nota diplomatica

Preferisco non sapere, crescono nel mondo gli ‘obiettori’ ai notiziari

di James Hansen |

Uno studio del Reuters Institute dell’Università di Oxford — il Digital News Report 2022, basato su dati raccolti in 46 mercati distribuiti su sei continenti — rivela infatti che una parte ormai molto consistente e in crescita della popolazione mondiale sceglie deliberatamente di evitare di seguire le notizie.

James Hansen

È facile supporre, anche se ne avremo la certezza solo più avanti, che siamo entrati in una fase di ‘mutamento di paradigma’ su vasta scala. Presupposti fondamentali, come perfino il distinguo socialmente basilare tra i due sessi, uomini e donne, vacillano e una macchina ben oliata come la finanza internazionale inizia a mostrare crepe evidenti. Può darsi che la pandemia COVID verrà un giorno considerata il colpo di grazia, come pure il ritorno dopo tanti anni della minaccia atomica.

Comunque sia, la coincidenza di tanti elementi nefasti alimenta la convinzione che si stia chiudendo una lunga e complessivamente piacevole epoca d’oro. In queste circostanze, non sarebbe una sorpresa se la reazione del grande pubblico—la massa che sente di dover solo subire gli eventi—fosse quella di volerne sapere il meno possibile.

È esattamente ciò che – anche grazie alla veloce avanzata delle nuove tecnologie di comunicazione – sta succedendo ora. Uno studio del Reuters Institute dell’Università di Oxford — il Digital News Report 2022, basato su dati raccolti in 46 mercati distribuiti su sei continenti — rivela infatti che una parte ormai molto consistente e in crescita della popolazione mondiale sceglie deliberatamente di evitare di seguire le notizie, soprattutto perché ‘rovinano il buon umore’. Negli ultimi 5 anni gli ‘obiettori’ ai notiziari sono arrivati al 54% della popolazione in Brasile e al 46% nel Regno Unito.

L’effetto di tutto ciò sulla ‘classica’ stampa convenzionale è evidente, come nel caso de Il Sole 24 Ore, fino a tempi relativamente recenti un’istituzione unica, il maggiore giornale economico d’Europa, con una circolazione superiore a quella del Financial Times inglese. Finiva sulla scrivania di ogni dirigente d’azienda in Italia. Che fine ha fatto oggi? Ha dovuto abbandonare la fastosa sede di Via Monte Rosa a Milano, progettata da Renzo Piano, per trasferirsi in uffici anonimi dell’Urban Cube alla Bicocca: a ‘inculandia’ secondo un frequentatore. Lì il giornale sopravvive con le unghie e con i denti.

Ad oggi, secondo lo studio Reuters (qui), la testata giornalistica più letta del Belpaese dovrebbe essere Fanpage, registrata nel 2011 partendo da una pagina Facebook e ormai composta da una redazione indipendente di 60 giornalisti/collaboratori. È leggera, popolare, parecchio orientata alla cronaca nera e al ‘celebrity gossip’, ma dà le notizie e non è fatta male—anche se non è certo una testata di approfondimento’.

I tempi cambiano, e non sempre a un ritmo graduale. Chiudere gli occhi davanti a questi stravolgimenti è molto umano e forse, in fondo, una reazione ragionevole all’eccesso di novità—di cui troppe sgradite. “Wake me when it’s over”, si dice in inglese, ‘svegliatemi quando è finita…’