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Crolla il greggio, ma i distributori alzano i prezzi della benzina: +4 centesimi in sette giorni
L’escalation tra Israele e Iran (per ora) si è fermata. Il cessate il fuoco annunciato da Donald Trump ha riportato una parvenza di stabilità in Medio Oriente, seguita da un crollo lampo del prezzo del petrolio: in due giorni il Brent, il greggio di riferimento per il mercato europeo, è sceso a 63,9 euro al barile; il Wti (West Texas Intermediate) si è attestato sui 62,2 euro.
Alla fine di marzo il prezzo del Brent viaggiava intorno ai 72 euro: in tre mesi la materia prima petrolifera ha lasciato per strada più di 8 euro, anche grazie alla rassicurazione che lo stretto di Hormuz – da cui transita un quinto del greggio mondiale – non sarebbe stato bloccato dall’Iran.
Rialzi della benzina, il prezzo raggiunge 1,734 euro al litro
Ma se i mercati internazionali hanno reagito all’istante portando verso il basso i prezzi del greggio, in Italia il costo della benzina ha fatto l’esatto contrario. Secondo i dati ufficiali del ministero dell’Ambiente, il prezzo medio della benzina ha toccato a giugno quota 1,734 euro al litro, mentre il diesel è salito a 1,643 euro.
Come mostra il grafico in apertura, tra il 10 e il 25 giugno la quotazione del Brent è scesa da 72 a 62 euro al barile. Nello stesso periodo, invece, il prezzo della benzina ai distributori in autostrada è aumentato da circa 1,69 a 1,75 euro al litro.
I rialzi della benzina in appena una settimana
Rispetto alla settimana precedente, l’aumento è di circa 4 centesimi per la benzina e 5 centesimi per il gasolio. E in autostrada, il “servito” ha superato i 2,30 euro. Secondo l’Unione nazionale consumatori, un pieno è aumentato mediamente di 2 euro in appena sette giorni. Le associazioni parlano apertamente di speculazione, chiedono l’intervento dell’Antitrust e controlli sull’intera filiera.
Ma davvero dietro l’aumento della benzina si nasconde una manovra speculativa? O il prezzo alla pompa risponde a meccanismi più profondi e meno evidenti? Nel grafico in apertura è mostrato l’andamento “a forbice” del Brent e della benzina self, tra il 19 e il 25 giugno 2025.
Solo il 30% del prezzo dipende dal petrolio
Quando si parla di mercati dei carburanti, la prima cosa che viene in mente è il prezzo del greggio. Ma in realtà, il petrolio grezzo incide solo per il 30% sul prezzo finale della benzina. La vera responsabile del costo che paghiamo quando facciamo il pieno è la quotazione internazionale dei prodotti raffinati – ovvero benzina e gasolio già lavorati – stabilita quotidianamente dalla società Platts (Standard & Poor’s), che determina il valore in dollari di una tonnellata di benzina raffinata. Tale valore è chiamato “prezzo Platts” o “indice Platts”.
Ed è proprio questa voce che, nelle ultime settimane, è salita, spingendo verso l’alto anche i prezzi al consumo. Com’è possibile? Il motivo è che raffinare il petrolio è diventato più costoso: in Europa, molti impianti sono stati chiusi per manutenzione o problemi tecnici (come per la raffineria BP Europa di Rotterdam) e i magazzini sono poco forniti. Quindi, anche se il petrolio costa meno, c’è meno carburante pronto all’uso. Con l’arrivo dell’estate, poi, la domanda è aumentata e i prezzi del prodotto finito sono saliti.
Tasse e accise: oltre il 50% del prezzo alla pompa
A tutto questo va poi aggiunta la componente fiscale sul costo finale della benzina. In Italia, più della metà di quello che paghiamo alla pompa è fatto di accise e Iva: tasse fisse che non cambiano e sono indipendenti dal prezzo dei barili. Le accise sui carburanti sono tra le più alte in Europa: 0,713 euro per litro di benzina e 0,632 euro per litro di gasolio, a cui si aggiunge l’Iva al 22% calcolata sull’intero importo, accise incluse.
Anche se il greggio costa meno, quindi, il risparmio finale per l’automobilista è minimo, spesso annullato dai rialzi della benzina lungo la filiera. Oltre alle tasse, vanno infatti aggiunti i margini della distribuzione, che coprono costi operativi, trasporti e stoccaggio: una fetta che vale circa il 20% del prezzo. Ecco perché lo “sconto” sul greggio di cui beneficiano i mercati arriva attenuato (o non arriva affatto) alla pompa.
Rialzi della benzina, ogni pieno vale 40 euro di tasse
A complicare ulteriormente il quadro c’è un altro dettaglio: in Italia i prezzi dei carburanti sono liberalizzati dal 2007. Significa che ogni distributore decide in autonomia quanto far pagare benzina e gasolio, sulla base della concorrenza, delle condizioni logistiche locali e dei propri costi operativi. Il governo non può imporre un prezzo massimo, né bloccare gli aumenti. Può però – come chiedono diverse associazioni – rafforzare i controlli e valutare una revisione del sistema delle accise.
Una proposta ciclica, che torna ogni volta che la benzina supera la soglia dei 2 euro. Ma riformare le accise significherebbe rinunciare a entrate fiscali certe: ogni litro venduto porta allo Stato circa 1 euro di tasse, e ogni pieno rappresenta almeno 40 euro di gettito.
Gas a 35 euro per megawattora
Su un altro fronte energetico, la musica non cambia. Il gas naturale venduto nei mercati europei, secondo il principale punto di scambio (il Title Transfer Facility olandese cioè la principale borsa del metano in Europa), staziona intorno ai 35 euro per megawattora: molto meno rispetto ai picchi del 2022, ma ancora sopra i livelli pre-crisi.
La tregua in Medio Oriente ha inciso poco su questo mercato, che resta sensibile agli stoccaggi europei, alla domanda industriale e – soprattutto – all’incognita russa. Se nuove tensioni dovessero colpire le rotte marittime o il trasporto di gas liquefatto, i prezzi potrebbero tornare a correre.
I dati si riferiscono al 2025
Fonte: Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica