Il caso

Open Fiber e ‘il pasticcio’ dell’accordo con TIM/FiberCop sul riutilizzo delle infrastrutture

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Come giustifica il fatto CDP, che controlla Open Fiber (60%) ed è presente in TIM (10%), con il suo presidente che siede nel CdA? Cosa fa la presidente Barbara Marinali, responsabile dell’internal audit? E Macquarie ha valutato attentamente l’accordo?

Quando non c’è trasparenza bisogna sempre preoccuparsi e bisogna chiedersi soprattutto quale è la motivazione per cui si voglia mantenere l’opacità e la segretezza. Le ragioni possono essere diverse, ma guai se c’è la paura di essere criticati per aver fatto qualcosa di sbagliato.

Un clima da caccia alle streghe…

La prima cosa da chiedersi è allora se ci sono stati errori e se prevalga la paura di essere criticati. Francamente ci sembra questo il caso dell’accordo sottoscritto nello scorso mese di maggio da Open Fiber e TIM/FiberCop di cui fino ad adesso non si conoscevano i dettagli e che noi siamo in grado finalmente di rivelare.

Si tratta di un accordo che, stando a quanto ci risulta, sta creando diversi mal di pancia tra i più stretti collaboratori di Mario Rossetti che dall’estate dello scorso anno guida Open Fiber. Si tratta di mal di pancia diffusi, dovuti anche a scelte manageriali sbagliate, come ad esempio la recente riorganizzazione della direzione commerciale che ha visto Francesco Nonno promosso a capo della divisione mercato residenziale solo per alcune settimane e poi improvvisamente e, presumiamo ingiustificatamente, rimosso dal ruolo.

Per queste ragioni (e molte altre), si stanno creando già le prime crepe all’interno della nuova squadra internazionale voluta dall’AD, tanto che alcuni dei manager iniziano, in privato, a prenderne le distanze. Contemporaneamente, proseguono incessanti le uscite dei miglior manager dell’azienda. Ancora una volta vogliamo ribadire la nostra disponibilità ad ospitare opinioni, controdeduzioni o confutazioni da parte di Open Fiber sulle cose che stiamo scrivendo e che abbiamo scritto nelle settimane passate.

Un accordo in salsa pasticciata

Ma torniamo al pasticciaccio tra Open Fiber e TIM/Fiber Cop e vediamo di cosa si tratta.  

Leggendo il comunicato stampa che le due aziende congiuntamente hanno pubblicato il 13 maggio si evince che Open Fiber e TIM/FiberCop “..hanno siglato un accordo che consente il riutilizzo delle infrastrutture di rete nelle cosiddette aree bianche, in cui è stata finanziata con fondi pubblici la realizzazione in regime di concessione di una infrastruttura di TLC (…) Nelle aree bianche – dove Open Fiber si è aggiudicata i tre bandi pubblici indetti da Infratel – l’accordo prevede che Open Fiber acquisti da FiberCop, per un controvalore complessivo superiore ai 200 milioni di euro, il diritto d’uso (IRU) per infrastrutture aeree e collegamenti d’accesso alla casa del cliente. Al tempo stesso, TIM si impegna a mettere a disposizione dei propri clienti nelle aree bianche la fibra ottica di Open Fiber…” 

Abbiamo scoperto, leggendo con attenzione l’accordo, una serie di questioni molto critiche per Open Fiber che giustificano le perplessità che alcuni manager avevano già espresso in passato per le scelte sbagliate dell’AD (e di coloro che lo hanno consigliato) nella sottoscrizione di questo accordo, con particolare riferimento a 6 considerazioni.

Considerazione #1 

L’accordo è valido solo nelle Aree bianche. Questo vuol dire, in termini pratici, che essendo le “infrastrutture aeree” (palificate) usate anche per realizzare il backhauling (collegamento tra la centrale del Comune e la rete nazionale, come spiegato nel nostro precedente articolo), ed essendo come noto le Aree bianche intersecate con quelle grigie e nere, è praticamente impossibile realizzare un backhauling con i soli pali delle Aree bianche che non possono garantire la continuità della tratta fino alla rete nazionale che è nelle Aree nere. Quindi se una tratta è composta di pali presenti nelle Aree bianche, grigie e nere, con quale accordo Open Fiber compra nelle Aree grigie e nere?

