Convegno CDTI

PMI & Sviluppo: ecco perché piccolo non è più bello

di Massimo Di Virgilio, Vice Presidente CDTI |

Le PMI dell’ICT devono cambiare registro, costruendo aziende dotate di valori distintivi chiari e con offerte capaci di fornire ai Clienti strumenti competitivi.

Pubblichiamo di seguito l’intervento di Massimo Di Virgilio, Vice Presidente CDTI, in vista del convegno “PMI&Sviluppo” organizzato da CDTI (Club dei Dirigenti delle Tecnologie dell’Informazione di Roma) e INFORAV, che si terrà il 19 ottobre presso la Biblioteca UNINT in Via C. Colombo 200, Roma (Scarica qui il programma in Pdf).

Il CDTI, dopo i convegni organizzati il 13 giugno 2014, il 15 giugno 2015 e il 15 giugno 2016 torna ad occuparsi del mondo delle Piccole e Medie Imprese (PMI) ed in particolare di quelle operanti nel mondo dell’Information e Communication Technology (ICT), focalizzando l’attenzione sui rapporti con il settore finanziario e con quello degli organismi pubblici di sostegno e incentivazione per lo sviluppo delle imprese e ascoltando i principali operatori del settore per capire:

  • quale sia lo stato dell’arte,
  • se gli imprenditori siano attrezzati nella ricerca delle diverse soluzioni e se siano soddisfatti delle offerte esistenti,
  • se banche, finanziarie, operatori di borsa, fondi, agenzie d’investimento trovino corrispondenti alle loro aspettative la qualità e la quantità delle operazioni intrattenute con le imprese.

Dovendo introdurre un tema molto delicato e cruciale per lo sviluppo delle aziende, ritengo opportuno fare prima di tutto una brevissima contestualizzazione, per offrire ai relatori uno spaccato della realtà nella quale si trovano in particolare a operare le PMI del settore ICT dell’area romana.

Il mercato è costituito:

  • lato domanda, da Clienti, sia pubblici, della Pubblica Amministrazione, centrale e locale, sia privati, appartenenti a diversi settori, quali Assicurazioni, Banche, Energia, Farmaceutica, Giochi, Media, Municipalizzate, Poste, Telecomunicazioni, Trasporti: o un universo molto variegato con esigenze e modalità operative molto diverse, da quelle con articolazioni strettamente locali, a quelle nazionali ed anche internazionali e con procedure di acquisto e di approvvigionamento molto complesse e, nella maggior parte dei casi, anche molto rigide, o una varietà di stazioni appaltanti che hanno nel settore pubblico romano come riferimento assoluto la Consip, le Centrali di acquisto Regionale e Comunale, le principali strutture dei Ministeri, degli Enti e della Sanità e in quello privato le strutture di procurement di uno spettro ampio di grandi aziende come Acea, BNL, Bankitalia, Enel, ENI, FS, H3G, Lottomatica, Poste, Telecom Italia, Terna, Wind, oltre a moltissime realtà di dimensione minore,
  • lato offerta, da tutte le aziende multinazionali, dalle grandi aziende italiane e poi da una miriade di PMI, o uno spaccato che è una foto fedele della galassia italiana, caratterizzata da una numerosità estremamente elevata e variamente frammentata di circa 5mln di imprese, includendo anche le Startup. Il 95% fatto di micro-imprese (<10 addetti), il 4% di vere e proprie piccole e medie imprese (10<addetti<250 e 2mln€<fatturato<50mln€), l’1% di grandi imprese (GI). In termini di Valore aggiunto il 32% è generato dalle GI, il 37% dalle PMI e il 31% dalle Micro (Dati Osservatorio Politecnico Di Milano Convegno “PMI&Sviluppo”). Gli occupati che lavorano all’interno delle PMI costituiscono un ragguardevole 81%. Cifre che parlano da sole e che ci dicono che l’Italia continua ad avere aziende attestate su una dimensione eccessivamente molecolare.

La situazione contingente, che è sotto gli occhi di tutti, è sinteticamente la seguente:

  1. le basi d’asta elevatissime (anche di centinaia di mln€) o i meccanismi di “vendor selection” escludono le PMI e le collocano forzatamente al rango di sub-appaltatore,
  2. gli squilibri nel rapporto mandataria–sub appaltatore schiacciano il secondo a livello economico e finanziario,
  3. l’aggiudicazione delle gare di appalto, in particolare nel pubblico, avviene con ritardi enormi (superiori anche ad un anno) e con ribassi rispetto alle basi d’asta che superano anche il 50%, con punte addirittura del 90%,
  4. il rapporto grande cliente-fornitore, sopra tutto nel pubblico, ma molto spesso anche nel privato, non rispetta le regole di una normale e corretta competizione:
  5. i pagamenti sono fuori controllo a causa di ritardi molto gravi,
  6. sia nell’autorizzazione alla fatturazione,
  7. sia nel rispetto dei tempi di pagamento.

