linee programmatiche

PNRR, Colao: “Più di 40 miliardi per la trasformazione digitale”. Il testo integrale dell’audizione

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Il testo integrale dell'intervento del ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale, Vittorio Colao, in un'audizione sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, presso le Commissioni congiunte Bilancio, Lavori pubblici, Politiche Ue del Senato e Trasporti della Camera.


Signori Presidenti, Senatori e Onorevoli Deputati,

Innanzitutto vi ringrazio per l’opportunità che mi è data di illustrare il lavoro che, con il Dipartimento per la trasformazione digitale e tutti gli altri Ministeri interessati, stiamo portando avanti in merito al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Come illustrato dal Presidente Draghi nel discorso alle Camere, la transizione digitale del Paese è per noi una priorità nell’azione di governo. Il PNRR è l’elemento centrale di questa missione e riguarderà alcune grandi iniziative di trasformazione. Alcune di queste verranno gestite direttamente dal Dipartimento di cui mi avvalgo; altre coinvolgono diversi Ministeri, con i quali stiamo lavorando secondo una logica di competenza orizzontale con il supporto del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Stiamo coordinando infatti i molti progetti afferenti alla transizione digitale, assicurando il trasferimento di esperienze, il rafforzamento delle competenze della Pubblica Amministrazione e l‘ottimizzazione della spesa complessiva, ricercando economie di scala. Una parte importante riguarderà anche iniziative per il sostegno e l’educazione dei cittadini alla vita digitale, perché se finora il digitale è stato percepito come una partita difficile per pochi, oggi questa partita devono poterla giocare tutti.

“40 miliardi per la trasformazione digitale? La cifra sarà considerevolmente superiore”

Il Next Generation EU prevede che il 20% dei fondi destinati agli Stati Membri attraverso la Recovery and Resilience Facility sia destinato alla trasformazione digitale. Nel caso dell’Italia, questa cifra dovrebbe essere di poco superiore ai 40 miliardi ma, guardando allo stato di avanzamento del PNRR a cui il Governo sta lavorando, la cifra sarà considerevolmente superiore se si includono anche le misure che riguardano interventi parzialmente digitali, quali ad esempio interventi di digitalizzazione e sensorizzazione di strade e infrastrutture critiche o gli investimenti sulla sanità territoriale e la telemedicina o quelli relativi alla formazione di competenze digitali per cittadini e lavoratori pubblici e privati.

Sarà una cifra considerevole che impone oggi una seria riflessione su quali siano gli obiettivi che vogliamo raggiungere, sul come farlo, in che tempi e su come garantire che tutto il processo venga svolto in maniera efficace, trasparente e senza spreco di denaro pubblico.

I 3 punti del PNRR

Per questo vorrei oggi illustrare come stiamo lavorando sul PNRR, insistendo su tre punti.

  • Per prima cosa, discuterò gli obiettivi che abbiamo adottato nel finalizzare il Piano per quanto riguarda i temi legati alla transizione digitale;
  • in secondo luogo, vorrei illustrare alcune delle misure del PNRR che riteniamo prioritarie;
  • e infine, ci terrei a mostrare come questo lavoro si inquadra nelle linee programmatiche del mio mandato, anche a beneficio delle Commissioni ottava del Senato e nona della Camera, di riferimento per il settore Comunicazioni.

L’approccio e gli obiettivi

L’approccio e gli obiettivi. Siamo spesso portati a pensare che la transizione digitale riguardi singole iniziative, o procedure che devono essere semplicemente ammodernate rispetto al passato. In verità non è così: la trasformazione digitale che sta investendo la nostra società, le nostre economie, e le nostre vite quotidiane è molto di più. È un fondamentale cambiamento del modo in cui lavoriamo, produciamo e interagiamo nelle nostre vite. Questo perché la nuova dimensione digitale sta riducendo tempi e costi di accesso alle competenze e all’informazione, sta abbattendo molte barriere agli investimenti, e sta modificando i modelli di business di interi settori industriali. Anche il settore pubblico non è immune a questa trasformazione. Grazie al digitale le amministrazioni pubbliche possono migliorare le modalità con cui rispondono ai bisogni sociali in termini di velocità, agilità e qualità nell’erogazione dei servizi.
Si sta in sostanza ridisegnando completamente il quadro socio economico e relazionale che ha caratterizzato la nostra società dalla prima rivoluzione industriale a oggi ed entro il quale maturano i nostri saperi, le nostre attività e le nostre vite nel loro complesso.

