La satira

Odiens, la satira di Crozza comincia a perdere colpi

di Stefano Balassone |

La trasmissione di Crozza sta accumulando share compresi fra il 6% e il 7%. Un quarto degli spettatori dell’anno passato manca all’appello. Ma chi sono i fuggiaschi?

#Odiens è una rubrica a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002, in collaborazione con Europa.
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Pubblicato su Odiens, Europa il 3 novembre 2014

L’autunno di Crozza, venerdì dopo venerdì, sta accumulando share compresi fra il 6% e il 7%. Un quarto degli spettatori dell’anno passato manca all’appello.

Chi sono i fuggiaschi?

Donne, molto più che uomini; gente del Nord (da sempre la roccaforte del crozzismo) molto, ma molto di più di quella del Centro e del Sud (peraltro da sempre più tiepidi). Ma frugando fra tanti dati spicca quello degli “ospiti”, cioè di chi si è recato a vedere la tv presso una famiglia dotata dell’apparecchietto auditel ed entra così, una tantum, nel campione statistico.

Quest’anno gli “ospiti” sono drasticamente diminuiti come se non ci fosse più il gusto di un tempo nel vedere la tv di Crozza e darsi di gomito, gustando la solidarietà di gruppo nell’essere complici con la satira e i suoi giochi allusivi che torcono il mondo per espellerne ogni goccia di falsa verità.

Qualcosa sembra essersi rotto in questo meccanismo, forse proprio sul punto nevralgico di condividere fra di noi (il pubblico) e fra noi e gli artisti (Crozza e i suoi autori) cosa sia “vero” e cosa “falso”. La satira, in quanto spettacolo di massa, scatta infatti non applicandosi a rivelare la “falsità” di qualcosa/qualcuno, ma canalizzando e mettendo a fuoco opinioni correnti, anche se talvolta inconsapevoli.

Per questo con l’eclisse di Berlusconi il lavoro si è fatto più difficile, ai limiti dell’impossibile. E per Crozza e i suoi autori sono cominciati i dolori. Renzi è troppo recente perché possa essersi già accumulato nel pubblico un “idem sentire” che lo condanni o lo demistifichi in sé e per sé. E suona forzato prenderlo in giro per alcune somiglianze (la centralità della comunicazione) con Berlusconi, tanto che, alla fin fine, del personaggio crozziano resta in mente più il Jerry Lewis che il giovane premier. Come è vero anche che il formidabile personaggio di Razzi, essendo tramontata la sua rilevanza politica, stia trasmutando in autonoma maschera da farsa ed evoca sempre meno il “politico” in carne e ossa.

Ma così il gesto satirico perde la forza ironica e mobilitante e diventa semplice recitazione, mostrando la corda delle abilità di mestiere, con battute che piombano sul vuoto e che, ad esempio, ricorrono alla parolaccia non per rendere più forte un concetto già forte, ma per sostituire il riso del solletico a quello dello spirito.

A dirla tutta, da accaniti crozziani quali siamo e restiamo, sentiamo il bisogno che i nostri eroi si dedichino ora alla ricerca di bersagli freschi, che ridiano energia alla macchina.

Altri potenti e altre caste?

O chissà che non sia giunta l’ora di prendersela con la platea?

E cioè con i limiti dell’Italia in sé piuttosto che con quelli di chi occasionalmente la dirige.

E vero che in tal modo dal rischio della censura passerebbero a quello del linciaggio, ma, almeno, noi ri-cominceremmo a ridere, amaro.