Il Consiglio

Odiens, Rai separi le casse, canone da un lato e pubblicità dall’altro

di Stefano Balassone |

Confrontando i dati dal 2012 è chiaro quello che la Rai ha fatto negli ultimi due anni: si è ritirata da tutto tranne che dalle 19 in poi. Il motivo? Rincorrere il merchant.

#Odiens è una rubrica a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002, in collaborazione con Europa.
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Pubblicato su Odiens, Europa il 12 novembre 2014

Abbiamo preso i primi giorni di novembre (solo i feriali, per non mischiarli con la particolarità dei palinsesti del week end) e li abbiamo confrontati con i corrispondenti giorni del passato, a partire dal 2012. E man mano che scorrevamo i dati ci è parso chiaro quel che la Rai ha fatto da un paio di anni a questa parte: ritirarsi da tutto tranne che dalle 19 in poi.

Ecco le cifre: dalle 14 alle 15, Raiuno scivola parecchio (-3%), ma in parte è compensata da Raidue (+2,3%). In quest’ora Mediaset non ingrassa, anzi, nonostante le sue Beautiful di lungo corso, mentre s’allarga parecchio la pay satellitare, che può arruolare fan per i suoi appuntamenti del dopo pranzo contando oltre che sulle soap anche su film, telefilm, factual etc; dalle 15 alle 16 cominciano, per la Rai i dolori veri perché nell’insieme perde il 6,5%, in buona parte su Raiuno e a vantaggio di Mediaset; dalle 16 alle 17 va molto peggio perché i punti persi diventano 11%, tutti a vantaggio di Mediaset. Dalle 17 in poi la velocità della discesa rallenta finché dalle 19 alle 20 le cifre passano dal rosso al nero: quasi un punto di miglioramento all’ora del quiz e una buona tenuta dalle 20 alle 24.

In altri termini la Rai, proprio come gli italiani quando dovettero mettere un punto alla rotta di Caporetto, ha scelto di resistere nella fascia di maggiore presenza di pubblico, da sera a notte, quando il grosso della popolazione sta a casa.

Perché?

Per capirlo bisogna sapere che la Rai può trasmettere pubblicità per una frazione (un quinto) di quanto faccia Mediaset (o La7), ma può concentrarlo dove gli spettatori sono più numerosi. E quindi massimamente nella serata di Raiuno.

Mattine e pomeriggi non contano, perché da quelle parti a stravincere con gli ascolti non si fa un centesimo in più, non potendo la Rai, per legge, inserirvi spot pubblicitari in numero incisivo.

E il canone, diranno alcuni?

Che ne è del canone?

Non lo paghiamo proprio per avere fior di programmi anche senza che servano a ospitare la pubblicità?

La risposta è: no!

Almeno finché nelle casse della Rai i soldi che noi ci infiliamo a titolo di finanziamento pubblico si mischieranno con quelli pagati dagli investitori pubblicitari. Perché a chi volete che corra appresso quel povero amministratore della Rai: a noi che gli diamo per forza di legge 112 euro l’anno (se non evadiamo) o al “merchant”, come lo chiamano gli inglesi, che paga migliaia o milioni di euro, ma solo a patto di avere un bel mucchio di spettatori a disposizione?

I nostro sono soldi “sicuri”, quelli del merchant sono soldi che devi rincorrere.

Così alla faccia del nostro contributo, “detto canone”, chi mena la danza e le scelte è il merchant, con i suoi soldi dati sull’unghia dello spot.

Se la situazione non vi convince, una soluzione c’è: dividere le casse e le Rai. Quella pagata da noi e quella finanziata dalla pubblicità. Come nei grandi servizi pubblici di Francia, Inghilterra, Germania (non così nei paesi più piccoli, dove s’ammucchia tutto perché tutto fa brodo. Ma, appunto, e guarda caso, anche qui si tratta di scegliere se l’Italia è un Paese grande oppure piccolo).

Nel frattempo non meravigliamoci se la Rai destina sempre meno risorse, e fa sempre meno ascolti, al mattino, al pranzo e al pomeriggio. E se si mette in ghingheri solo sul far della sera, come le ragazze dei night club.