Il trend

Pirateria online in crescita, troppi abbonamenti da fare per vedere Netflix e le altre piattaforme

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L’offerta legale di contenuti audiovisivi in rete è ampia, ma fare più di un abbonamento mensile costa troppo e il pubblico si rivolge di nuovo ai pirati, a danno del diritto d’autore e di un’intera industria che investe e da lavoro.

Sembrava una partita chiusa quella contro la pirateria audiovisiva online e invece il fenomeno è tornato a crescere a livello mondiale. Il motivo? Semplice, il gran numero di piattaforme web che offrono legalmente film e serie tv come Netflix, Amazon, Hulu, BBC iPlayer, Virgin, HBO, Showtime e YouTube, solo per citarne alcune, ha inizialmente attratto molti utenti, anche giovani o giovanissimi, spingendoli a sottoscrivere altrettanti abbonamenti.

Il risultato è stato che la spesa elevata mensile per guardare serie tv e film su più piattaforme ha spinto gli stessi utenti a ridurre sensibilmente gli abbonamenti e allo stesso tempo a guardare altri contenuti online in streaming su piattaforme pirata.

Questo è accaduto soprattutto in Asia e in parte in Europa, molto meno negli Stati Uniti.

Ad evidenziare questa inversione di tendenza è stato il Times che, riportando lo studio “The Global Internet Phenomena Report”,  da poco pubblicato dalla società tecnologica Sandvine, ha posto all’attenzione di tutti il trend positivo registrato da piattaforme di file sharing molto popolari come BitTorrent, che oggi rappresenta il 31% di tutti i dati caricati su internet in Europa, Medio Oriente e Asia, contro il 27% del 2015.

Mai come oggi sono disponibili on demand e legalmente in streaming un gran numero di prodotti audiovisivi di ottima qualità, offerti in esclusiva su più piattaforme, solo che il pubblico è disposto solo a pagare per uno o due abbonamenti, perché altrimenti il conto mensile sarebbe troppo elevato e così il resto preferisce piratarlo”, ha dichiarato al giornale Cam Cullen, vice presidente Golbal marketing di Sandvine.

In effetti la fertile produzione internazionale di contenuti audiovisivi legalmente tutelati da copyright ha attratto un pubblico molto numeroso, il quale ha certamente apprezzato, tanto da non voler più rinunciare a tutta questa offerta di film e serie, di cartoon e documentari, nonché eventi sportivi, teatrali e musicali, al costo di consumarli su reti pirata.

Tra i motivi principali di questo comportamento del pubblico che sfocia nell’illegalità andando ad alimentare le piattaforme pirata online, secondo Cullen, troviamo: “la voglia di accedere a contenuti che sono trasmessi solo in un Paese, oppure la voglia di vedere le nuove puntate di una stagione celebre come ‘Game of thrones’ in concomitanza con il loro lancio negli USA, è per questo che le persone sono disposte a tornare sui siti pirata per non perdere niente di quanto accade sui circuiti dello spettacolo audiovisivo internazionale, perché i pirati offrono tutto in ogni momento”.

Netflix oggi rappresenta il 15% del traffico downstream globale, secondo il Report Sandivine, contro l’11,4% di YouTube. Di tutto questo traffico, il video rappresenta il 58%, seguito dalla navigazione web al 17% e quindi dal gaming al 7,8%.

Fino al 2022, secondo stime Statista, la pirateria causerà danni per 154 miliardi di dollari di mancati ricavi a livello mondiale. Se nel 2017 la pirateria portava via 31,8 miliardi di ricavi all’industria globale dell’audiovisivo, nel 2018 si attendono danni pari a 37,4 miliardi, fino ai 51,6 miliardi calcolati per il 2022.

In Italia, nell’ultimo anno, la pirateria online ha causato danni economici per 617 milioni di euro, si legge nell’ultimo studio FAPAV/Ipsos dal titolo “Industria, consumi culturali e comportamenti illeciti, presentata a Roma a luglio di quest’anno.

Nonostante il fenomeno sia in calo nel nostro Paese, grazie a misure e strumenti efficaci di repressione dei comportamenti illeciti, che cominciano a dare i propri frutti in termini di riduzione degli atti di pirateria e di pubblico recuperato, l’impatto negativo sul PIL è stato calcolato attorno ai 369 milioni di euro di perdite, con un taglio di 5.700 posti di lavoro nelle aziende della filiera dell’audiovisivo.