Come recuperare il terreno perso rispetto agli altri Paesi

In questo senso, la transizione digitale è un’occasione unica di crescita, occupazione, e innovazione, di preservazione sostenibile del territorio e della natura e anche di diffusione e più largo accesso all’arte e alla cultura. L’Italia deve cogliere questa opportunità senza esitazioni. E lo deve fare soprattutto per consentire ai nostri giovani, che davvero vivranno in un futuro digitale, di avere accesso a quelle opportunità dalle quali sono stati troppo spesso esclusi. L’Italia ha perso molto terreno rispetto alle economie più sviluppate, in termini di crescita, reddito e standard di vita, con una preoccupante ricaduta sulle prospettive per le generazioni più giovani. Questo è in gran parte dovuto al non aver saputo cogliere appieno le sfide e i vantaggi che la transizione tecnologica e digitale comporta. È chiaro che se vogliamo non solo recuperare terreno rispetto agli altri paesi, ma anche tornare leader nei settori industriali, nell’occupazione di qualità e negli standard di vita, dobbiamo lavorare a un ammodernamento digitale del nostro paese nel suo complesso.

Obiettivi ambizioni con la trasformazione accelerata

Per raggiungere questo traguardo dobbiamo oggi porci quindi obiettivi ambiziosi.

 La visione Digital Compass annunciata dalla Commissione europea la settimana scorsa ha come obiettivo di raggiungere una digitalizzazione pressoché piena entro il 2030. Grazie al PNRR vogliamo far sì che l’Italia non solo recuperi il terreno perso, ma sia tra i paesi più vicini a realizzare la visione del Digital Compass già nel 2026. Una trasformazione che chiamerei accelerata che avrà bisogno di persone e capitale umano per avvenire e per questo vogliamo portare l’Italia a un livello nettamente più elevato di formazione scientifica e tecnologica. La nostra azione non si limita quindi alla digitalizzazione in senso tecnico. Vuole dare coerenza, all’interno del PNRR, a tutte le misure che riguardano la digitalizzazione, lo sviluppo tecnologico del Paese e le opportunità personali e lavorative che ne discenderanno, soprattutto per i nostri giovani, ragazze e ragazzi, che considero i miei datori di lavoro.

L’approccio in 6 punti

Il nostro approccio si riassume in sei punti.

Connettere tutti entro il 2026 con connessioni ad altissima velocità

● Primo, è necessario adoperarsi per ammodernare ed estendere le infrastrutture digitali su tutto il territorio nazionale in maniera uniforme, per garantire che l’evoluzione tecnologica vada di pari passo con l’inclusione sociale e territoriale. È noto, come ha anche ricordato il Ministro dello sviluppo economico nella sua audizione di ieri, che abbiamo un serio problema di copertura del territorio con reti a banda ultra larga: qui mi preme sottolineare un dato su tutti, e cioè che, ad oggi, la copertura FTTH raggiunge poco meno del 34% delle famiglie italiane.

Il problema però non riguarda solo l’infrastrutturazione, ma anche il tasso di adozione dei servizi dati di accesso ad Internet: nel 2020 risultano esserci 10 milioni di famiglie italiane (il 39% del totale) che non hanno attivato offerte di accesso ad Internet su rete fissa e oltre 5,5 milioni di famiglie (il 21% del totale) che usufruiscono di servizi Internet su rete fissa ma con velocità inferiore ai 30 Mbps. In totale, circa 16 milioni di famiglie (il 60% del totale) che non usufruiscono di servizi Internet su rete fissa o non hanno una connessione fissa a banda ultra larga. Questo è inaccettabile, e per due motivi. Primo, la rete offre oggi servizi essenziali al pieno svolgimento delle nostre vite e apre opportunità di crescita, formazione, lavoro e intrattenimento che erano impensabili in un mondo analogico.

L’esclusione sistematica di intere fasce della nostra popolazione dalla rete vuol dire privarli dell’uguaglianza sostanziale nelle opportunità. Non solo, ma la connettività è distribuita in modo fortemente diseguale sul nostro territorio. Non rendere la copertura uniforme e veloce vuol dire addirittura aumentare i divari territoriali che già esistono e crearne di nuovi. Rischiamo di lasciare indietro vaste aree produttive, creative, e sociali – penso alle zone periferiche e ai distretti industriali, alle aree rurali e interne e, non da ultimo, alle isole. Per velocizzare la copertura con reti a banda ultra larga di tutto il territorio, va quindi rivisto il modello seguito fino ad oggi, ponendosi l’obiettivo concreto di connettere tutti entro il 2026 con connessioni ad altissima velocità e lasciando agli operatori la libertà di scegliere la migliore tecnologia. In questa ottica, le tecnologie radio possono (e devono) essere utilizzate laddove la fibra non arriva o non riesce ad arrivare, così come dobbiamo favorire un rapido investimento nello sviluppo delle reti 5G.

