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Patuano Adieu. Ecco i numeri che spiegano la scelta drastica di Vivendi

Raffaele Barberio

Le dimissioni di Marco Patuano da AD di Telecom Italia sono state consumate sino in fondo.

Ieri Telecom Italia ha comunicato ufficialmente la chiusura del rapporto.

La vicenda ha assunto nel corso dei giorni varie connotazioni, alcune delle quali si sono spinte sino ad accreditare l’uscita di scena di Patuano come lo scotto per aver difeso l’italianità dell’azienda contro “l’invasione francese” che ne snaturerebbe radici, missione e futuro dell’azienda. Francamente, è sembrata una ideologizzazione del tutto inopportuna.

La spiegazione appare invece molto più semplice.

Ed occorre partire semplicemente dai numeri, i numeri della gestione degli ultimi quattro anni di Telecom Italia, che appaiono impietosi.

I dati di bilancio

Guardiamo innanzitutto ai bilanci.

E iniziamo con i ricavi. Il bilancio 2011, primo anno di Patuano alla guida di Telecom Italia, si chiude con ricavi per 30 mld di euro, che diventano 29,5 mld nel 2012, per contrarsi ulteriormente a 23,4 mld nel 2013 e scendere ulteriormente a 21,6 mld nel 2014, assestandosi ad appena 19,7 mld nel bilancio 2015 appena chiuso.

Il risultato è un calo del fatturato di circa 10 mld di euro in 5 anni.

Un vero record.

Un secondo elemento è l’Ebitda.

Come è noto, l’Ebitda è l’indicatore di redditività che calcola il risultato operativo e anche qui i numeri non sono, per usare un eufemismo, favorevoli.

Si va da un Ebitda di 11,1 mld del 2011 ai 10,5 mld del 2012, che diventano 9,5 mld nel 2013, per assestarsi a 8,7 mld del 2014 e contrarsi ulteriormente a 7 mld nel bilancio 2015 appena chiuso.

Infine, il terzo elemento è l’indebitamento.

L’indebitamento finanziario netto contabile di 30,6 mld di euro del 2011 passa a 29 mld nel 2012, a 27,9 mld nel 2013, quindi a 28 mld nel 2014 (registrando una piccola contrazione di 2,5 mld in 4 anni), ma per ricrescere a 28,5 mld nel bilancio 2015 appena chiuso.

Asset esteri

Se poi guardiamo agli asset esteri, qui il pensiero va a Telecom Argentina e Tim Brasil, dal momento che Telecom Italia si disfa di quasi tutte le presenze sui mercati esteri, mantenendo solo i due importanti avamposti in America Latina.

Telecom Argentina viene aggiudicata qualche giorno fa alla messicana Fintech per 960 mln di dollari.

La cessione solleva qualche perplessità di cui si fa interprete L’Espresso in un articolo pubblicato l’ultimo venerdì utile prima del Cda di Telecom Italia della scorsa settimana che porterà alle dimissioni dell’AD.

Quanto a Tim Brasil, viene considerata per anni come la gallina dalle uova d’oro, al punto che tutti la desiderano e vogliono comprarla. Nel 2010 la rivista World Finance la incorona “miglior operatore dell’America Latina”. Sono gli anni del Brasile con il PIL in corsa.

Oggi l’economia brasiliana è ferma, il paese fatica, il Real perde valore.

Tim Brasil non è più la gallina dalle uova d’oro, Vivendi non fa mistero di un eventuale cessione, ma ora nessuno è più disposto a pagare le cifre che pur circolavano appena qualche anno fa.

Peso politico, posizionamento internazionale  

L’argomento è delicato.

Negli ultimi cinque anni si registra un graduale stato d’isolamento di Telecom Italia, che fa fatica a dialogare con le autorità regolatorie (lo testimonia la lista di sanzioni erogate nei soli ultimi mesi) e con il governo (con cui le relazioni si sono incancrenite anche a causa del nodo rete).

Quattro anni fa Telecom Italia occupa ancora i vertici internazionali dell’industry.

Oggi appare in una posizione marginale a livello internazionale, sia per valori di mercato, che per percezione ed autorevolezza internazionale.

 

La rete

Poi c’è la partita della rete.

Un argomento che in Telecom Italia è gestito negli ultimi anni senza il cambio di vision adottato dagli altri.

Problema di investimenti?

In parte è vero, ma il vero nodo è il mancato “rinnovamento aziendale della cultura della rete”.

Due sono gli aspetti cruciali, non slegati tra loro.

Il primo aspetto è quello dell’eccesso di focalizzazione sul bitrate, senza curarsi della velocità dei servizi applicativi, che hanno determinato un profilo di rete antiquato, un’architettura non idonea al tempo, ancorata al vecchio profilo di servizio degli operatori di telecomunicazioni.

Oggi come è noto a tutti occorre cambiar pelle.

Gli altri operatori di tlc europei questo lo hanno capito già da anni (e con essi anche i vendor).

Telecom Italia nella gestione di questi ultimi anni non ha abbracciato questo cambiamento di mentalità ed è rimasta al palo. Perché non è accaduto? Ora non sarà facile recuperare.

Il secondo aspetto è quello della difficoltà di monetizzazione dei servizi (che non è un problema solo commerciale, perché è legato anche all’aspetto precedente). Ma è un problema serio per un’azienda che deve stare sul mercato e competere.

E’ anche vero che in Italia tutti gli operatori hanno oggi, ad esempio, difficoltà del genere nel segmento 4G, con ritorni inadeguati agli investimenti, alla rete, ai costi delle frequenze, ma, come appena detto, il retroterra architetturale di Telecom Italia appesantisce ulteriormente la posizione di difficoltà dell’incumbent.

Poi la situazione si è complicata con le vicende Metroweb, Enel e le ipotesi di competizioni infrastrutturali.

Oggi la partita è complicata anche per effetto della carenza di scelte del governo, di assenza di una vera politica industriale del settore e, per ultimo, dei desiderata di Vivendi che dovrà decidere cosa fare della rete: se tenerla così come è, se scorporarla, se tenere solo la parte consumer o altro.

 

 

E ora cosa accadrà?

Ci sarà un cambio di passo.

Telecom Italia rientrerà in una più ampia strategia internazionale che Vivendi ha già tracciato, in accordo con il nostro governo.

I mercati hanno accompagnato l’uscita di scena di Patuano con significativi rialzi del titolo in Borsa (e questo è un dato) ed emergono da parte di analisti internazionali gli apprezzamenti per i piani annunciati da Vivendi di aggregazione tra infrastruttura e contenuti e di ottimizzazione della struttura organizzativa di Telecom Italia.

L’ipotesi, come è noto, è la creazione di un conglomerato convergente di tlc e tv, infrastrutture e contenuti, con un posizionamento territoriale in Francia, Italia e Spagna.

Ci saranno, quindi, molti cambiamenti e assisteremo ad un cambio di paradigma del mercato italiano: telecomunicazioni, contenuti, televisione, pubblicità.

E tutto lascia supporre che gli eventi prenderanno corpo molto velocemente.

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