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Ocse, fermare i cambiamenti climatici aumenterà dell’1% il PIL dei Paesi del G20 nel 2021

Integrare nei piani economici nuove soluzioni di lotta ai cambiamenti climatici è una misura che avrà sicuramente un impatto positivo in termini di crescita su medio e lungo termine e di miglioramento della qualità della vita. Investire in tecnologie pulite (clean technologies) per una mitigazione dei cambiamenti del clima significa investire in crescita economica, questo il messaggio contenuto nel nuovo Rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

Nel documento presentato ieri, “Investing in Climate, Investing in Growth”, si raccomanda un maggiore impegno da parte dei Governi locali, delle organizzazioni internazionali e delle imprese, nel trovare nuovi modelli di crescita, sviluppo e innovazione a basso e bassissimo impatto ambientale.

Il tema dei cambiamenti climatici e quello della crescita economica non sono distinti e separati, ma due facce della stessa medaglia: integrare le azioni di sostenibilità ambientale con quelle di sviluppo economico potrebbero determinare l’aumento dell’1% del PIL dei Paesi del G20 nel 2021.

Addirittura, se l’azione è pianificati sul lungo termine, si potrebbero raggiungere risultati straordinari, con un incremento del PIL del 2,8% nel 2050, ma anche del 5% se si considera la possibilità di evitare i danni legati agli eventi naturali disastrosi (tra cui innalzamento del livello del mare, erosione della costa, alluvioni, dissesto idrogeologico).

Rinviare l’azione a tempi migliori (molti Paesi in crisi vedono l’adozione di queste misure come uno svantaggio in termini competitivi), al 2025 ad esempio, come indicato dal Rapporto, significa al contrario una perdita media del PIL del 2%.

Si devono aumentare invece gli investimenti, soprattutto in infrastrutture di nuova generazione, per l’efficienza energetica, le smart grid, le smart cities, la nuova mobilità elettrica, la gestione ottimale delle risorse idriche e più in generale di quelle naturali.

Per contenere la temperatura media attorno ai 2 gradi (come suggerito dalla COP21), bisogna spendere circa 6.900 miliardi in nuove tecnologie e nelle soluzioni infrastrutturali sopra menzionate.

Un’infrastrutture efficiente e realizzata con criteri ‘smart’, si legge nello studio dell’Ocse, potrebbe portare risparmi calcolati attorno ai 1.700 miliardi l’anno, consentendo quindi il recupero degli investimenti in pochissimi anni.

Uno studio rivolto a tutti i Paesi del G20, tra cui Italia, USA, Francia, Gran Bretagna, Giappone e Germania, che da soli rappresentano l’85% del PIL mondiale e che sono causa di oltre l’80% di tutte le emissioni nocive, con l’esortazione a sviluppare politiche dedicate al climate change e la resilienza, alla riduzione a zero delle emissioni inquinanti, alla nascita di una vera low carbon economy, alla massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili e delle tecnologie pulite.

Il problema è che gli ultimi dati disponibili a livello mondiale registrano da un lato un aumento della sensibilità dei cittadini alle questioni legate all’ambiente e alla crescita sostenibile, ma dall’altro evidenziano una battuta d’arresto negli investimenti green.

Secondo il Rapporto diffuso dall’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), “2017 Global Trends in Renewable Energy Investment”, la spesa in fonti energetiche rinnovabili è calata del 23% a livello mondiale nel 2016. In compenso è cresciuta la capacità installata, passata dai 127,5 gigawatts ai 138,5 gigawatts di fine 2016.

Stesso discorso per le tecnologie pulite, o clean technologies, che secondo il Rapporto di Brookings Institution, hanno visto una diminuzione di brevetti depositati del 9% a livello mondiale durante lo scorso anno, passando da quasi 35 mila nel 2015 a circa 32 mila dell’anno passato.

Tra il 2011 ed il 2014 il numero di brevetti green è raddoppiato quasi ogni anno, ma negli ultimi 24 mesi sembra che le idee in questo ambito siano venute meno, o comunque abbiano esercitato una scarsa attrattiva sugli investitori.

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