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Nucleare sostenibile, arriva l’ok delle Regioni alla legge delega. In autunno in Parlamento

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ll Governo ha presentato una proposta di legge delega che mira a regolamentare in modo organico l’intero ciclo di vita dell’energia nucleare sostenibile, dalla produzione alla gestione dei rifiuti, fino alla formazione scientifica. Il testo, che ha ottenuto il via libera della Conferenza delle Regioni, punta su una nuova governance, procedure autorizzative semplificate e a un rafforzamento della ricerca e della formazione. Previsti 60 milioni di euro in tre anni.

In un contesto internazionale in cui il nucleare torna a essere considerato parte della transizione ecologica, anche Roma prepara il suo rientro in campo.

Produzione di energia dall’ idrogeno, smantellamento degli impianti esistenti, gestione dei rifiuti radioattivi, fusione e formazione scientifica. Il Governo getta così le basi per il ritorno del nucleare in Italia, proponendo una cornice normativa sull’intero ciclo di vita della nuova tecnologia, sia a fissione che a fusione. Con la proposta di legge delega, l’Esecutivo delinea un quadro giuridico unitario per rilanciare il settore in chiave moderna, sicura e sostenibile.

La Conferenza delle Regioni ha già dato il proprio via libera, e ora la parola passa al Parlamento, chiamato a scrivere una nuova pagina dell’energia italiana.

L’ok delle Regioni arriva proprio alla vigilia della pausa estiva, imprimendo un’accelerazione all’iter legislativo. Obiettivo dichiarato, allineare il Paese agli impegni europei per la decarbonizzazione al 2050, ma anche rafforzare la sicurezza energetica e la competitività nazionale.

L’Italia punta così a rientrare nel club dei Paesi che investono sul nucleare come fonte complementare alle rinnovabili (è noto che l’energia nucleare sia una fonte energetica a basse emissioni di CO2, sebbene costruzione, ciclo del combustibile e smaltimento delle scorie possano comportare emissioni di gas serra).

Una scelta strategica, pensata per garantire una produzione programmabile, contribuire all’idrogeno low-carbon e dare stabilità al mix energetico nazionale, ma che potrebbe nascondere delle insidie.

Un’architettura normativa per la sicurezza, la ricerca e l’innovazione

Il cuore della riforma non è solo tecnico, ma scientifico e strategico. Il provvedimento prevede, infatti, il rafforzamento della formazione universitaria e post-universitaria in ambito nucleare, favorendo collaborazioni con enti di ricerca, imprese e soggetti sperimentatori, per ricostruire una filiera nazionale altamente qualificata.

Ampio spazio è dedicato, quindi, alla valorizzazione della ricerca e del trasferimento tecnologico, con particolare attenzione alle nuove generazioni di reattori, più piccole e modulabili (Small Modular Reactor) e agli scenari di decarbonizzazione su scala industriale. 

Con grande soddisfazione – ha dichiarato in una nota il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratinprendo atto della valutazione della più autorevole sede di confronto interistituzionale. Ora il testo sarà trasmesso rapidamente al Parlamento, per avviare un percorso molto atteso, che può dare all’Italia l’opportunità di sviluppare un’energia sicura, pulita, innovativa e orientata alla decarbonizzazione. Una strada di futuro – ha concluso Pichetto – su cui oggi facciamo un altro passo avanti”.

Riorganizzazione delle competenze e nuova governance

Tra le colonne portanti della legge delega vi è la riorganizzazione delle funzioni e delle competenze nel settore. Il Governo potrà intervenire per semplificare e razionalizzare i procedimenti autorizzativi, rivedere le regole su sicurezza e vigilanza e ridefinire i ruoli degli organi preposti. Inoltre, non è esclusa l’introduzione di una nuova autorità indipendente per presidiare il settore.

Tale organismo, da valutare anche alla luce delle direttive Euratom, avrebbe funzioni di certificazione, vigilanza e controllo sul rispetto delle normative tecniche, in piena sintonia con le migliori prassi internazionali.

