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35 data center delle Pa per il cloud nazionale. Pisano: “Sarà una joint venture tra Stato-privati”

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Per AgID su 1.252 data center della PA solo 62 sono sicuri e possono continuare a funzionare, di questi 35 faranno parte del cloud nazionale che “sarà gestito da una joint venture tra lo Stato e i privati per lo storage dei dati critici della Pubblica amministrazione”, ha annunciato la ministra Paola Pisano che si ispira al modello inglese. Ecco come funziona il Cloud del Governo Uk.

È chiara la strategia del Governo sul cloud nazionale per mettere in sicurezza i dati critici del Paese, quelli che rientrano nel perimetro di sicurezza nazionale.

“Sarà una joint venture tra lo Stato e i privati a gestire il cloud nazionale per i dati strategici della Pubblica amministrazione”, ha spiegato la ministra per l’Innovazione Paola Pisano, in un’intervista al Sole 24 Ore, sottolineando “si tratterà di un soggetto europeo, per evitare rischi geopolitici, e il partner, che avrà una quota di minoranza, sarà selezionato con una gara pubblica”.

Perché la joint venture tra lo Stato e i privati per il cloud nazionale?

Ma perché la joint venture tra lo Stato e i privati per il cloud nazionale e non puntare esclusivamente sui data center all’avanguardia delle Pa centrali e locali?

“Il Polo nazionale sarà un soggetto europeo selezionato con procedure a evidenza pubblica, dotato di adeguate capacità industriali”, ha indicato Pisano, che ha aggiunto: “Si tratta di un modello già sperimentato con successo in Inghilterra. La soluzione che abbiamo in mente è un soggetto di mercato – auspicabilmente unico – che farà da Polo strategico nazionale. Il controllo sarà pubblico, ma con una quota di minoranza ci sarà un partner industriale o un pool di partner privati che verranno scelti con una procedura ad evidenza pubblica.”

Come funziona il modello inglese?

Paola Pisano fa riferimento al modello inglese, perché nel 2013 il Governo del Regno Unito ha avviato il progetto Crown Hosting Data Centres, una joint venture tra lo Stato e la società Ark Data Center, grazie al quale:

  • nel 2015 ha attivato due data center nazionali;
  • ad oggi ha fatto confluire le piattaforme di quasi tutte le Pubbliche Amministrazioni centrali (24 su 27) e di 5 amministrazioni locali.

Grazie a questo semplice passaggio, ogni amministrazione che ha aderito al progetto ha recuperato il costo della transizione entro il primo anno e risparmiato fino al 60 per cento dei costi di gestione già dal secondo anno. Allo stesso tempo oggi il governo britannico può contare su una maggiore protezione di molti dei propri servizi fondamentali come la difesa, la sanità, l’istruzione, la giustizia.

Inoltre sta per essere lanciato framework G-Cloud 12 ideato dal governo Uk al quale i cloud provider possono candidarsi dal 3 marzo 2020. G-Cloud è aperto a tutti fornitori di servizi cloud, piccoli e grandi, e non è necessario avere sede nel Regno Unito per candidarsi al cloud nazionale Uk. Poi il 5 giugno 2020 il CCS (Crown Commercial Service) comunicherà quali cloud provider potranno essere inseriti nel Digital Marketplace per offrire servizi al settore pubblico e il contratto con il Governo è previsto dal 2 luglio prossimo.

E i data center all’avanguardia delle Regioni italiane?

“Il ruolo delle Regioni è fondamentale, proprio per il processo di aggregazione”, ha dichiarato Paola Pisano. “Non vedo una loro opposizione, al massimo delle incomprensioni. Firmeremo con loro un protocollo d’intesa su vari punti del piano di digitalizzazione, incluso il cloud”.

Solo 35 data center delle PA candidabili all’utilizzo da parte del Cloud nazionale

E leggendo i risultati del censimento di AgID, pubblicati oggi, su 1.252 data center delle Pa solo 62 sono sicuri e possono continuare a funzionare, di questi 35 sono stati classificali all’utilizzo da parte del polo strategico nazionale. (Tra questi c’è anche il data center di Liguria Digitale e di altre in-house regionali, come anticipato ieri).

Al censimento di AgID hanno risposto 990 Pubbliche amministrazioni su un totale di 1.252 data center censiti. Si tratta di un campione altamente rappresentativo di tutte le tipologie di PA: dalle PA centrali a quelle locali, passando per Asl e università.

Dei 1.252 data center censiti:

  • 35, come detto, sono risultati candidabili all’utilizzo da parte del polo strategico nazionale;
  • 27 sono stati classificati nel gruppo A;
  • i restanti 1.190 sono stati classificati nel gruppo B.

“Le amministrazioni locali che gestiscono i data center più inefficienti ma anche quelle che non hanno partecipato al censimento hanno due possibilità:”, ha sottolineato Pisano,” passare direttamente al cloud o aggregarsi a una delle infrastrutture più sicure. “Se invece si tratta di dati e servizi critici gestiti da amministrazioni centrali”, ha continuato, “passeranno sotto la gestione del Polo strategico nazionale”.

Cloud nazionale, come sarà? Il piano Pisano

Cerchiamo di capire più nel dettaglio il piano Pisano sul Cloud nazionale.

“Il Polo si occuperà solo dei dati critici, quelli che rientrano nel perimetro di sicurezza nazionale, e comunque, per i diversi profili di competenza, sarà vigilato dalle varie Authority di regolamentazione esistenti”, ha detto la ministra dell’Innovazione. “Dovrà sviluppare un vero modello di business per la gestione dei servizi in cloud, con una visione di lungo periodo. Ma gestirà anche una parte di infrastrutture e spazi fisici per lo storage”.

Federalismo digitale

Il riferimento è a ‘”Smart Regions 2025”, la proposta di intesa Regioni-Governo che l’assessore ai Sistemi informativi del Friuli Venezia Giulia, Sebastiano Callari, nella sua veste di coordinatore della Commissione agenda digitale della Conferenza delle Regioni e Province autonome, ha consegnato al ministro per l’Innovazione, Paola Pisano.

L’accordo, se condiviso dal Ministero – ha spiegato Callari -, assegna formalmente alle Regioni il ruolo di aggregatore territoriale per il digitale (Atd), che pone le basi per una sorta di federalismo digitale dei territori, un sistema alternativo alle politiche di centralizzazione avviate nel settore e che, come nel caso della banda ultra larga, non stanno raggiungendo gli obiettivi sperati. Il modello organizzativo, già sperimentato in sanità, è quello hub and spoke, che si avvale di un polo strategico nazionale, ma lascia la gestione operativa e dei dati alle Regioni”.

Oltre a prevedere la costituzione di un tavolo permanente sul sistema informativo, per garantire un allineamento costante tra Regioni e Governo e la piena convergenza di intenti tra istituzioni, la proposta è quella di istituire un fondo nazionale per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, stimato in cento milioni di euro all’anno per un triennio.