Tecnostress

People&Tech. Tecnologie e benessere, una relazione complicata?

di Isabella Corradini - psicologa sociale, Presidente Centro Ricerche Themis |

La sfida del prossimo futuro sarà proprio quella di conciliare persone, tecnologie e benessere, sia all’interno che all’esterno del luogo di lavoro. Ci riusciremo?

People&Tech, la rubrica settimanale a cura di Isabella Corradini, psicologa sociale e Presidente Centro Ricerche Themis, propone riflessioni su aspetti umani e sociali nell’epoca digitale. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Le tecnologie, in particolare quelle dell’informazione e della comunicazione (ICT), hanno modificato profondamente la vita di tutti, sia negli ambiti privati che sul lavoro. In un contesto tecnologico che si evolve a ritmi impressionanti, il loro valore è certamente indubbio: pensiamo, solo a titolo di esempio, a come sia possibile oggi operare nelle organizzazioni anche senza essere presenti fisicamente in sede grazie alle tecnologie ICT.

Tuttavia, non bisogna trascurare l’altra faccia della medaglia, ovvero quello a cui abbiamo rinunciato: il paradosso, infatti, è che queste tecnologie avrebbero dovuto farci guadagnare del tempo per noi stessi; in realtà continuiamo a correre dietro ad e-mail e social media, perché non è possibile decidere di rimanere sconnessi pur volendolo, e utilizziamo il tempo teoricamente risparmiato per impegnarci ulteriormente.

Proprio con riferimento agli ambienti di lavoro, nel rapporto “Priorities for occupational safety and health research in Europe 2013-2020” dell’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU OSHA) sono descritti, tra i temi di ricerca, le opportunità ed i rischi delle ICT.

Tra le prime, ad esempio, l’impatto positivo che queste tecnologie hanno sulla qualità del lavoro mediante nuove forme di organizzazione che, consentendo una maggiore flessibilità e conciliazione tra vita privata e lavoro (work-life balance), possono contribuire anche al benessere del lavoratore. Lo smart working, evoluzione del più noto telelavoro, è reso possibile grazie all’impiego delle ICT, in grado di favorire una costante connessione con le informazioni e le persone con cui si collabora.

D’altro canto l’introduzione di queste tecnologie ha anche posto in essere alcuni rischi tra i quali: sintomi di stress dovuti alle eccessive ore di lavoro, il sovraccarico di informazioni, la complessità dei compiti, la diminuzione graduale del contatto umano in presenza a favore di quello virtuale, la continua richiesta di aggiornamento delle competenze.

Riguardo alla relazione tra tecnologie e benessere psicofisico dell’individuo, va ricordato che fu lo psicologo Craig Brod ad introdurre nel 1984 il termine tecnostress per indicare un disturbo prodotto dall’incapacità di gestire in modo efficace le nuove (per l’epoca) tecnologie, in particolare quelle informatiche. Successivamente il concetto è stato ampliato dagli psicologi Michelle Weil e Larry Rosen (1997) per i quali il tecnostress consiste nell’ impatto negativo su atteggiamenti, pensieri, comportamenti e sul funzionamento corporeo, causato direttamente o indirettamente dalla tecnologia.

Più recentemente e in un’ottica psicosociale, Marisa Salanova e collaboratori (2007) hanno interpretato il tecnostress come una condizione psicologica negativa associata all’uso delle tecnologie e caratterizzata da ansietà, fatica mentale, sfiducia e percezione di inefficienza, ma anche ad un uso eccessivo e compulsivo.

In Italia la normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/2008) obbliga le imprese alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato, argomento che in questi anni ha stimolato articolati dibattiti. Ma, a fronte dell’importanza di questo rischio, si assiste spesso ad una sua valutazione “meccanizzata”, condotta il più delle volte con strumenti inadatti a favorire una lettura accurata e contestualizzata del fenomeno.

Permane ancora una cultura tesa a considerare la valutazione del rischio stress lavoro-correlato come un obbligo da adempiere, e non come un’opportunità da cogliere.

Al contrario, una valutazione accurata farebbe prendere coscienza dei reali problemi della propria organizzazione e indurrebbe a porre rimedio, conseguendo benefici effetti sulla salute dei lavoratori e dell’azienda in generale e ottenendo, molto probabilmente, un impatto positivo anche sulla stessa produttività.

Prima o poi si dovrà provvedere anche alla valutazione del tecnostress, dal momento che la normativa sopra citata fa riferimento a tutti i rischi ai quali il lavoratore è esposto.

Ma bisognerà farlo con metodo e rigore scientifico, pena la banalizzazione di una valutazione che rischia di avere conseguenze sia sulla salute dei lavoratori che sull’organizzazione nel suo complesso, visto che sempre più sarà strutturata su base tecnologica.

In tema di prevenzione vanno citati alcuni recenti provvedimenti in ambito europeo che vanno nella direzione della presa in carico del problema. Nel 2016 in Francia, nell’ambito della riforma del lavoro (Legge n. 2016-1088 dell’8 agosto 2016), è stata approvata una norma che prevede il “diritto di disconnessione” per i dipendenti aziendali. Secondo la norma, le aziende con almeno 50 dipendenti dovranno mettere in campo misure di regolazione del mezzo digitale. Queste misure, da negoziare con le parti sociali, hanno lo scopo di garantire il rispetto dei tempi di riposo e l’equilibrio tra la vita professionale e quella privata. La norma è attiva dal 1° gennaio 2017.

La sfida del prossimo futuro sarà proprio quella di conciliare persone, tecnologie e benessere, sia all’interno che all’esterno del luogo di lavoro.