Cogliere appieno la rivoluzione del 5G e dalla banda ultra larga mobile

Dobbiamo infatti assicurarci di cogliere appieno la rivoluzione del 5G e dalla banda ultra larga mobile: sarebbe se realtà produttive e lavorative che operano in zone meno centrali del nostro Paese non potessero accedere alle opportunità di automazione e remotizzazione a bassa latenza che queste tecnologie consentono. Questi due fenomeni, disuguaglianze e divari territoriali, sono ancora più evidenti alla luce della pandemia: con il lavoro che si sposta in remoto, le scuole che adottano la didattica a distanza, e gli ospedali non in grado di assistere molti malati da vicino a causa della pandemia, ammodernare le infrastrutture per la connettività si configura come un dovere dello Stato, chiamato dall’articolo 3 della Costituzione ad assicurare uguale accesso alle opportunità ed a offrire a tutti i cittadini le medesime condizioni di partenza. Per noi, la connettività va intesa come diritto.

l’Italia si inserisca da protagonista nel sistema Cloud europeo Gaia-X

● Secondo, è necessario che la transizione digitale del paese colga appieno le opportunità che sorgono dalla tecnologia cloud computing. Il cloud – oggi ancora poco adottato dalla PA italiana – ha un enorme potenziale: migliora la qualità dei servizi erogati, riduce in maniera significativa i costi, contribuisce ad aumentare l’efficienza energetica, e incrementa significativamente la sicurezza rispetto alle insidie digitali. La Commissione Europea ha già riconosciuto l’enorme importanza strategica del controllo delle infrastrutture digitali e dei dati. In questo, ha anche elaborato numerose azioni per assicurare l’indipendenza tecnologica Europea attraverso lo sviluppo di reti, applicazioni e capacità digitali. In linea con questo proposito, è fondamentale che il nostro approccio al cloud computing promuova e sostenga lo sviluppo di un mercato europeo per i servizi cloud e che l’Italia si inserisca da protagonista nel sistema Cloud europeo Gaia-X. Non dobbiamo cogliere tuttavia solo l’obiettivo della sovranità digitale europea, ma dobbiamo anche garantire agli imprenditori digitali – spesso giovani o giovanissimi – un ambito di sviluppo certo, sicuro e soprattutto di grandi prospettive, rendendo il mercato europeo attraente quanto i vasti mercati digitali extra-Europei.

Nella Pa piena interoperabilità dei dati. Facilitare la vita di tutti noi secondo il principio “once only”

● Terzo, è fondamentale assicurarsi che i dati trattati dalla pubblica amministrazione possano essere utilizzati facilmente, nel rispetto di tutte le garanzie. Il settore pubblico è il più grande collettore, gestore e utilizzatore di dati. È suo compito rendere disponibile, aperto e pienamente fruibile questo ampio patrimonio informativo secondo le logiche dell’open data e open government soprattutto quando è funzionale a servire al bisogno dei cittadini. Dobbiamo farlo garantendo una piena interoperabilità dei dati senza la quale si rischia, primo, di vanificare tutto lo sforzo che l’investimento in infrastrutture digitali comporta e, secondo, di rendere la vita di cittadini e imprese ardua e frustrante. I dati sono infatti uno strumento potente se, e solo se, si mettono in relazione tra loro. Senza interoperabilità è impossibile usare i dati in due direzioni essenziali: per erogare servizi al cittadino migliori e privi di complessità; e per adottare politiche pubbliche basate su analisi statistiche in tempo quasi reale e big data anonimizzati. L’interoperabilità è quindi il requisito fondamentale per non perdere l’occasione unica di trasformare la pubblica amministrazione da forza reattiva a forza proattiva; che faciliti sì la vita di tutti noi secondo il principio “once only”, ma ci consenta anche di conoscere meglio le cause dei fenomeni, per aiutarci a prendere decisioni migliori di politica pubblica, basate sull’evidenza più recente. L’interoperabilità dei dati, in sostanza, aiuterà lo Stato a fare meglio il suo lavoro.

Il digitale può e deve essere inclusivo

● Quarto, è necessario che lo sforzo per la digitalizzazione metta l’inclusione di tutti al centro. Mettere il tema dell’accesso ai servizi al centro della strategia di digitalizzazione è un’occasione preziosa per aumentare l’inclusione sociale di molte categorie che sono spesso state lasciate indietro, soprattutto laddove il digital gap è maggiormente sofferto. Si pensi per esempio ai nostri concittadini più anziani che in questi mesi avrebbero beneficiato di una connettività più semplice e intuitiva per accedere non solo a servizi, ma anche a cure e affetti. Lo sforzo per migliorare il percorso digitale degli utenti è, in questo senso, una leva fondamentale per dare concretezza al mandato costituzionale di realizzazione del principio di uguaglianza. Per sua natura il digitale permette di ridurre distanze, personalizzare, tradurre, semplificare. Il digitale può e deve essere inclusivo.

