Le nostre città, sempre più grandi, popolose e caotiche, hanno un punto debol e, si chiama periferia. Da qui Renzo Piano è partito con un gruppo di giovai architetti per accendere un faro su questa parte fragile delle future smart city e per avanzare delle proposte concrete di trasformazione e innovazione.
Senatore a vita, l’archistar ha messo a disposizione del progetto G124 (team da lui creato e finanziato devolvendo l’intero stipendio da senatore) l’ufficio di cui dispone a Palazzo Giustiniani a Roma, per dare spazio e vita ad un laboratorio urbano col fine di immaginare assieme il futuro della città a partire dalle sue vulnerabilità principali.
Ne è nato il “Rapporto 2013-2014 G124”, con l’introduzione dell’ex Presidente della Repubblica, oggi senatore a vita, Giorgio Napolitano, e del Presidente del Senato, Pietro Grasso. Frutto di un bando pubblico per la ricerca di 6 architetti (3 donne e 3 uomini) per un’azione di studio sul miglior modo di ‘rammendare’ le periferie italiane, il team G124 si è occupato di sei aree di lavoro: recupero/rigenerazione edilizia; trasporto pubblico locale; luoghi di incontro e scambio; processi partecipativi; spazi verdi come connettivo; bellezze nascoste.
“Ho pensato di lavorare alla trasformazione della città, a partire dalla sua parte più fragile che sono le periferie dove vive la maggior parte della popolazione urbana”, ha spiegato Piano nella pubblicazione. “Credo che il grande progetto del nostro Paese sia quello delle periferie: la città del futuro, la città che sarà, quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. Sono ricche di umanità, qui si trova l’energia e qui abitano i giovani carichi di speranze e voglia di cambiare”.
L’architetto italiano, tra i più famoso in tutto il mondo, conosce bene la realtà delle periferie, il loro disagio e il costante senso di abbandono che le indebolisce, visto che è cresciuto a Pegli, periferia di Genova, e poi da studente del Politecnico di Milano ha alloggiato a Lambrate: “Oggi la crescita delle città anziché esplosiva deve essere implosiva, bisogna completare le ex aree abbandonate dalle fabbriche, dalle ferrovie e dalle caserme, c’è un sacco di spazio a disposizione. Si deve intensificare la città, costruire sul costruito, sanare le ferite aperte. Di certo non bisogna costruire nuove periferie oltre a quelle esistenti: devono diventare città ma senza espandersi a macchia d’olio, vanno ricucite e fertilizzate con strutture pubbliche”.
Piano ha sempre guardato a questi lembi di città feriti e denigrati. Alcuni dei progetti più importanti della sua carriera sono proprio relativi alla riqualificazione di periferie urbane, dalla Columbia University ad Harlem, al nuovo palazzo di giustizia nella banlieue di Parigi al polo ospedaliero di Sesto San Giovanni che sorgerà dove un tempo c’era la Falck. Aree che gli anglosassoni chiamano brownfield, ovvero terreni industriali dismessi su cui innestare la trasformazione in chiave smart city.
Lo studio è relativo al lavoro svolto dal team G124 sulle periferie delle nostre città e ogni anno, in concomitanza con l’arrivo di altri giovani architetti nel gruppo, ne proporrà di nuovi. Per questo Rapporto 2013/2014, tre capitoli sono dedicati ai casi studiati dai sei giovani architetti nelle periferie di Torino, Roma e Catania, mentre a completamento dell’opera è stata inserita la raccolta dei temi di maturità scritti dagli studenti che hanno scelto la traccia sulle periferie e il loro ‘rammendo’.