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Petrolio, dalle 7 sorelle ai giganti cinesi. Chi controlla oggi il mercato globale dell’oro nero?

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Ad avere conservato intatto il proprio nome è solo l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, ma le altre società hanno nel tempo cambiato nome sotto fusioni e acquisizioni. E oggi devono fare i conti anche con le mega controllate di Pechino. La classifica mondiale delle grandi petroaziende per fatturato.

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Saudi Aramco prima per produzione, ma per fatturato vince la cinese Sinopec

C’erano una volta le 7 sorelle, e in realtà ci sono ancora, anche se un po’ meno potenti. Sono le aziende che hanno dominato il mercato del petrolio nel mondo tra la metà degli anni ’40 e la metà degli anni ’70. A dare loro tale nomignolo era stato Enrico Mattei, il fondatore dell’italiana Eni che aveva cercato invano di contrastare il potere di questi colossi economici. Prima della crisi petrolifera del 1973, infatti, le 7 sorelle controllavano ben l’85% delle riserve di greggio nel mondo. A legarle oltre che accordi di cartello anche la comune origine anglosassone.

Quali erano le 7 sorelle

Si trattava di:

  • Anglo-Iranian Oil Company
  • Royal Dutch Shell
  • Standard Oil Company of California
  • Gulf Oil
  • Texaco
  • Standard Oil Company of New Jersey
  • Standard Oil Company of New York

Ad avere conservato intatto il proprio nome è solo l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, ma le altre società non sono scomparse, e, anzi, sotto nuova forma, dopo fusioni e incorporazioni, sono ancora responsabili di una buona parte della produzione mondiale di petrolio. La Anglo-Iranian Oil è diventata Bp, mentre la Standard Oil Company of California è divenuta Chevron e ha acquisito gran parte di Gulf Oil. Chevron ha poi comprato anche Texaco, nel 2001. La Standard Oil of New Jersey, invece, si è trasformata in Exxon e ha acquisito nel 1999 Mobil, che altro non era che il nuovo brand della Standard Oil Company of New York. Ha così ulteriormente cambiato nome in ExxonMobil.

A discendere dalle 7 sorelle non sono, però, solo Bp, ExxonMobil, Chevron, ma anche la Saudi Aramco, creata dalla Standard Oil of California e poi controllata anche da Texaco e Standard Oil of New Jersey, ma nazionalizzata completamente dal governo saudita negli anni successivi alla crisi petrolifera del 1973. È proprio Saudi Aramco oggi il maggior produttore di petrolio a livello mondiale, con una capacità di 12,1 milioni di barili al giorno. Tuttavia a insidiare il dominio dei figli de le 7 sorelle sono giunti i colossi cinesi, che anche in campo energetico, come in molti altri, per esempio i trasporti, sono emersi molto velocemente.

Sinopec e Petrochina battono le 7 sorelle nel fatturato

La loro ascesa è evidente soprattutto se si guarda al fatturato dei principali produttori di petrolio e gas. Come si vede nell’infografica sopra, a dominare la classifica dei ricavi è Sinopec, ovvero China Petroleum & Chemical Corporation, che nel 2020 è arrivata a 323,6 miliardi di dollari. È controllata al 75% dal governo cinese e supera Petrochina, al secondo posto con 226,3 miliardi. Anche quest’ultima è di fatto proprietà dello Stato dato che è in gran parte del gruppo statale dell’energia China National Petroleum Corporation. 

Solo dopo queste due aziende cinesi viene Saudi Aramco, con 229,7 miliardi di dollari di fatturato nel 2020. Quasi tutte le successive società petrolifere sono anch’esse discendenti de le 7 sorelle, come Royal Dutch Schell (180,5 miliardi di dollari), BP (180,4), ExxonMobil (178,6), Chevron (94,5). Fa eccezione solo la francese TotalEnergies, ovvero la Total, che dal febbraio 2021 ha assunto questo nuovo marchio.

