Le CDN (Content Delivery Network – ossia le reti di distribuzione dei contenuti sul web) sono, da ora, equiparate agli operatori di Telecomunicazioni, perché sono reti di comunicazione elettronica che richiedono autorizzazione. È quanto emerge dalla consultazione Agcom i cui esiti sono stati approvati dal Consiglio dell’Autorità.

Così le grandi Big Tech americane del Cloud e dello Streaming video sono, finalmente, equiparate alle Telco nostrane, perché sono ormai operatori a tutti gli effetti, spesso verticalmente integrati.
Stiamo parlando CDN provider globali come:
Akamai, Cloudflare, Amazon CloudFront, Microsoft Azure CDN, Google Cloud CDN, Fastly, Edgio.
E di Content and Application Providers (CAP) con infrastrutture proprie in Italia: Netflix, Amazon Prime Video, YouTube/Google, DAZN, Disney+, Meta (Facebook, Instagram), TikTok.
La consultazione Agcom, con la partecipazione di 27 stakeholder, ricostruisce il quadro normativo
Gli esiti della consultazione Agcom, che ha visto la partecipazione di ventisette stakeholder, hanno confermato la riconducibilità delle CDN nell’alveo della definizione di rete di comunicazione elettronica di cui all’articolo 2 del Codice delle comunicazioni elettroniche, con conseguente applicazione del regime di autorizzazione generale.
Quindi da ora con la delibera n. 207/25/CONS di Agcom si ricostruisce il quadro normativo vigente nonché le modalità di distribuzione del traffico attraverso le diverse tipologie di CDN, evidenziando le principali relazioni tra i Content and Application Provider (CAP), i CDN provider e gli operatori di comunicazione elettronica, volte a ottimizzare la distribuzione dei contenuti. Queste relazioni assumono particolare rilevanza nel caso delle applicazioni che comportano un elevato carico di traffico simultaneo sulle reti, come nel caso del live streaming.
Fair share per i GAFAM?
E dunque ora le CDN, da Akamai a Cloudflare, e i Content and Application Providers (CAP) da Netflix, Amazon Prime Video, YouTube/Google, DAZN, Disney+, Meta (Facebook, Instagram) fino a TikTok non possono più sottrarsi dal contribuire, insieme alle Telco, a finanziare la realizzazione delle nuove reti in fibra e 5G?
Arriva il momento del ‘fair share’ (o ‘tassa su Internet’ o ‘equo compenso Tlc’) per i GAFAM?
AIIP: “Giusto equiparate le CDN agli operatori Telco. L’importante è evitare l’elusione fiscale ai GAFAM, non introdurre il fair share“
“Sì, è giusto equiparare le CDN agli operatori Telco”, è la posizione di AIIP espressa nella consultazione, “laddove gestiscono una propria rete in autonomia e non comprano servizi da terzi”, ma per l’Associazione Italiana Internet Provider, guidata da Giuliano Peritore e con Giovanni Zorzoni vicepresidente, “non si può trovare questo escamotage normativo per obbligare le CDN e i GAFAM al Fair Share. Molto più efficace sarebbe, invece, evitare loro l’elusione fiscale”.
Da anni la maggioranza degli Isp europei chiedono pagamenti alle aziende tecnologiche Usa che utilizzano (per non dire che intasano) le loro reti.
Mentre le aziende tecnologiche pagano per l’accesso a Internet e talvolta costruiscono la propria infrastruttura di rete, le compagnie di telecomunicazioni sostengono che le piattaforme tecnologiche impongono un onere così elevato sulle loro reti che dovrebbero effettuare pagamenti aggiuntivi per contribuire a finanziare la costruzione dei network ultrabroadband. E hanno ragione, perché i GAFAM, ossia le Big Tech e gli hyperscaler, (come si vede dalla grafica seguente riferita al 2023) hanno prodotto il 55% del volume del traffico su Internet. E nelle ore di punta durante i video in streaming si arriva anche al 60%”.
I funzionari europei stanno lavorando a un Digital Networks Act che potrebbe includere o meno una disposizione sui costi di utilizzo della rete. Un briefing del Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo afferma che la legislazione in corso di elaborazione potrebbe affrontare “il dibattito sul contributo ai costi di rete”, o “fair share”.
Trump sarà d’accordo in tempi di dazi?