Questo fa sì che le PMI, non solo, abbiano molteplici preoccupazioni e difficoltà in termini di:

  1. recupero dei crediti,
  2. disponibilità di mezzi liquidi,
  3. rapporti con l’erario, le banche, i fornitori, i dipendenti, i Clienti, ma siano costrette a vivere in uno stato permanente effettivo di precariato e di disagio che non facilita né il lavoro di costruzione dell’offerta né la gestione equilibrata di tutte le diverse componenti aziendali. Questo circuito vizioso pone l’imprenditore, senza che questa argomentazione possa apparire come il tentativo di costruire alibi o giustificazioni, in una continua situazione di emergenza, sottraendogli ogni energia economica, finanziaria ed imprenditoriale per dedicarsi allo sviluppo. Attività prioritaria e imprescindibile, prima di tutto, per sopravvivere e, poi, per crescere, nella consapevolezza che o le PMI si attrezzano allo scopo o verranno inesorabilmente espulse e/o brutalmente schiacciate e relegate nelle retrovie.

Il combinato-disposto sin qui descritto fa emergere un quadro paradossale. In un mondo globalizzato nel quale l’ICT è una delle più poderose leve di cambiamento, ciò che avrebbe dovuto costituire una colossale opportunità di crescita si è invece trasformata in un boomerang, perché le PMI del mondo ICT non sono mediamente riuscite ad aumentare né i livelli di produttività né il tasso di innovatività e quindi sono marginali in Italia e non sono in grado di competere all’estero.

A questo punto la domanda più naturale è: come uscire da questo vicolo cieco?

Cambiando registro, costruendo aziende dotate di valori distintivi chiari e con offerte capaci di fornire ai Clienti strumenti competitivi per vincere nella loro competizione. Servono carature diverse, “piccolo non è più bello”, parafrasando il Censis. Bisogna attrezzarsi opportunamente. Occorrono imprenditori svegli, ottime organizzazioni, processi strutturati, risorse umane in gamba, motivate e pagate coerentemente, nel rispetto del loro valore. Ogni struttura deve avere la capacità di fare ricerca e costruire nuove offerte competitive, investendo sulla formazione delle risorse e innovando i processi di funzionamento e delivery. È indispensabile saper progettare il futuro industriale dell’impresa, mettendoci i contenuti, programmando e pianificando la crescita. Che potrà essere perseguita, o facendo acquisizioni, o fondendosi, oppure costruendo reti d’impresa. Gli imprenditori devono re-investire gli utili che saranno capaci di creare e devono al contempo cercare fonti di finanziamento adeguate. Deve però essere loro chiaro che, per avere credito, occorre saper illustrare compiutamente e credibilmente quali siano gli obiettivi, perché siano raggiungibili e come, dimostrando

con assoluta chiarezza perché servono investimenti, quale sia la loro misura, come e perché l’azienda sarà in grado di ri-pagare il debito, in quanto tempo e con quale affidabilità. Questa è la vera sfida. Ma evidentemente essa non può essere vinta da soli.

I miracoli non esistono, anche se spesso alcune narrazioni politiche tendono a tratteggiare ipotesi di questo tipo. La crescita non si fa con i decreti, e non sfugge ad alcuno che per aumentare la produttività sono indispensabili molti investimenti.

Agli imprenditori capaci, determinati, pronti e preparati a fare la loro parte servono però capitali freschi! Sono necessari incentivi, detrazioni, sostegni. Occorrono semplificazione legislativa e leggi ad hoc (e.g. Small Business Act), unite ad una nuova politica della domanda.

In conclusione emerge un quadro chiaro nel quale c’è un assoluto bisogno di chiarezza e di professionalità da parte di tutti i diversi attori. Solo così si potranno correggere le patologie attuali che hanno deformato approcci, atteggiamenti, aspettative e relazioni,

provocando risultati nefasti per tutti. Fallimenti, sofferenze bancarie, recessione o stagnazione sono conseguenze e non cause. Illudersi di cambiare, continuando a perpetuare approcci “tribali” porta all’autodistruzione. La corruzione ha corroso le fondamenta, invelenito e falsato la competizione. Bisogna contribuire a creare un nuovo ecosistema “pulito” in cui sia possibile operare eticamente e correttamente. Questa non è l’opzione di un visionario sognatore, ma è la ricetta di base per fare sviluppo.

Il convegno di oggi è stato organizzato per tutte queste ragioni ed in particolare per apprendere, dalle riflessioni di chi opera nel settore finanziario e in quello degli organismi pubblici di sostegno e incentivazione per lo sviluppo delle imprese, quali siano le modalità e gli strumenti più efficaci per cambiare, migliorare e crescere, nella convinzione che possa scaturirne una riflessione proficua, costruttiva e concreta.