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Petrolio, il rialzo dei prezzi taglierà l’1% del PIL di Cina e Turchia

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I prezzi delle materie prime continuano a volare alti e secondo la Banca mondiale i rialzi del petrolio avranno un impatto pesante sui grandi importatori, arrivando ad intaccare la crescita di un decimo di punto percentuale ogni 10% di aumento del prezzo del combustibile fossile. E poi c’è la crisi del grano e del mais.

A rischio le economie dei grandi importatori di petrolio

Stamattina il prezzo brent ha superato più volte, anche se di poco, i 131 dollari al barile, con un rialzo del 2% subito dopo l’annuncio dell’amministrazione americana di troncare di netto tutte le importazioni di combustibili fossili (gas, petrolio e carbone) dalla Russia.

Secondo la Banca mondiale, i continui rialzi dei prezzi del petrolio potrebbero avere effetti diretti molto pesanti su alcune economie, soprattutto quelle più dipendenti dall’importazione di questo combustibili fossile.

Secondo Indermit Gill, vicepresidente Equitable Growth, Finance and Institutions della Banca mondiale, i grandi importatori come Cina, Sud Africa, Indonesia e Turchia, potrebbero vedersi decurtare il prodotto interno lordo dell’anno in corso fino ad un punto percentuale.

Chi compra più petrolio dalla Russia?

La Cina è la più esposta, perché ogni anno importa petrolio per 23,7 miliardi di dollari, seguita dall’Olanda per 9,4 miliardi, dalla Germania per 6,3 miliardi, la Corea del Sud per 5 miliardi, la Polonia per 4,1 miliardi, l’Italia per 3,7 miliardi, la Bielorussia per 3,5 miliardi, la Finlandia per 2,7 miliardi, il Giappone per oltre 2 miliardi di dollari.

Un aumento del 10% del prezzo del petrolio ha la capacità di ridurre la crescita dei Paesi importatori di un decimo di punto percentuale, secondo la Banca mondiale.

Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, si stimava che il Sudafrica potesse crescere del 2% l’anno nel 2022 e nel 2023, la Turchia fino al 3% e la Cina fino al 5%. Ora è tutto da rivedere.

Stesso destino per i Paesi cosiddetti in via di sviluppo o emergenti, dove l’impatto della crisi energetica legata alla guerra in Ucraina potrebbe danneggiare ulteriormente le economie più deboli e le comunità più fragili.

La guerra del grano minaccia centinaia di milioni di poveri nel mondo

Non bisogna dimenticarsi che Ucraina e Russia assieme rappresentano il 25% delle esportazioni globali di grano e infatti sono sempre state considerate “i granai del mondo”.

Il prezzo del grano ieri è calato dell’8%, quello del mais del 2% e della soia appena dello 0,2%. Non una buona notizia, però, perché sta a significare che c’è alta volatilità e questo mercato è in balia degli speculatori.

Basti pensare che le quotazioni sul mercato future di Chicago per il grano restano sempre ai massimi storici, per un valore di 11,54 dollari per bushel (27,2 chili), ma su livelli alti si collocano anche le quotazioni di mais (7,54 dollari per bushel) e soia.

Anche il responsabile del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, David Beasley, ha lanciato un allarme molto serio sulle possibili conseguenze catastrofiche dell’aumento del prezzo del grano e del mais sulle popolazioni più povere.

Il prezzo di queste risorse alimentari di base per la sussistenza potrebbe raddoppiare in breve tempo, ha spiegato Beasley, con gravi ripercussioni su una fascia di persone molto povere, che negli ultimi quattro anni sono passate da 80 milioni a 276 milioni a livello globale.