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People&Tech. Cos’è il Digital hoarding, la confusione digitale del nuovo millennio

No, non è come potrebbe sembrare dal titolo, una nuova trasmissione televisiva centrata su persone che accumulano in modo compulsivo tutto quello che riescono a reperire. Si tratta in realtà di un fenomeno sociale già noto nel mondo fisico, che però oggi sembra estendersi anche alla dimensione digitale; considerato che essa è parte integrante della nostra vita quotidiana, un tale fenomeno non può essere ignorato. Per meglio capire di cosa si sta parlando bastano due semplici domande: quante mail archiviate sul nostro pc risultano ancora non lette? O quanti documenti non più utili rimangono conservati nel nostro computer pensando che prima o poi potranno tornarci utili?

Con il termine “digital hoarding” si vuole indicare l’archiviazione di una quantità crescente di materiale digitale che non viene eliminato, nonostante non sia (più) di alcuna utilità. Secondo uno studio condotto da due ricercatori australiani (Darshana Sedera e Sachithra Lokuge) il digital hoarding può trasformarsi in una vera e propria malattia caratterizzata dall’ossessione di digitalizzare ogni cosa, senza poi riuscire a liberarsene.

È evidente che la capacità degli strumenti digitali e dei servizi annessi di archiviare qualsiasi file, foto o mail, continua a crescere; tuttavia, lo stesso non può dirsi per le nostre capacità cognitive, messe a dura prova dallo stare dietro a tutte le innovazioni digitali. Ed il fatto di sentirsi in svantaggio può impattare sul nostro stato di salute, dal momento che oltre alla confusione che regna dietro una difficile sistematizzazione dei file, ci si può sentire sopraffatti dalla necessità di dare ordine al proprio spazio digitale. Uno spazio sempre più vasto ma solo apparentemente senza limiti: lo riempiamo di foto, mail, video, messaggi social, brani musicali, e così via dicendo.

Va da sé che una tale condizione finisce con il far perdere all’individuo la prospettiva organizzativa delle attività che gestisce con le tecnologie digitali, e diventare particolarmente stressante.

Nel cercare di comprendere i fattori alla base del digital hoarding non è sufficiente focalizzarsi sul solo comportamento umano, ma analizzarlo alla luce dell’attuale contesto. Se, infatti, da un lato le persone tendono a conservare testimonianze della propria vita, come ad esempio foto e video di viaggi, di eventi, dall’altro non bisogna dimenticare che è proprio la disponibilità sul mercato di mezzi e applicazioni digitali sempre aggiornati- e particolarmente persuasivi- a favorire un atteggiamento di estrema fiducia nei confronti delle tecnologie digitali, alle quali vengono delegate le più svariate attività, con l’idea di ridurre lo sforzo cognitivo. Non è un mistero, ad esempio, che pochissimi di noi si sforzino di ricordare a memoria un numero di telefono; inutile sprecare risorse cognitive, tanto c’è l’applicazione che ce lo ricorda.

Inoltre, la disponibilità di consultare quanto archiviato è pressoché immediata, come nel caso dei servizi in cloud. Tuttavia, disponibilità non equivale a semplicità: uno degli aspetti più critici è proprio la difficoltà di ricercare file e messaggi di cui si ha bisogno in uno specifico momento nel mare di materiale digitale in cui siamo immersi.

Approfittando, dunque, delle innovazioni e pensando di poter poi smaltire quanto archiviato, le persone continuano a fotografare, dematerializzare documenti cartacei, ricevere valanghe di email, usando perfino il trucco di contrassegnarle in modo da ricordarsi di leggerle appena avranno il tempo per farlo (ovviamente si tratta di funzioni sempre messe a disposizione dai servizi online di posta elettronica). Non è raro che il tempo passi e ci si dimentichi di evadere la posta contrassegnata.

Una domanda appare lecita: non è forse vero che le tecnologie digitali dovevano semplificare la vita delle persone? Nessuno intende metterne in dubbio i vantaggi, ma l’esasperazione a considerare la nostra vita organizzativamente eccellente e gratificante solo grazie ad esse ha comunque un prezzo da pagare non indifferente, ovvero la messa in discussione della nostra libertà di scelta.

Sempre più le tecnologie digitali vengono proposte come mezzo risolutivo per semplificare la vita delle persone, progettate in modo da personalizzare servizi e prodotti a misura delle specifiche esigenze individuali, condizionanti al punto da non poter fare a meno delle loro funzionalità. E le persone saranno sempre più dipendenti da un certo modo di vivere e lavorare (e di vedere il mondo), ma con quale consapevolezza di ciò che stanno perdendo?

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