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Posteraro (Agcom): “Regolare il mercato dei dati con una norma europea per fermare la dittatura dell’algoritmo”

L’evoluzione della tecnologia e il conseguente mutamento dei modelli di business hanno fatto sì che l’esigenza di tutelare la posizione dei consumatori si ponga oggi con urgenza ancora maggiore di quanto accadesse nel passato.

I mercati digitali hanno infatti assunto un assetto rigidamente oligopolistico – e non c’è bisogno di sottolineare quanto la mancanza di concorrenza si rifletta negativamente sui consumatori – a causa del ruolo dominante delle grandi piattaforme. Le piattaforme controllano in tutto e per tutto l’accesso a questi mercati: mettono fuori gioco gli operatori più piccoli grazie alle economie di scala consentite dalle loro grandi dimensioni e assorbono le start-up più innovative avvalendosi delle loro enormi risorse finanziarie. Questa posizione egemonica dei big tech sembra per di più destinata ad espandersi ulteriormente in quanto è in corso un rapido processo di digitalizzazione, che investe, in prospettiva, non solo l’intero settore terziario, ma anche – grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale – alcuni rami dell’industria.

Il vantaggio competitivo pressoché incolmabile di cui godono i giganti del web dipende da una serie di fattori. Mi riferisco per un verso alla sostanziale esenzione da obblighi tributari, ottenuta grazie all’essersi stabiliti in paradisi fiscali che l’UE tollera al proprio interno; e – aggiungo – grazie alla persistente vigenza, nel diritto europeo, del principio del Paese d’origine, che crea, in mancanza di armonizzazione delle legislazioni, disparità distorsive della concorrenza nei singoli mercati nazionali.

Ma la vera chiave di volta del loro dominio è costituita dalla quantità smisurata di dati personali che questi operatori acquisiscono attraverso ogni singolo passaggio in rete di ciascun utente. Questo avviene – è bene tenerlo presente – per effetto di transazioni diseguali, nelle quali l’utente acquista una tantum un servizio cedendo i propri dati per sempre, e inoltre senza avere un’idea precisa di quali possano essere né la loro utilizzazione, né il loro valore economico.

New economy data driven

Le piattaforme analizzano, organizzano, aggregano i dati così ottenuti, riuscendo – grazie ad algoritmi sempre più perfezionati – a profilare uno per uno le centinaia di milioni, i miliardi di persone che si connettono ad internet. La disponibilità di questo immenso patrimonio di informazioni dà modo alle piattaforme di realizzare enormi profitti sia mediante la loro diretta utilizzazione (si tratta, ricordiamolo, di operatori verticalmente integrati), sia attraverso la vendita ad altri soggetti, in particolare ad inserzionisti pubblicitari. Si parla per questo dei dati come del petrolio della new economy e si definisce quest’ultima come data driven, guidata dai dati. E’ di appena due giorni or sono la notizia che i dati generano addirittura il 34% dei ricavi dell’Intercontinental Exchange, la più grande borsa valori del mondo per volume di scambi, e della Borsa di Londra.

La profilazione permette anche di orientare i consumi

La profilazione degli utenti consente infatti di predire in maniera accurata i consumi e quindi di indirizzare le strategie di mercato nella direzione migliore. Ma la profilazione permette anche di orientare i consumi. Ogni volta che navighiamo in rete riceviamo messaggi pubblicitari, “suggerimenti” che gli algoritmi selezionano per noi sulla base delle nostre preferenze. Suggerimenti che possono indurci a compiere scelte d’acquisto che forse non ci saremmo altrimenti determinati a fare.

Francesco Posteraro, commissario Agcom, durante l’intervento al al “Consumers’ Forum”

Big Data potente stimolo all’innovazione, ma crea distorsione equilibrio mercato a favore di pochi

L’economia dei dati, peraltro, ha sicuramente dei risvolti positivi. I Big Data rappresentano un potente stimolo all’innovazione: determinano la creazione e lo sviluppo di un numero sempre maggiore di servizi, fruibili mediante dispositivi dalle funzionalità via via accresciute. Ne deriva un incremento della domanda di accesso a internet, che a sua volta stimola investimenti finalizzati ad aumentare qualità e capacità della rete. Si mette in moto, insomma, quello che la Federal Communications Commission ha definito un “circolo virtuoso dell’innovazione”.

