Inquinamento

Plastica, il più grande pericolo per la salute degli oceani

di Sarah Tamburrini |

Difficile stimare la quantità di plastica presente negli oceani. Il National Geographic ha stimato che si tratti di oltre 5.000 miliardi di pezzi di plastica, corrispondenti al 40% dei rifiuti totali presenti in mare. Tante le startup innovative e le soluzioni smart anti-plastica a portata di mano.

Vi siete mai chiesti dove finiscono la maggior parte dei rifiuti che produciamo ogni giorno, se non correttamente smaltiti? La risposta è semplice ed è sotto gli occhi di tutti: negli oceani.

Che sono inquinati quotidianamente da una grande quantità di sostanze di natura antropica, dall’olio esausto, che gettiamo senza pensare ai danni che provoca nello scarico del lavandino dopo una frittura, ai concimi e ai diserbanti che, assorbiti dal terreno, raggiungono falde acquifere e mare.

Ma il più grande pericolo per la salute degli oceani è uno e uno su tutti: le plastiche.

La plastica minaccia la vita negli oceani

È difficile anche solo stimare la quantità di plastica presente nei mari. C’è chi parla di decine di milioni di tonnellate, ma recentemente il National Geographic ha stimato che si tratti di oltre 5.000 miliardi di pezzi di plastica, corrispondenti al 40% dei rifiuti totali presenti in mare. 

E questo numero è in costante aumento: ogni minuto l’aumento della quantità dei rifiuti negli oceani corrisponde a un camion pieno di spazzatura che scarica direttamente in acqua.

Se vogliamo salvare i nostri oceani, ci è rimasto veramente poco tempo. Ed è proprio questo l’elemento indispensabile, il tempo, perché la salute dei nostri oceani rischia di avere le ore contate.

Se la situazione rimarrà invariata, le condizioni degli oceani peggioreranno a un punto tale da far prevedere che nel 2050 ci sarà più plastica che pesci.

Nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione per la riduzione dell’utilizzo della plastica, soprattutto negli imballaggi, essa rimane uno dei materiali più presenti nei prodotti che usiamo quotidianamente ed è tra quei materiali che ci mettono più tempo a degradarsi.

Infatti, questo materiale impiega dai 100 ai 1000 anni per essere biodegradato del tutto dal nostro pianeta.

Tutto ciò non ha solo ripercussioni sulla salute degli oceani, ma anche su quella di chi li popola.

Una volta che gli oggetti finiscono in acqua a causa dell’erosione si trasformano in piccoli frammenti, micro particelle, che vengono ingeriti da uccelli e pesci, causandone il soffocamento.

Ma senza rendersene conto, l’uomo oltre a compromettere gli oceani danneggia anche la propria salute.

Le microplastiche

Le microplastiche, ossia minuscoli frammenti di plastica con dimensioni ben inferiori ad un millimetro, sono presenti nei pesci, molluschi, sali, zuccheri e perfino nell’acqua in bottiglia che beviamo; da lì finisce nel nostro corpo e gli effetti che possa avere sulla nostra salute non sono ancora ben noti.

Il bisogno di sostenibilità è ritornato sull’agenda dei governi per permettere una crescita ecosostenibile nello scenario post Covid-19. Probabilmente l’utilizzo di guanti e mascherine monouso che usiamo ogni giorno per proteggerci incideranno sulle condizioni degli oceani. Un piano dettagliato sul loro smaltimento è necessario per evitare che finiscano in mare.

Ma in questo disastro ambientale globale, c’è un raggio di speranza.

Gli effetti disastrosi delle azioni dell’uomo sugli oceani hanno ispirato molti innovatori a trovare soluzioni ingegnose per contrastare l’inquinamento da plastica.

Le soluzioni innovative che vi illustreremo riguardano sia progetti per la raccolta e il riciclo della plastica, sia le modalità per misurare l’inquinamento delle acque.

Secondo Greenpeace, le reti da pesca rappresentano una delle maggiori fonti di inquinamento del mare. Vengono chiamate “ghost gear”, ossia attrezzature fantasma, per il loro potere di intrappolare ed uccidere qualsiasi animale che vi si imbatta, addirittura una balena.

Startup innovative

Bureo, che significa onda in spagnolo cileno, è una start-up californiana che ha trovato un modo innovativo per disfarsi e smaltire le reti da pesca in modo ecosostenibile.

L’idea geniale, che potrebbe risolvere una volta per tutte questo problema, è quella di trasformare le vecchie reti, che ogni anno vengono gettate in mare, in oggetti come skateboard ed occhiali da sole.

Bureo non è l’unica start-up che prova a contrastare l’inquinamento da reti da pesca.

Un’altra soluzione è quella proposta da Parley, che raccoglie la plastica dai mari per poi farla trasformare in filato dalla Bionic.

Sfruttare le nuove tecnologie disponibili può portare a delle invenzioni rilevanti e fondamentali per la battaglia contro la plastica.

L’esempio perfetto proviene dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale dell’Università inglese di Plymouth, che ha costruito la barca del futuro, una barca che attraverserà l’Atlantico nel prossimo mese di settembre.

L’imbarcazione, completamente autonoma, sarà chiamata Mayflower Autonomous Ship (MAS), in onore della nave che trasportò i coloni inglese verso il nuovo mondo.

Ed è proprio questo l’obiettivo: creare un nuovo mondo, monitorando i mammiferi marini e le microplastiche presenti nelle acque tramite questa imbarcazione alimentata ad energia solare.

Anche la start-up texana Terradepth sta esplorando nuovi modi per contrastare l’inquinamento da plastica, creando una flotta marina di robot che provvederanno alla mappatura e alla scansione del fondale marino contribuendo così alla sensibilizzazione dei consumatori a prendere decisioni nel rispetto dell’ambiente.

Soluzioni smart anti-plastica

Un’ulteriore innovazione efficace, questa volta pensata in Guatemala, è la costruzione di una diga fatta con bottiglie di plastica.

Oltre a riciclare la plastica, la diga blocca la maggior parte dei rifiuti che galleggiano sulla superficie dei fiumi.

In questo modo 60% in meno di rifiuti finisce in mare rendendo non solo le acque meno inquinate, ma anche le spiagge più pulite.

Un altro sorprendente progetto è quello ideato dalla società tecnologica olandese RanMarine con la costruzione del “Waste Shark”: un drone che aspira non solo la plastica, ma anche rifiuti organici e detriti presenti nelle acque.

L’ultima rivoluzione è quella che riguarda le buste di plastica, un altro fattore che contribuisce all’inquinamento delle acque.

Ad oggi più di 100 nazioni hanno vietato l’utilizzo di buste di plastica realizzate in materiale non biodegradabile.

Campagne contro la diffusione di questo prodotto si sono diffuse ovunque, come quella portata avanti da due giovani sorelle indonesiane che fondarono nel 2013 l’ONG “Bye Bye Plastic Bags”, divenuta oggi un movimento globale.

Queste soluzioni rappresentano una speranza per il nostro pianeta.

Gli oceani sono una grande risorsa ed è necessario impiegare ogni soluzione per provvedere alla loro protezione. E bisogna fare presto, perché non ci rimane molto tempo.