Considerazione #2 

Ma emerge un aspetto ben più grave del precedente perché si legge nel contratto sottoscritto (art. 3, primo capoverso) dalle due aziende che Open Fiber si obbliga ad acquistare “…10.000 km di Infrastrutture di Posa Locali ed Aeree nelle aree oggetto delle concessioni…”.Va subito notato che queste infrastrutture sono regolate nel mercato 3A (che è il mercato di riferimento) ed hanno quindi un prezzo uguale per tutti gli operatori, un prezzo che non può essere negoziato. Perché quindi Open Fiber si è obbligata a comprarne 10.000 km quando TIM è obbligata a venderne anche solo 1 metro, quando richiesto, e ad un prezzo regolato? Il fatto di garantirne l’acquisto 10.000 km non prevede nessuna scontistica per Open Fiber, ma mette invece al sicuro il bilancio di TIM/Fibercop con una partita che può valere da 50 ad 80 milioni. In sostanza, sembra tanto una mossa per “regalare/garantire” soldi a TIM. Peraltro si legge che alla firma dell’accordo Open Fiber dichiara esplicitamente che non sa cosa comprerà e lo dirà solo entro il dicembre 2023. Ma le aree bianche non dovrebbero essere finite entro giugno 2023?

Considerazione #3

Open Fiber si impegna a comprare 1 milione di adduzioni aeree (gli ultimi metri che uniscono un palo con la casa da collegare) senza sapere dove sono. Alla firma dell’accordo Open Fiber non sa infatti neanche se gli serviranno e se saranno utilizzabili e se i pali sono idonei a sorreggere il peso aggiuntivo dei cavi in fibra ottica. Ma Open Fiber si è impegnata a comprarle per 170 milioni ed ha già pagato lo scorso 31 luglio i primi 40 milioni senza averle utilizzate. Infatti 40 milioni corrispondono a 235.000 adduzioni, cioè nuovi clienti nelle aree bianche che Open Fiber non ha certamente attivato dalla data di firma dell’accordo allo scorso luglio data del pagamento.

Considerazione #4

TIM si impegna ad attivare i primi 500.000 clienti che ne facciano richiesta e che non ricadano in Comuni nei quali FiberCop ha dichiarato che realizzerà la propria rete. Da notare che se il cliente di TIM non lo richiede, TIM non ha nessun obbligo nei confronti di Open Fiber. Come può Open Fiber controllare che il cliente di TIM richieda o meno questo servizio? È evidente che l’accordo è asimmetrico e tutto a vantaggio di TIM.

Considerazione #5

TIM non ha nessun impegno a usare la rete di Open Fiber, realizzata con denaro pubblico nelle Aree bianche, per attivare linee punto-punto, cioè quelle che tipicamente si usano per collegare clienti business che sono quelli più redditizi. Per questi TIM continuerà ad usare la propria rete. Infatti l’accordo prevede che Open Fiber sia obbligata laddove effettui una bonifica dei pali a lasciare sempre spazio per un cavo di TIM.

Considerazione #6

Dulcis in fundo (e ci chiediamo davvero chi sia stato a consigliare Mario Rossetti nella stipula di questo accordo), Open Fiber è obbligata a proprie spese ad effettuare le attività di manutenzione, adeguamento, bonifica, smaltimento delle palificate, nel rispetto delle norme imposte da TIM. Questo, insieme al fatto che Open Fiber non ha idea dello stato in cui si trovano i pali di TIM, rende impossibile valutare per la società i costi complessivi per il “rilegamento” del cliente.

E ora cosa succederà?

Ci chiediamo quindi come possa un amministratore previdente e “buon padre di famiglia” pensare di aver firmato un accordo vantaggioso per la propria azienda, senza avere contezza dei reali costi ai quali andrà incontro nei prossimi mesi ed anni?

Dov’è la Presidente Barbara Marinali?

È al corrente di questa vicenda? Quale posizione ha preso? Ricordiamo qui, ancora una volta, che Barbara Marinali (espressione del PD) ha tra le sue responsabilità quella dell’internal audit.

E cosa dice al riguardo Macquarie che siede nel Consiglio di Amministrazione? Ha fatto un’attenta valutazione di tale accordo?

Ed il Comitato parti correlate? Dov’è?

Ricordiamo che CDP è azionista con il 60% di Open Fiber ed al 10% di TIM, con il proprio Presidente Giovanni Gorno Tempini che siede nel Consiglio di Amministrazione di TIM stessa.