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Nuova concessione Rai, (poche) luci e (molte) ombre

Nel comunicato stampa governativo che annuncia il varo della nuova concessione Rai, ripreso pedissequamente dai giornali, si fa un gran strombazzare sull’obbligo per Rai di prevedere una contabilità separata per i ricavi derivanti dal canone e quelli da attività svolte in regime di concorrenza.

Tuttavia, è di circa 17 anni fa la delibera (n. 102/05/CONS) dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione, che fissa le linee guida cui la concessionaria pubblica deve attenersi nell’attuazione del sistema di separazione contabile. Tale delibera prevede che l’attività aziendale sia articolata in tre distinti aggregati contabili, cioè l’aggregato di servizio pubblico, l’aggregato commerciale e l’aggregato di servizi tecnici.

In dettaglio, all’aggregato di servizio pubblico vengono attribuite le voci dei costi e dei ricavi relative alle attività di produzione e programmazione riconducibili al servizio pubblico; all’aggregato commerciale le voci dei costi e dei ricavi relative alle attività di produzione, programmazione e vendita con finalità commerciali; all’aggregato di servizi tecnici le voci dei costi e dei ricavi relative alle attività strumentali di supporto e trasmissione finalizzate alla realizzazione, conservazione e messa in onda dei programmi. Ai sensi del comma 2 dell’art. 47 del TUSMAR, la contabilità separata è soggetta al controllo di una società di revisione scelta dall’Autorità.

Qualche giorno prima del varo della nuova concessione, Agcom ha ribadito e rafforzato tale obbligo, ma non essendo ancora stato pubblicato il testo, non è possibile verificare se sono state accolte le sue indicazioni.

E’ auspicabile, tuttavia, che si faccia chiarezza una volta per tutte, sulla natura di Giano Bifronte della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, prevedendo la completa trasparenza dei costi delle trasmissioni di servizio pubblico. E’ opportuno, quasi doveroso, che i contribuenti che pagano il canone, sappiano come vengono spesi i loro soldi.

Le trasmissioni di servizio pubblico, inoltre, dovrebbero essere prodotte esclusivamente con i proventi del canone, senza contenere alcuna pubblicità, seguendo il virtuoso e solitario esempio del canale per ragazzi RaiYoYo.

Oggi, invece, i contribuenti non solo devono sorbirsi gli spot durante le trasmissioni di servizio pubblico, ma i relativi proventi vengono parzialmente utilizzati per produrre le trasmissioni commerciali, proprio per un effetto distorto della contabilità separata. Oltre ad alterare il mercato pubblicitario, praticando forti sconti, la Rai effettua in questo modo una concorrenza sleale nei confronti delle tv private che producono trasmissioni commerciali autofinanziate dagli spot.

Pertanto, un contratto di concessione equilibrato dovrebbe separare nettamente, come sembra abbia proposto Agcom, le attività di servizio pubblico da quelle commerciali. E cioè, trasmissioni di servizio pubblico, senza pubblicità e con costi verificabili e trasparenti, da una parte. Dall’altra, trasmissioni commerciali autofinanziate dagli spot, con tariffe e “tetti” uguali a quelli delle altre emittenti.

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