Rafforzare la propria capacità di difenderSI e difenderCI da attacchi cibernetici

● Quinto, tutto ciò va fatto in sicurezza. In un mondo digitale dove tutti i dati sono disponibili online è evidente che lo Stato debba rafforzare la propria capacità di difenderSI e difenderCI da attacchi cibernetici. La transizione digitale richiede uno sforzo significativo di ammodernamento della cybersecurity nazionale, che protegga sia le persone sia le infrastrutture. Sarà anche sempre più importante assicurare a imprese, PA e cittadini che hardware, software, applicazioni, e algoritmi siano e si mantengano sicuri e ispezionabili. Non da ultimo, il comparto cybersecurity ha una fondamentale importanza sul piano geostrategico, che deve collocare l’Italia chiaramente nel quadro Europeo e Atlantico.

Il diritto alla Privacy

Dovremo considerare sempre più tra i beni nazionali da proteggere anche il diritto alla Privacy. La trasformazione digitale implica che gran parte delle informazioni sull’identità di una persona, molte delle quali sensibili, verranno custodite in rete. È necessario garantire, in tutto e per tutto, che questi dati siano inviolabili.

● Da ultimo, ma non per ultimo, ci sono le persone. Nella transizione digitale, l’aspetto umano, in particolare delle competenze e della preparazione, è altrettanto importante di quello hard, dei software, delle tecnologie e delle applicazioni. Digitalizzare vuol dire certo semplificare e velocizzare, ma anche aumentare le competenze e le capacità delle persone nella PA, nel privato, e ovunque, investendo nella formazione di tutte le generazioni. Lo dico perché nessuna transizione – di nessun tipo – funziona se non si parte dalle persone e dall’investimento nelle competenze, di tutti e dei giovani in particolare.

Le misure nel PNRR

Connettività come diritto, cloud first, interoperabilità, facilità di accesso e identificazione “once only”, sicurezza e formazione

Veniamo ora alle misure. Il PNRR rappresenta lo snodo cruciale per dare corpo a questi obiettivi ambiziosi basati, ripeto, su connettività come diritto, cloud first, interoperabilità, facilità di accesso e identificazione “once only”, sicurezza e formazione. Da qui discendono le misure che prevediamo di confermare e rafforzare, partendo dall’architettura e dai contenuti del precedente Governo e dalle indicazioni che riceveremo dal Parlamento. Queste misure riguardano sia iniziative di nostra primaria responsabilità, sia quelle su cui siamo chiamati ad esercitare un ruolo di impulso e coordinamento orizzontale avvalendoci anche del Comitato Interministeriale per la Transizione Digitale.

Presenterò le proposte articolandole in sei grandi blocchi: cinque misure di digitalizzazione, ovvero gli investimenti per la banda ultra larga; il piano per la digitalizzazione della PA; quello per l’interoperabilità dei dati e la digitalizzazione delle applicazioni per i cittadini, il rafforzamento del sistema di cybersecurity, la cittadinanza digitale e, da ultimo, mi concentrerò come sesta area su alcune delle altre iniziative di transizione digitale contenute nel PNRR per la loro rilevanza strategica.

● Banda ultra larga, non sono più ammessi ritardi

Veniamo quindi alle reti a banda ultra larga e l’accesso alla rete. Come detto in precedenza, e come anche ribadito ieri dal Ministro dello sviluppo economico con cui lavoriamo costantemente, questo è un intervento essenziale per assicurare la modernizzazione del Paese, la coesione sociale e l’inclusione.

Non sono più ammessi ritardi.

La Commissione europea ha adottato, nel corso degli ultimi anni, diversi atti – tra cui la Comunicazione verso la gigabit society, l’Action Plan per il 5G e la Direttiva sul nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche – tutti finalizzati a realizzare una società digitale pienamente inclusiva. Sulla scia di questi interventi, il 9 marzo la Commissione europea ha pubblicato il “Digital Compass”, che pone obiettivi ambiziosi sul tema della connettività: un gigabit per tutte le famiglie e copertura 5G in tutte le aree popolate entro il 2030.

Grazie al PNRR vogliamo essere più ambiziosi sui tempi: vogliamo cittadini, scuole, presìdi sanitari, imprese e isole minori connesse entro i prossimi 5 anni

Come responsabili dei progetti per la trasformazione digitale non solo condividiamo pienamente questi obiettivi, ma grazie al PNRR vogliamo essere più ambiziosi sui tempi: vogliamo cittadini, scuole, presìdi sanitari, imprese e isole minori connesse entro i prossimi 5 anni. Mi concedo una metafora sportiva: a metà gara vogliamo essere nel gruppo di testa della corsa all’Europa digitale.

