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#Odiens. Senza pubblicità… che Tv sarebbe?

#Odiens è una rubrica a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002, in collaborazione con Europa.
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Pubblicato in Odiens, Europa 23 luglio 2014

Nei primi anni ’90 si svolse una zuffa memorabile, arrivando perfino al referendum  per imporre (ma vinse il No) l’eliminazione degli spot all’interno dei film. Era tollerabile, ci si chiedeva, “interrompere l’emozione” dello spettatore rispetto al gioco di tensioni e rilasci emozionali immaginato da chi il film aveva sceneggiato, interpretato, diretto e montato. E cioè, a dirla in breve, dall'”autore”.

Ovviamente dietro la questione emozionale ce n’era una commerciale, ben più sostanziosa. Sottrarre i film all’affettatura pubblicitaria avrebbe significato limitarne l’uso in televisione a beneficio di altre segmenti della filiera audiovisiva (il botteghino, la videocassetta). Riempirli di spot avrebbe significato perpetuare l’egemonia di Mediaset che di film aveva i magazzini colmi fino all’orlo.

Ma non staremo a discettare di nuovo su questo materialissimo lato della questione. Piuttosto, profittando del fattore tempo, che scorrendo ha ridimensionato interessi e smorzato passioni, serenamente ci chiediamo cosa ne sarebbe da noi di un canale senza spot, ovviamente finanziato da soldi pubblici, visto che altrove (Francia e Gran Bretagna) ne esistono e riscuotono una buona accoglienza.

Chiariamo subito che l’accoglienza non sarebbe quella che si riserva ai liberatori da un giogo. Basta vedere cosa succede oggi e quanti spettatori ci sono prima di un intervallo pubblicitario, quanti per la pubblicità, e quanti per il programma che riprende dopo l’ultimo spot. Ebbene (lo abbiamo verificato sulla serata di Raiuno dell’ultimo lunedì (con fiction melensa in replica) a  cambiare canale all’apparire dello spot è solo uno spettatore su dieci.

Il che suggerisce due osservazioni.

La prima è che la pubblicità è gradevole e si fa abbastanza vedere e rivedere, che le sue micro gag comiche (come usano, chissà perché, le società telefoniche) non respingono, che i suoi ditirambi epici (come usano, e questo già si capisce, i venditori dei destrieri-auto) non sprofondano nel ridicolo, che i tanti messia della massaia (quello, insonne, del supermercato, l’altro, impacciato, del bucato splendente etc) qualche annuncio ce l’hanno da dare.

La seconda osservazione è che se la pubblicità “sa farsi vedere”, toglierla da un canale Rai (e ci sono ragioni editoriali, commerciali e industriali solidissime che inducono a farlo, e di corsa) non significa liberare il flusso di programmazione da un ingombro, ma pensare una programmazione strutturalmente diversa.

Ad esempio, le seratone di interminabile durata che caratterizzano la nostra tv sono sopportabili, a ben pensarci, solo grazie al sollievo assicurato dall’arrivo degli intervalli pubblicitari. E se questi non vi fossero, bisognerebbe pensare, proprio a partire dalla rete no-spot, a una programmazione basata su programmi di minore lunghezza, da un’ora a 90′ e più densa fattura.

Non titoli-serata, che occupano ab-aeterno il palinsesto, ma programmi che lo popolano, pensati e realizzati da un più vasto e articolato popolo di autori e produttori rispetto alle poche botteghe latifondiste che oggi sono all’opera.

Sperando che l’astinenza da spot non si faccia sentire prima di esserci abituati alla circostanza che possano mancare.

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