Ma non sarà una nuova norma ottusa a fermare il cambiamento. È bene che tassisti e albergatori lo sappiano…. Lo dice la storia: nel 1865 nel Regno unito, alla comparsa delle prime auto, si stabilì che questi strani veicoli potevano circolare solo a passo d’uomo e dietro un agente con una bandiera rossa in mano in segno di pericolo. Non servì a salvare le carrozze con i cavalli!

Non mi nascondo, certo, che ci sarà bisogno di tempo, perché i consumatori si approprino definitivamente di questo ruolo (e le parole di Jeremy Rifkin -profeta del commons collaborativo che ascolteremo a fine mattinata- potranno sembrarci quelle di un visionario), ma a vederlo così questo scenario, pur non volendo esagerare con la retorica, mi sembra un modello di capitalismo che potrebbe funzionare un po’ meglio del precedente.

E siamo alle conclusioni: non ci resta che prendere consapevolezza del fatto che i protagonisti abilitanti di questo nuovo modello siamo tutti noi! Consumatori da un lato, imprese dall’altro… Dobbiamo chiederci se i manager saranno all’altezza (let’s fire all the managers?), ma anche se i rappresentanti dei consumatori sapranno comprendere questi fenomeni. Da parte nostra vediamo cambiare il consumatore giorno dopo giorno: il nostro stakeholder da acquirente si fa più spesso utilizzatore, talvolta la sua controparte non è più l’impresa tradizionale, ma un altro privato. Giuridicamente si aprono scenari nuovi e forse qualche vulnus negli apparati di protezione che oggi conosciamo.

Ma il messaggio è chiaro: neppure le associazioni dei consumatori potranno restare uguali a se stesse, ferme alle logiche e agli strumenti utilizzati fin qui: noi dell’Unione Nazionale Consumatori accettiamo la sfida, perché intravediamo nei fenomeni collaborativi un nuovo percorso di sviluppo e progresso.

Questo dunque è il mio messaggio conclusivo: come possiamo non credere al nuovo?

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