Per arrivarci, stiamo innanzitutto verificando la dimensione degli investimenti effettivamente necessari per soddisfare l’obiettivo della gigabit society all’interno del PNRR, incrementando sensibilmente gli investimenti originariamente previsti. Allo stesso tempo, stiamo esaminando il programma di implementazione per garantire che gli interventi siano realizzati nei tempi e nei modi previsti, cercando di recuperare il ritardo accumulato. Come anticipato, siamo fermamente convinti che il principio da applicare sia quello della piena neutralità tecnologica, in grado di garantire la massima copertura possibile indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, fissa o mobile. In particolare vogliamo assicurarci di stimolare l’utilizzo delle tecnologie più avanzate, nel nostro caso il 5G, per arrivare dove la fibra non può arrivare o arriverebbe con tempi troppo lunghi. Per farlo vogliamo lasciare agli operatori piena scelta nelle tecnologie da utilizzare, e continuare a garantire ai cittadini libera scelta fra offerte alternative sul mercato. Il nostro obiettivo è che la connessione a 1Gbps arrivi in tempi rapidi ovunque, in tutte le case, tutte le sedi delle PA, tutte le scuole del Paese e tutti le strutture sanitarie, dotando anche le 18 isole minori di un backhaul ottico adeguato.

Le misure di finanziamento delle reti e di stimolo all’infrastrutturazione devono essere accompagnate anche da misure che rendano più rapida e agevole la posa delle infrastrutture, da adeguate garanzie di investimento e di tempi certi per lo Stato, e da misure che stimolino l’effettiva adozione dei servizi da parte delle famiglie e delle imprese. Stiamo quindi considerando ulteriori misure di semplificazione e revisione del quadro regolatorio per accelerare le procedure e migliorare tempi e modalità realizzative per le infrastrutture di rete, fisse e mobili.

Tra le varie misure allo studio, stiamo valutando l’introduzione di una norma che preveda che i soggetti che intendano realizzare investimenti privati in aree specifiche possano farlo attraverso un formale impegno da sottoscrivere con lo Stato. Questo faciliterebbe una più accurata e certa pianificazione degli investimenti pubblici in aree a fallimento di mercato.

Infine, stiamo individuando le misure più idonee per sostenere la domanda, così da garantire che famiglie ed imprese effettivamente utilizzino e offrano servizi digitali.

Operazione rete unica: “Si arrivi presto a una soluzione che garantisca una rapida ripresa delle attività di cablatura e/o di copertura via radio delle zone interessate”

Voglio, in chiusura di quanto finora illustrato, fare solo un rapido accenno alla questione della c.d. “operazione rete unica”, i cui effetti possono incidere sui tempi e sulle modalità di sviluppo della banda ultra larga. Mi preme – in questa sede – sottolineare l’esigenza che si arrivi, nel più breve tempo possibile, ad una soluzione che garantisca una rapida ripresa delle attività di cablatura e/o di copertura via radio delle zone interessate. Non possiamo permetterci di stare in una situazione di attesa che rischia di condizionare i piani (e quindi i tempi) di copertura delle reti a banda ultra larga finanziati con risorse del PNRR.

● Digitalizzazione della PA

In secondo luogo, stiamo valutando una serie di interventi per un’efficace digitalizzazione dei servizi della PA con particolare riguardo a due aree: infrastrutture e applicazioni per i cittadini.

Non possiamo non partire da un forte investimento sulle infrastrutture per garantire una piena ed efficace digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

Per farlo occorre adottare una strategia di introduzione decisa del cloud – in attuazione del cosiddetto principio “cloud first” – sia a livello centrale sia a livello locale. Questa strategia assicurerà, in primis, che il nostro Paese sia dotato di un’infrastruttura di eccellenza, che chiameremo Polo Strategico Nazionale, localizzata sul suolo italiano e con garanzie anche giurisdizionali elevate, che razionalizzi e consolidi molti di quei data center oggi dispersi e inefficienti che non riescono a garantire standard di sicurezza adeguati. L’investimento in infrastrutture all’avanguardia ci consentirà di cogliere appieno anche le opportunità inerenti al cloud computing. Accanto al Polo Nazionale dobbiamo anche prevedere la flessibilità per le amministrazioni di usufruire di efficienti cloud pubblici o ibridi pubblici/privati, economici e scalabili facilmente, ma a fronte di una rigorosa e omogenea classificazione delle tipologie di dati da conservare e delle caratteristiche di sicurezza e protezione richieste ai fornitori.

Così, l’insieme di queste infrastrutture diverrà il cuore della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), permettendo la realizzazione del modello di interoperabilità fra le amministrazioni pubbliche.