Ne deriva anche, però – come spero di aver dimostrato – una distorsione dell’equilibrio dei mercati a favore di pochissimi operatori dotati di un potere economico senza uguali nella storia, che è, per ciò stesso, potere politico. Operatori di fronte ai quali il consumatore – e, in ultima analisi, il cittadino – viene a trovarsi in una situazione incomparabilmente svantaggiata.

Cosa insegna lo scandalo Cambridge Analytica

Ho parlato del cittadino, oltre che del consumatore, perché alla stretta delle piattaforme non sfugge nemmeno il mercato dell’informazione. Il drenaggio di risorse pubblicitarie da parte dei giganti del web ha precipitato la stampa in una crisi che sembra non avere fine e minaccia di erodere, in un futuro non lontano, anche le posizioni dei broadcaster televisivi. Grazie alla profilazione algoritmica, i social network e i motori di ricerca esercitano un’influenza crescente sugli orientamenti del pubblico, che riceve da essi notizie e informazioni selezionate sulla base non della loro attendibilità, ma della loro attitudine a generare interesse, e dunque traffico, e dunque profitto. Recenti vicende hanno dimostrato come per questa via si possa incidere pesantemente perfino sui meccanismi di formazione del consenso e, pertanto, sul fondamento ultimo dei nostri sistemi democratici. Il caso Cambridge Analytica ha fatto emergere l’esistenza di un’industria della persuasione politica volta ad operare una vera e propria manipolazione delle coscienze.

Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le prese di posizione volte a sottolineare gli aspetti negativi di questo stato di cose. Perfino il ceo di Apple, Tim Cook, ha denunciato i danni connessi allo strapotere degli algoritmi, affermando che i colossi della Silicon Valley hanno costruito una vera e propria fabbrica del caos, delle cui conseguenze non vogliono però assumersi la responsabilità. Ancor più autorevolmente, lo stesso inventore del web, Tim Berners-Lee, ha manifestato preoccupazione per la deriva che rischia di prendere la sua creatura e per il fatto che alcuni software sono stati progettati – ha detto testualmente – “per fornire incentivi perversi a chi sacrifica i propri dati personali”. Da ultimo, pochi giorni fa Edward Snowden, l’ex consulente della CIA rifugiatosi in Russia per sottrarsi alle conseguenze dell’accusa di spionaggio, ha parlato di legalizzazione dell’abuso della persona tramite i dati personali.

Le proposte. Regole per il mercato dei dati

Per quanto risulta agevole la descrizione del fenomeno – la diagnosi – altrettanto complicata, se non di più, si presenta all’opposto l’individuazione dei possibili rimedi – la terapia. A mio avviso, si deve innanzi tutto sgombrare il campo dall’autoregolamentazione, nella quale confesso di confidare assai poco, anche alla luce dei risultati deludenti finora ottenuti per questa via. Ciò premesso, partendo dalla constatazione che le piattaforme digitali operano in diversi mercati, un punto di partenza ritengo debba essere costituito dalla necessità di un approccio non settoriale. Occorre prendere atto che esiste un mercato dei dati, nel quale agiscono i consumatori, che cedono i dati per godere di un servizio; le piattaforme, che raccolgono i dati, li elaborano e li utilizzano; gli utenti finali, ossia le imprese che acquistano i dati dalle piattaforme. La regolamentazione di questo mercato dei dati deve pertanto riguardare sotto ogni aspetto il ruolo svolto dalle piattaforme nell’economia globale.

E’ evidente che una tale regolamentazione debba avere come presupposto una disciplina di rango normativo primario. Ed è evidente, altresì, che la disciplina legislativa debba abbracciare necessariamente un ambito più vasto di quello nazionale. La dimensione deve essere almeno quella europea. Dopo anni nei quali le Istituzioni dell’Unione hanno mostrato, nell’affrontare l’argomento, qualche timidezza di troppo, l’approvazione del GDPR nel 2018 e quella della direttiva copyright nel 2019 sembrano aver segnato un cambio di passo. E sviluppi ancor più significativi promette il recente annuncio della Vicepresidente della Commissione che sta per insediarsi, Margrethe Vestager, di voler porre mano ad un Digital service Act, che dovrebbe caratterizzarsi come un quadro normativo unitario, di ampio respiro e al passo con l’evoluzione della tecnologia.

