Energy dominance

Petrolio, gas e GNL, la supremazia fossile degli USA ai massimi storici

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In un mondo sempre più attento alle transizioni energetiche e alle sfide climatiche, gli Stati Uniti sembrano aver trovato nella leadership petrolifera e del gas una leva strategica per rafforzare la propria influenza globale. Un dominio che, secondo gli analisti, è destinato a durare almeno per i prossimi decenni. Il Report di Wood Mackenzie.

A quasi vent’anni dalla rivoluzione dello shale, gli Stati Uniti si confermano la prima potenza energetica mondiale. Secondo i dati riportati nell’ultimo report di Wood Mackenzie, oggi gli USA producono più petrolio della stessa Arabia Saudita e più gas naturale della Russia. Sommando petrolio, gas e liquidi associati (come etano e propano), la produzione americana supera quella combinata dei suoi due principali rivali.

Un cambiamento epocale se si pensa che appena 25 anni fa Washington sembrava destinata a dipendere sempre più dalle importazioni energetiche. Oggi, invece, sono le esportazioni di gas naturale liquefatto (GNL) verso l’Europa a sostenere le economie del Vecchio Continente, specialmente dopo il crollo dei flussi russi nel 2022. Allo stesso modo, i volumi record di greggio americano hanno permesso agli Stati Uniti di assorbire shock di offerta globale e di sostenere sanzioni più severe contro altri Paesi produttori.

Numeri da record

La corsa degli Stati Uniti verso la supremazia energetica si traduce in cifre impressionanti che ne consolidano il primato globale. Petrolio, gas e GNL non sono solo le colonne portanti dell’export americano, ma anche strumenti strategici di influenza geopolitica ed economica. Ecco i numeri che raccontano il dominio fossile made in USA:

  • 20%: la quota della produzione petrolifera globale attribuibile agli USA (includendo greggio, condensati e NGLs).
  • 25%: la quota della produzione mondiale di gas naturale detenuta dagli USA.
  • 1° posto: esportatore mondiale di LNG.
  • 3° posto: esportatore mondiale di greggio e condensati.
  • 52%: la quota dell’energia primaria globale ancora coperta da petrolio e gas.
  • <12 mesi: il periodo medio di rientro degli investimenti nei progetti shale statunitensi.

In particolare, la competitività americana si fonda su quattro pilastri principali: la riduzione continua dei costi, la flessibilità del capitale, l’innovazione tecnologica e un quadro normativo favorevole.

1. Riduzione continua dei costi

Dal 2005 a oggi, i prezzi di pareggio per i pozzi non convenzionali si sono ridotti del 65% in termini reali. Se nel 2005 erano necessari 70 dollari al barile per rendere profittevole un pozzo, oggi in alcuni bacini bastano 35 dollari. Lo stesso vale per il gas: da 5 a 2,5 dollari per milione di BTU. A rendere possibile questo salto sono stati l’efficienza operativa, la gestione ottimizzata della catena di fornitura e l’adozione di tecnologie all’avanguardia.

2. Flessibilità del capitale

Il modello americano si distingue per la sua “short-cycle flexibility”: la capacità di modulare rapidamente gli investimenti in base all’andamento dei prezzi. Nei progetti shale del Lower 48, i pozzi possono essere perforati in poche settimane e ripagare l’investimento in meno di un anno. Questo consente alle aziende USA di reagire in tempi record alle condizioni di mercato, un vantaggio rispetto alla rigidità di molti concorrenti internazionali.

3. Innovazione tecnologica

Il futuro della supremazia americana si gioca anche sul fronte dell’innovazione. Colossi come ExxonMobil stanno sperimentando tecnologie di diagnostica del sottosuolo basate su intelligenza artificiale per ridurre gli sprechi e ottimizzare la produzione. Obiettivo: ridurre ulteriormente i costi unitari e sbloccare nuove riserve ancora inutilizzate. Secondo Wood Mackenzie, queste tecnologie riusciranno ad abbattere i costi di 5 dollari al barile, una soglia ritenuta plausibile, il tight oil americano resterà competitivo per decenni.

4. Quadro normativo favorevole

Il sistema fiscale e regolatorio statunitense si è rivelato storicamente molto attrattivo per gli investitori upstream, facilitando l’afflusso di capitali e l’espansione continua della produzione.

Una sfida aperta con la Cina

Se gli Stati Uniti guidano ancora la classifica della produzione energetica convenzionale, la Cina emerge sempre più come leader delle tecnologie alternative. Con forti investimenti in veicoli elettrici, batterie, rinnovabili e nucleare, Pechino sta costruendo un ecosistema energetico alternativo, pur restando ancora dipendente dal carbone. Tuttavia, nel lungo termine, sottolinea il Report, il vantaggio competitivo cinese potrebbe giocarsi sul fronte della decarbonizzazione.

Una strategia a lungo termine

L’“energy dominance” americana non è solo una realtà attuale, ma anche una strategia a lungo termine. In base ai dati riportati, per consolidare questa posizione nei prossimi decenni servirà però visione strategica: dalla continua innovazione tecnologica, al rafforzamento dei rapporti commerciali, fino alla gestione intelligente della transizione energetica.

In un mondo che corre verso il net zero, gli USA dovranno bilanciare la propria supremazia fossile con un ruolo credibile anche nel futuro energetico sostenibile.

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