Da ultimo, il passaggio al cloud consentirà lo sviluppo di tutta una serie di servizi da parte di un ampio ecosistema partecipato di imprese e startup in grado di migliorare l’offerta e la qualità di prodotti software per la PA, come già accade in altri paesi. Questi servizi promuoveranno la crescita di un mercato aperto e la possibilità del riuso delle soluzioni migliori a favore dell’efficienza della spesa. È tuttavia chiaro che questi obiettivi ambiziosi saranno efficaci solo se sosterremo le amministrazioni nello sforzo di migrare verso il cloud. Per farlo, vogliamo sia sostenerle finanziariamente relativamente ai costi di migrazione, sia immettere capitale umano qualora le amministrazioni non abbiano le risorse per farlo autonomamente, sia accompagnare nel tempo i piani di implementazione che l’esperienza ci insegna sono tanto importanti quanto l’architettura.

● Interoperabilità e applicazioni per i cittadini

In terzo luogo, riteniamo indispensabile una forte azione semplificatrice che vada di pari passo con lo sforzo di digitalizzazione della PA. Va assolutamente ribaltata la narrazione della PA come realtà inaccessibile al cittadino che rallenta o inibisce il pieno accesso ai servizi da parte degli utenti. È nostro dovere, oggi, usare la leva della trasformazione digitale per semplificare, di molto, l’interazione tra il cittadino e i diversi Enti della Pubblica Amministrazione: la PA deve diventare un “alleato” del cittadino. La soluzione consiste nel promuovere un investimento urgente per accelerare fortemente l’interoperabilità informatica tra gli enti pubblici e per consentire una progressiva attribuzione coordinata di certificati digitali su base nazionale, eliminando inutili adempimenti e autocertificazioni cartacee.

Solo attraverso una piena interoperabilità delle informazioni si può rendere effettiva l’applicazione del principio del once-only evitando di chiedere a persone e imprese informazioni che la PA già detiene. In questo ambito, stiamo riflettendo su come includere nel perimetro più rapidamente e agilmente gli enti e le istituzioni possessori dell’informazione, i cui attributi potrebbero essere incorporati “digitalmente” nelle pratiche istruttorie della PA senza richieste ai cittadini. Inoltre, vogliamo assicurare, in tempi certi, la piena partecipazione dell’Italia all’iniziativa Europea del Single Digital Gateway, che consentirà un singolo punto di accesso ai dati per qualsiasi cittadino o impresa degli Stati Membri.

Per essere efficaci, vogliamo rafforzare l’identità digitale, partendo sì da quelle esistenti – SPID e CIE – ma arrivando ad offrire un’esperienza sempre più semplice nell’accesso ai servizi digitali, in linea con gli ambiziosi obiettivi del Digital Compass Europeo. Intendiamo, estendere il sistema di pagamenti unico con la PA a tutte le amministrazioni e servizi, migliorando la già positiva esperienza di pagoPA. Infine, vogliamo sviluppare un sistema di comunicazione tra la PA e i cittadini leggero e accessibile, tramite il domicilio digitale, la realizzazione della piattaforma digitale per le notifiche della PA e, più in generale, attraverso modalità di comunicazione digitale e su mobile. Senza eliminare la possibilità della interazione fisica per chi voglia o non possa altrimenti, ma spostando sui canali digitali il maggior volume possibile di interazioni.

Nel rafforzare questi sistemi di interazione digitale con la PA vogliamo sempre vigilare che non vi sia una proliferazione di piattaforme di accesso pubbliche, ma, sempre, che la vita del cittadino venga semplificata attraverso strumenti come l’appIO, portale di accesso telematico ai servizi della pubblica amministrazione.

● La cybersicurezza

Come detto in precedenza, questo è un intervento necessario se si vuole garantire che all’aumento del tasso di digitalizzazione del paese faccia seguito un aumento proporzionale, ed auspicabilmente più che proporzionale, della nostra sicurezza.

Questo aumento delle nostre capacità difensive passerà, in primo luogo, da un rafforzamento della sicurezza cibernetica di asset strategici con la piena attuazione della disciplina in materia di “Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica” per la quale dovremo rafforzare sia le strutture preposte sia le amministrazioni pubbliche e private più sensibili ed esposte. Dovremo anche rafforzare la capacità tecniche per una valutazione e audit continuo della sicurezza degli apparati elettronici e delle applicazioni utilizzate per l’erogazione di servizi critici da parte di soggetti che esercitano una funzione essenziale.

E infine andare sempre più in profondità su codici software e architetture microelettroniche per verificarne l’integrità e l’eventuale vulnerabilità. Sarà anche importante potenziare le capacità di risposta e intervento del pubblico e delle imprese per gestire i rischi di attacchi cibernetici, soprattutto in relazione a dati dei cittadini. Infine vogliamo investire in nuovo personale e strutture sia nelle aree di pubblica sicurezza e polizia giudiziaria dedicate alla prevenzione e investigazione del cybercrimine a protezione dei cittadini, sia in quelle dei comparti preposti a difendere il paese da minacce cibernetiche. Anche e soprattutto in quest’area il raccordo con le iniziative Europee e alleate è essenziale per massimizzare la protezione degli interessi comuni dei cittadini e delle imprese.