La consapevolezza della necessità di un approccio non settoriale ha indotto le tre Autorità italiane le cui competenze sono in varia misura interessate dall’economia digitale – l’Antitrust, l’Agcom e il Garante della privacy – a svolgere congiuntamente un’indagine conoscitiva sui Big Data, le cui conclusioni sono state presentate nel luglio scorso. Le Autorità hanno sottolineato l’esigenza che la normativa miri innanzi tutto a ridurre le asimmetrie informative tra operatori e utenti, nonché quelle tra le grandi piattaforme e gli altri operatori che di esse si avvalgono. A tale scopo, le conclusioni dell’indagine raccomandano l’adozione di misure volte ad aumentare il grado di consapevolezza dei consumatori nel momento in cui forniscono il consenso al trattamento dei loro dati, nonché ad assicurare una effettiva trasparenza nella fase di raccolta e nell’uso dei dati stessi da parte delle piattaforme.

Si tratta, come si vede, di finalità analoghe a quelle tenute di mira dal GDPR. Finalità del tutto condivisibili, ovviamente; ma conseguire i risultati attesi risulta nella realtà quanto mai problematico. Il consumo di informazioni in Rete avviene per solito molto rapidamente e gli utenti non sono quasi mai disposti ad attardarsi nella lettura delle lunghe e dettagliate informative recanti le condizioni di policy relative all’uso dei dati. Occorrono pertanto misure che abbiano maggiori probabilità di essere implementate in concreto.

In tal senso, l’indagine conoscitiva fornisce indicazioni interessanti in particolare per quanto concerne l’auspicato rafforzamento della posizione degli utenti nella contrattazione sul valore del dato e sul suo impiego commerciale. Le Autorità propongono infatti di favorire l’ingresso nel mercato di intermediari che, su mandato degli utenti stessi, possano interfacciarsi con le grandi piattaforme, usufruendo così di un potere negoziale fortemente accresciuto rispetto a quello di cui potrebbe disporre un singolo consumatore.

L’indagine propugna inoltre il perseguimento di finalità pro-concorrenziali mediante l’adozione di standard aperti e interoperabili, che assicurino la portabilità dei dati tra le diverse piattaforme.

Sotto il profilo della trasparenza, la proposta di maggiore impatto è quella di attribuire alle autorità indipendenti preposte alla tutela del pluralismo – e dunque all’Agcom, allo stato della nostra legislazione – poteri di audit e di inspection sulla profilazione algoritmica, allo scopo di sottoporre a verifica i risultati delle iniziative di autoregolamentazione messe in campo dalle piattaforme.

Vietare agli operatori di acquisire dati eccessivi degli utenti rispetto a quelli necessari

L’indagine mette in luce, tra l’altro – ed è questo un punto di fondamentale importanza – che assai spesso le piattaforme richiedono agli utenti, per il godimento di un servizio, anche informazioni non indispensabili ai fini del funzionamento della app. Al riguardo, piuttosto che cercare di rendere edotto di ciò il consumatore, per parte mia riterrei senz’altro preferibile risolvere il problema alla radice, prevedendo il divieto per gli operatori di richiedere e di acquisire informazioni ulteriori rispetto a quelle di volta in volta strettamente necessarie.

Stop anche la cessione a terze parti dei dati

Qualora nessuna delle misure proposte dovesse sortire l’esito di realizzare una più efficace tutela dei consumatori e di ridurre gli squilibri che caratterizzano l’attuale assetto dei mercati, resterebbe infine da valutare, a mio avviso, l’opportunità di vietare anche la cessione a terze parti dei dati acquisiti in cambio del godimento di un servizio. Misura estrema, me ne rendo conto, che nessun legislatore parrebbe al momento disponibile anche solo a prendere in considerazione. Ma estremo è pure il pericolo che corrono oggi le nostre società a causa dello strapotere incontrollato dei giganti della rete. Operatori che tutto sanno di ognuno di noi; che prevedono e indirizzano le nostre scelte; che influenzano in ogni campo i nostri comportamenti; che accumulano con bulimica avidità risorse superiori al PIL di moltissimi Paesi; che pretendono di battere moneta; che sfidano apertamente perfino gli Stati, come sta verificandosi con la reazione di Google al recepimento della direttiva copyright da parte della Francia. E’ necessario reagire prima che la dittatura dell’algoritmo li renda padroni del pianeta, se non addirittura arbitri dei nostri destini.

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