La crisi del 2020 e la ripresa successiva

Questi dati si riferiscono in realtà all’anno di maggiore crisi del settore, il 2020, quando a causa della pandemia e delle restrizioni ai movimenti e all’attività produttiva la domanda di energia, e quindi anche di petrolio, è crollata. Nel periodo precedente al Covid naturalmente i ricavi delle maggiori aziende petrolifere erano stati maggiori, in alcuni casi anche molto più alti. Due ex 7 sorelle, per esempio, Royal Dutch Shell e Saudi Aramco, nel 2018 superavano Petrochina quanto a fatturato, con 388,4 e 355,7 miliardi di dollari contro i 342 dell’azienda cinese. Il colpo inferto dalla pandemia, tuttavia, è stato più doloroso per loro, e hanno subìto un crollo dei ricavi decisamente più pronunciato.

Secondo i dati dell’Opec la diminuzione della domanda di petrolio nel mondo nel 2020 ha colpito meno il mercato cinese di quello americano ed europeo, principali clienti delle aziende discendenti dalle 7 sorelle. Tra 2019 e 2020 la richiesta di greggio è calata in Cina da 13,65 a 13,52 milioni di barili al giorno, mentre negli Usa è passata da 20,65 a 18,35 e in Europa da 14,31 a 12,44.

Nel 2021 vi è stato un recupero, che però è stato parziale in Occidente, dove non si sono raggiunti i livelli del 2019, mentre questi sono stati superati in Cina, dove si è arrivati a una domanda di 14,5 milioni di barili al giorno.

Tuttavia le previsioni dicono che il 2022 sarà l’anno della ripresa completa: globalmente secondo l’Opec il fabbisogno sarà di 100,79 milioni di barili al giorno, più dei 100,1 del 2019, e secondo l’Eia (United States Energy Information Administration) tale domanda sarà soddisfatta da una produzione di 101,05 milioni di barili al giorno.

I profitti delle aziende petrolifere, numeri da record nel 2021

Queste stime al rialzo vanno di pari passo con i numeri positivi dei bilanci del 2021 dei maggiori produttori di petrolio e di energia in generale. Nel 2020 avevano avuto la performance peggiore in borsa tra quelle quotate nell’indice azionario S&P 500, con una perdita media del 37%. L’anno scorso, invece, sono quelle che hanno potuto godere del rimbalzo migliore, mettendo a segno nei listini un +53%, a fronte di un progresso medio dell’indice S&P 500 del 26,9%.

Si è trattato della conseguenza della crescita dei profitti delle aziende di questo settore: le 24 più grandi, tra cui naturalmente le ex 7 sorelle ExxonMobil, Chevron, BP, Royal Dutch Shell, ne hanno accumulato nei primi nove mesi del 2021 per 174 miliardi di dollari, di cui 74 solo nel terzo trimestre. Tra giugno e settembre gli utili di ExxonMobil, per esempio, sono stati di 6,75 miliardi, mentre quelli di Bp di 3,3.

La crescita del prezzo del greggio, che è arrivato a livelli mai toccati dal 2014, sta provocando inflazione in tutto il mondo, mettendo in pericolo la ripresa delle economie, ma allo stesso tempo beneficia sia i Paesi produttori di petrolio sia quelle aziende che della sua estrazione si occupano.

Le 7 sorelle e la sfida della transizione energetica

Per quanto riguarda il futuro più lontano, però, per queste imprese si intravedono nuove sfide: non solo il crescente strapotere cinese, ma anche e forse soprattutto, la transizione energetica. Bill Gates alla COP26 di Glasgow ha predetto che il valore di mercato di alcuni giganti come le ex 7 sorelle sarà molto minore tra 30 anni, a causa del declino delle fonti fossili. A meno che queste non siano capaci di essere protagoniste anche nel nuovo mondo dominato dall’elettrico e dalle energie rinnovabili.

Chi ha inventato il nome “le 7 sorelle”

Non è chiaro chi abbia coniato il termine “7 sorelle”, ma si pensa che sia stato usato per la prima volta in un articolo del 1951 pubblicato da un quotidiano italiano: Il Sole 24 Ore per descrivere le sette compagnie petrolifere che controllavano l’industria petrolifera mondiale.

I dati si riferiscono al: 2020-2021
Fonte: Dati delle singole aziende, Opec, Eia