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Perché il valore di un Non Fungible Token (NFT) dipende anche dalla qualità del link

Il presente articolo, scritto a quattro mani da un avvocato e da un economista, cerca di fare luce sulla scelta delle piattaforme su cui realizzare degli NFT e conseguentemente cederne la proprietà (venderli, barattarli, donarli, etc.). In un altro articolo, cui si rimanda, Paolo Maria Gangi ha avuto modo di fornire una panoramica generale su cosa siano gli NFT e ha introdotto il tema del rischio legale ove il creatore di tali token non fungible non sia, in effetti, titolare del diritto d’autore sul file incorporato nell’NFT: il presente articolo approfondisce un altro aspetto di rischio nell’ambito degli NFT.

NFT: la necessità della piattaforma

La prima questione che ci sembra importante sottolineare è che gli NFT – indipendentemente dalla loro riconducibilità al reame dell’arte, dei collectibles (in italiano: gli oggetti da collezioni, come le figurine Panini) o dei certificati di autenticità – hanno la peculiarità che non possono nascere né essere scambiati senza una piattaforma che li ospiti e ne gestisca, dal punto di vista della blockchain sottostante, il trasferimento. In questo senso, mentre le figurine Panini si possono scambiare tra ragazzini all’angolo di una strada e le opere d’arte sono, in genere, intermediate dalle case d’aste per ragioni di opportunità ma potrebbero anche essere scambiate in base a un accordo tra privati (con la vecchia traditio), non è tecnicamente possibile trasferire un NFT senza l’intermediazione di una piattaforma sottostante (come Opensea, Knownorigin, etc.).

La scelta della piattaforma

La comprensione degli aspetti tecnici di una transazione non è irrilevante quando ci si vuole assicurare di ottenere un risultato desiderato. Se si acquista un paio di scarpe tramite una piattaforma online non si può rischiare di non aver compreso con esattezza il modo in cui le transazioni avvengono tramite quella piattaforma: come avviene il pagamento, come avviene il trasporto, cosa succede se mi inviano qualcosa di diverso rispetto a ciò che ho acquistato. A nostro avviso, questa osservazione di carattere generale ed estremamente intuitivo rimane valida anche per Il mondo dei non-fungible tokens. Il messaggio che ne emerge è semplice: scegliere una piattaforma di scambio per un NFT implica una scelta tecnica nel funzionamento del mercato. Se non si è consapevoli delle scelte tecniche “implicite” nell’acquistare o vendere su un marketplace, possono sorgere rischi di varia natura: legali (applicabilità di termini di uso sfavorevoli e, in particolare, della governing law; privacy policy inadeguata rispetto alla protezione che il GDPR garantisce ai cittadini europei, etc.) di mercato (se l’obiettivo è vendere gli NFT, la piattaforma è il marketplace nel quale si mette in mostra la propria mercanzia ed è opportuno selezionare quella che consenta di massimizzare le possibilità di vendita) o tecnica (punti di forza e di debolezza della configurazione tecnologica della piattaforma). In questo articolo ci si concentrerà su un particolare rischio di natura tecnica.

La questione del link “broken”

Partiamo dal contenuto ‘tecnico’ di un non-fungible token. Il token contiene “metadati”. Ripetiamolo: il compratore di un NFT acquista metadati… almeno in prima istanza! Tra i metadati che compongono un token, vi è il link al file di un’opera digitale. Magari si vuole acquisire l’opera digitale… ma si passa sempre per l’acquisto di un mezzo – il token, appunto – che “punta” a ciò che veramente si vuole avere (cioè il file digitale). Infatti, l’NFT può essere descritto (semplificando) come il certificato di autenticità che contiene un link univoco a un file digitale (che nel common understanding “è” l’NFT mentre in realtà, non lo è) il quale non è inserito nella catena a blocchi ma risiede o in un sistema basato su protocollo IPFS o su un old style cloud fornito dalla piattaforma su cui si è creato un NFT. Il famoso NFT di Beeple venduto per 69 milioni USD è un token (cioè un’unità non fungibile creata sulla blockchain Ethereum) incorporato in uno script (cioè un programma informatico, in pratica si tratta dei famosi smart contract) scritto in Solidity o Vyper (linguaggi di programmazione orientati agli oggetti), il quale produce alcune azioni al ricorrere di determinate condizioni (come il pagamento automatico di royalties al primo creatore dello NFT nel caso di cessione dello stesso) e che, altresì, contiene un link univoco a una copia del file digitale depositato su un sistema IPFS.

Ciò che preme sottolineare nel presente articolo è che, quando il link all’opera digitale si “rompe”, il token può finire per indirizzare il proprietario dell’NFT verso il nulla, o verso un file differente da quello che si vuole veramente avere. In fin dei conti, quante volte ci siamo trovati di fronte al messaggio di errore “404 link not found”!

Se l’acquirente di un NFT spendesse 69 milioni USD e si trovasse a puntare ad un link “rotto”, sarà ragionevole attendersi l’innescarsi di un contenzioso giudiziale di vaste proporzioni. Prima di arrivare a quel punto, occorrerebbe davvero comprendere “il cuore e l’anima” tecnica di un NFT… e non solo. Se un NFT viene scambiato in un marketplace, è opportuno assicurarsi che il marketplace in questione tuteli le transazioni nel tempo, offrendo meccanismi che garantiscano la stabilità dei link. Un link di rete “attivo” oggi, potrebbe “rompersi” domani. Se il server che ospita un’opera digitale oggi, domani cambia indirizzo di rete, quali effetti si ripercuotono sul relativo NFT?

La soluzione a questi rischi di natura tecnica, così come l’effettività della tutela sul piano giuridico, dipendono in ultima analisi dalla scelta della piattaforma su cui gli NFT sono ospitati: tale scelta riveste, pertanto, un ruolo fondamentale nell’emergente mercato (di vaste proporzioni) dei non fungible token.

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