● Cittadinanza digitale

L’ultima misura diretta della componente “digitalizzazione” riguarda invece la cittadinanza. L’Italia è uno dei paesi in Europa con il maggior digital divide: solo il 42% degli italiani tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base, contro il 58% in Europa. Il 17% degli italiani nella stessa fascia di età non ha mai usato internet, contro il 9% in Europa, quasi il doppio. Come già illustrato, la mancanza di accesso limita fortemente l’eguaglianza sostanziale. Tutte le misure finora indicate vanno nella direzione di semplificare l’accesso eliminando quindi una fortissima barriera per l’adozione del digitale.

Ma il digital divide sorge anche dalla mancanza di competenze. Per questo prevediamo dunque due iniziative specifiche. Da un lato, vogliamo rafforzare il Servizio Civile Digitale, attraverso il reclutamento di alcune migliaia di giovani che aiutino circa un milione di utenti ad acquisire competenze digitali, in particolare tra i segmenti di popolazione più bisognosi. Dall’altro vogliamo rafforzare i servizi di facilitazione digitale. Qui si vuole dare maggior sostegno a quelle esperienze regionali di successo provenienti dal Terzo Settore che operano già in tal senso, aiutandole ad espandere il loro bacino di utenza.

Per rendere efficace l’implementazione di queste cinque misure di digitalizzazione, e perché avvengano in tempi certi, prevediamo tre riforme chiave che le accompagnino.

La prima riguarda un diverso modo di acquistare beni e servizi informatici, con più flessibilità e rapidità di quelle finora verificatesi, senza sacrificare integrità e trasparenza delle procedure di acquisto. La seconda prevede la creazione di una struttura di Supporto alla Trasformazione. Questa struttura vuole essere una forza di supporto distribuita sul territorio per tutte le amministrazioni, centrali e locali, nella realizzazione della trasformazione digitale, con particolare attenzione ai divari territoriali. La terza, e ultima riforma, riguarda il rafforzamento delle competenze digitali della Pubblica Amministrazione, in linea con quanto definito dal Ministro per la Pubblica Amministrazione.

È chiaro che realizzare una transizione così complessa non sarà possibile se non potremo contare sulle persone e sulle competenze in grado di realizzarla. In questo senso, è indubbio che le competenze digitali ricopriranno un ruolo assolutamente strategico all’interno della Pubblica Amministrazione del futuro. E dobbiamo incoraggiare l’inserimento di più risorse a tutti i livelli.

● Misure in coordinamento con altre Amministrazioni

Come già detto, il processo di digitalizzazione non riguarda solamente il Dipartimento per la trasformazione digitale, ma trasversalmente tutte le Amministrazioni e funzioni pubbliche alle quali, attraverso il Comitato Interministeriale appena creato, vogliamo assicurare organicità e una strategia comune. Con il Comitato opereremo su molte aree, ma qui ne citerò solo tre, tra le più cruciali.

Per prima, la sanità. La pandemia ci ha tristemente ricordato quanto le strutture ospedaliere e i servizi e i presidi di sanità territoriale siano strategici. La telemedicina e l’assistenza domiciliare integrata possono radicalmente migliorare i servizi sanitari sul territorio attraverso strumenti digitali di coordinamento delle risorse e tracciamento degli interventi e delle cure. Questo perché la telemedicina può aiutare il Sistema Sanitario Nazionale a gestire la cura in maniera più efficiente e tempestiva, contribuendo ad evitare di sovraccaricare le strutture ospedaliere, migliorando i percorsi di cura, e facilitando il lavoro del personale medico. In quest’ambito serve investire di più.

Ma occorre anche accelerare con decisione sull’armonizzazione, completezza ed alimentazione del Fascicolo Sanitario Elettronico di ogni cittadino, con investimenti che non cambino la gestione sanitaria ma tendano verso un modello più omogeneo ed interoperabile. Si deve garantire la privacy e la sicurezza dei dati, ma si deve anche essere pienamente in linea con la strategia di cloud e di interoperabilità che ho già illustrato. Congiuntamente con il Ministero della Salute, vogliamo qui intervenire in modo incisivo, proprio perché il Fascicolo Sanitario Elettronico e la capacità di analizzare i dati sanitari sono la via principale per garantire a tutti una sanità pubblica di qualità nel futuro capace di programmare al meglio l’allocazione della spesa e orientare le politiche di cura e prevenzione.

