Il confronto

Oettinger e la schizofrenia italiana tra fibra e 5G

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La due giorni italiana del Commissario europeo all’Economia Digitale cade in un momento cruciale per le frequenze da sottrarre alle TV in vista del 5G

L’Italia accoglie il Commissario europeo Günther H. Oettinger con una sincronicità che nessun perfido stratega avrebbe potuto costruire meglio.

La due giorni del Commissario cade in un momento del tutto particolare riguardo al futuro delle frequenze e in particolare a quelle da sottrarre alle TV per darle allo sviluppo della telefonia mobile e del 5G.

Come è noto, la Commissione europea ha sollecitato tutti gli Stati membri ad anticipare di due anni, al 2020, il processo di liberazione della banda dei 700Mhz (oggi occupata dai broadcaster) a favore della banda larga mobile 4G e in prospettiva del 5G.

Perché?

Perché la priorità dell’Europa è il mercato unico digitale.

Perché lo sviluppo del 5G viene visto come uno dei fattori di maggior competizione economica tra le varie economie del mondo.

Esso è e sarà sempre più terreno di confronto tra Europa, Usa e Cina.

Chi arriverà per primo avrà ingenti benefici.

Chi arriverà per ultimo sarà irrimediabilmente marginalizzato e costretto a subire i nuovi standard e i valori che la loro adozione comporteranno per le economie del futuro e per le loro applicazioni.

L’Europa che ha dominato la scena dell’industria mobile con lo standard GSM, non vuole ovviamente perdere la battuta e per questo ha chiesto l’anticipazione dei piani nazionali del passaggio della banda 700 al mobile che saranno palesati nel 2017, per essere applicati auspicabilmente a partire dal 2020.

Questo è l’obiettivo della UE e di Oettinger.

In Italia è accaduto invece qualcosa di molto diverso dal resto d’Europa.

Il nostro Paese ha chiesto infatti di dilazionare i tempi e prendersi altri due anni, sino al 2022.

A chiederlo sono stati l’VIII Commissione del Senato, il Sottosegretario Antonello Giacomelli, le TV italiane tutte (tranne Sky, per ovvie ragioni), gli operatori mobili tutti.

Verrebbe da chiedersi: come è possibile che una richiesta del genere, messa forzatamente sotto il cartello del cosiddetto sistema-paese, aggreghi interessi chiaramente contrapposti?

C’è qualcosa che non torna.

Le TV

Le frequenze dei 700Mhz sono attualmente in uso al digitale terrestre televisivo (60% a TV nazionali, 40% a TV regionali e locali), quindi è naturale che le TV siano contrarie.

Nel resto d’Europa il problema non è così sentito, perché la TV viaggia quasi sempre via cavo o via broadband, pertanto la liberazione di quelle frequenze è per niente cruciale.

Quindi, possiamo capire il punto di vista delle TV, anche se rimane qualche dubbio: le TV nazionali dovranno comunque cedere il passo per convertirsi in altre modalità distributive, mentre le tv locali lasciano a tutti il quesito legittimo e non infondato sulla utilità della loro esistenza.

Gli operatori mobili

Gli operatori di telecomunicazioni hanno tutto l’interesse a disporre di quelle frequenze prima possibile, ma stranamente in Italia hanno accettato di buon grado la richiesta di dilazione. E così, vi sono soggetti di mercato che in Italia sostengono una linea contraria alle indicazioni della UE, mentre in altre parti d’Europa sostengono posizioni del tutto contrarie e in linea con i desiderata della UE.

Verrebbe voglia di chiedersi come sia possibile che fior di lobbisti attivi come tigri sulla difesa delle prerogative di sviluppo della telefonia mobile e pronti a ricorrere a questo o quel TAR per scambiarsi reciproche legnate con i competitor, inseguendo questa o quella multa regolatoria, abbiano accettato tutto questo.

I decisori politici

La politica dovrebbe avere sempre salde politiche industriali tali da spiegare la ratio di questa o quella scelta. Invece sulla scelta italiana di queste ore ciò che emerge è l’arroccamento di difesa del sistema di trasmissione del digitale terrestre televisivo, considerato ormai da tutti come superato, inutile e a questo punto anche controproducente (se guardiamo alle vicende italiane).

E allora che succederà?

E’ prevedibile un epilogo della vicenda come da copione.

L’Europa imporrà i suoi desiderata: il limite paventato del 2020 sarà confermato, con buona pace dei sanculotti italiani.

Ma coloro che hanno pubblicamente difeso e sostenuto le malintese ragioni italiane potranno dire ai loro interlocutori che hanno fatto di tutto, ma di fronte alla rigidità europea non c’è stato nulla da fare, sperando di essere considerati come eroi che hanno affrontato l’arroganza europea a mani nude, facendo quanto era a loro portata di mano.

Intanto Oettinger non ha perso la battuta e non è indietreggiato di un solo centimetro.

Le ha cantate con l’unica nota che conta sull’argomento: 2020, non un mese di più.

E dopo?

Difficile dirlo.

L’Italia ha denunciato ancora una volta la sua scarsa propensione al futuro e la sua pervicace attitudine alla conservazione.

Ma c’è di più.

Da mesi ci stiamo sbracciando perché reclamiamo tutti a gran voce la realizzazione delle mirabilie in fibra ottica che promettono.

Ma come è possibile immaginare lo sviluppo della fibra (che comunque richiederà almeno 10 anni) senza una parallela visione di affermazione piena del 4G e di sviluppo del 5G?

Fibra e 5G sono destinati a marciare assieme perché si appoggiano l’una all’altro e viceversa.

Questo è noto a tutti o quasi.

Ma perché facciamo finta di ignorarlo?