Secondo, la scuola. Ho iniziato il mio intervento parlando di competenze e formazione, e di come queste siano fondamentali per attuare una transizione digitale efficace. La scuola è il luogo fondamentale per diffondere competenze e fornire le chiavi di una “nuova cittadinanza digitale”, a partire dalla formazione professionale ma non solo. Gli interventi che al Ministero dell’Istruzione e il Ministero dell’Università e della Ricerca stanno studiando in stretto raccordo con il mio Dipartimento, vanno ovviamente nella direzione di potenziare le dotazioni informatiche e digitali delle strutture educative e dei docenti nel loro complesso. Ma voglio in particolar modo a citare anche il potenziamento degli ITS, volto a consolidarne il ruolo all’interno del sistema educativo e professionalizzante e come via essenziale per la formazione del capitale umano necessario per attuare la transizione digitale. I migliori ITS hanno tassi di occupazione elevatissimi, superiori all’80%, ma diplomiamo poche migliaia di studenti contro le centinaia di migliaia di alcuni partner europei. E’ un’opportunità gigantesca per i nostri giovani. Sempre sull’educazione terziaria, vogliamo dare un forte impulso alle discipline scientifiche in generale e con particolare attenzione nel promuovere la parità di genere, senza la quale rischiamo di perderci una fetta consistente del nostro talento nazionale. Infine, vogliamo incentivare di molto i dottorati industriali, collegandoli più strettamente con il sistema imprenditoriale, rafforzando quel legame tra mondo della ricerca ed imprese che è alla base dell’innovazione tecnologica.

E qui consentitemi di legarmi all’ultimo punto, quello sul mondo imprenditoriale.

Il PNRR conterrà ovviamente gli incentivi 4.0 per gli investimenti tecnologici promossi dal Ministero per lo Sviluppo Economico, nonché specifici interventi in settori ad alto potenziale e strategici, come ad esempio lo spazio, in linea con l’obiettivo di rafforzare l’autonomia e l’indipendenza strategica Europea. Ma ci tengo a sottolineare che nel rafforzare l’educazione terziaria vogliamo anche migliorare la connessione tra impresa e ricerca, investendo nella crescita di ecosistemi di innovazione e trasferimento tecnologico per incidere sulla produttività del sistema economico italiano. Saranno essenziali tanto luoghi fisici di sperimentazione quanto spazi tecnico-regolamentari. Una innovazione del Governo precedente è quella dei “Sandbox”, ambienti di sperimentazione controllata con ridotti vincoli regolamentari e di legge per permettere agli innovatori di “testare il possibile”. Contiamo con i Ministeri interessati di rinforzare assieme anche questi due essenziali spazi di innovazione e creazione di lavoro.

Le sei che ho illustrato sono le aree che riteniamo prioritarie per assicurarci che il PNRR ci aiuti a colmare il gap maturato con gli altri paesi e raggiungere appieno gli obiettivi del Digital Compass aree che continueremo a sviluppare anche grazie al costante confronto con il Parlamento a partire dalle indicazioni che riceveremo dalle risoluzioni che saranno adottate e dagli ulteriori confronti istituzionali che avverranno nelle prossime settimane.

Come avete capito, il punto, per chi vi parla è rendere operativo con gli straordinari strumenti di cui disponiamo in questo momento storico particolare, una serie di iniziative capaci di concentrare davvero le competenze straordinarie, soprattutto dei giovani italiani, sulla sfida della transizione digitale.

Sintesi della strategia

Per concludere, vorrei ricollegare le iniziative e i contenuti del PNRR all’impianto strategico che con i colleghi del Comitato Interministeriale vogliamo dare alla nostra azione congiunta.

La nostra strategia digitale si baserà su tre punti fermi, tra loro legati: Primo, il digitale come garanzia di opportunità, inclusione e coesione territoriale. La dimensione digitale riesce a colmare distanze prima impensabili, a connettere idee, persone, imprese e mercati abbattendo barriere e dando opportunità a tutti. È nostro dovere accogliere la sfida digitale per non lasciare indietro nessuno.

Secondo: il digitale come nuovo modo di lavorare, fare impresa, ed essere cittadino pienamente. Porteremo avanti la missione della digitalizzazione in maniera orizzontale, come condizione abilitante di un nuovo diritto di cittadinanza, nella PA come nelle scuole, nella giustizia, come nella sanità, nella capacità competitiva come nella sicurezza. I cittadini oggi sono più consapevoli dei loro diritti di cittadinanza digitale, è compito dello stato accompagnarli nella transizione.

Terzo la transizione digitale come strategia industriale e geostrategica competitiva, chiaramente Europea e atlantica. In una frase: digitale per una vita più facile, più sana e più inclusiva; e per un’Italia più forte e sicura nel contesto internazionale.

Grazie.