In alternativa, si prevede la riorganizzazione o soppressione degli enti esistenti con funzioni sovrapposte, così da concentrare le competenze in un assetto più efficace e trasparente.

Autorizzazioni più snelle e Ministero in regia

Un altro elemento chiave della riforma riguarda la semplificazione autorizzativa. Sperimentazione, localizzazione, costruzione e gestione di nuovi impianti nucleari saranno sottoposti a un procedimento abilitativo integrato, gestito dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

Il titolo abilitativo rilasciato sostituirà ogni altro atto amministrativo, fatta eccezione per le valutazioni ambientali, e potrà anche comportare varianti agli strumenti urbanistici. Gli interventi saranno dichiarati di pubblica utilità, urgenti e indifferibili, a sottolineare la centralità strategica del nucleare nelle politiche energetiche nazionali.

Il ruolo dei territori e la partecipazione pubblica

Grande attenzione viene poi riservata al coinvolgimento degli enti territoriali, nel rispetto del principio di leale collaborazione. I decreti legislativi emanati dal Governo individueranno i casi in cui sarà necessaria l’intesa delle Regioni interessate o della Conferenza Unificata, e disciplineranno anche l’eventuale esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato.

È inoltre previsto un forte impegno sulla trasparenza nei confronti dei cittadini e delle amministrazioni locali, soprattutto in materia di sicurezza e radioprotezione.

Si deduce quindi, che nella nuova fase atomica italiana, i territori non saranno più spettatori passivi. In particolare, la legge prevede che le comunità ospitanti siano coinvolte in processi di valorizzazione e sviluppo, anche attraverso strumenti di consultazione, per promuovere fiducia e consenso intorno alle scelte energetiche.

Il capitolo finanziario, 20 milioni l’anno 

Tra le questioni più controverse e degne di nota, non si può non citare il piano triennale da 60 milioni per sostenere gli investimenti previsti dalla nuova legge delega sul nucleare. Ma senza nuovi oneri per la finanza pubblica. Come è possibile? Con un puzzle di fondi speciali, riserve strategiche e relazioni tecniche che promettono sostenibilità economica oltre che ambientale.

Il Governo mette nero su bianco le coperture facendo riferimento a un pacchetto di 60 milioni di euro suddivisi in tre annualità, dal 2027 al 2029, interamente destinati al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Fondi già iscritti a bilancio, che serviranno ad attuare gli investimenti strategici previsti dalla nuova normativa.

Ma il disegno è più articolato.

7,5 milioni per due deleghe chiave

Già a partire dal 2025, la macchina si mette in moto con una dotazione mirata da 1,5 milioni di euro per coprire i costi iniziali legati ad alcuni articoli chiave della legge (in particolare le lettere v) e z) del comma 1 dell’articolo 3). L’anno successivo, nel 2026, il finanziamento sale a 6 milioni, per un totale di 7,5 milioni nei due anni.

I fondi arriveranno da una riduzione programmata del fondo speciale di parte corrente del Ministero dell’Economia e delle Finanze, già previsto nella missione “Fondi da ripartire”. In parole semplici: niente tagli improvvisi, ma un ricalcolo interno delle risorse disponibili.

Nessun impatto sui conti pubblici

C’è un principio guida che attraversa tutta la norma: nessun nuovo onere per la finanza pubblica. Ogni decreto legislativo attuativo, infatti, dovrà essere accompagnato da una relazione tecnica che certifichi la neutralità finanziaria delle misure, oppure ne quantifichi con precisione gli eventuali costi e le relative coperture.

E se queste coperture non ci fossero? In quel caso, i decreti non potranno essere emanati finché il Parlamento non approverà un provvedimento specifico che stanzia le somme necessarie. Un sistema a prova di sforamento.

“Fare bene, senza spendere di più”

Per evitare impatti imprevisti, le amministrazioni coinvolte dovranno agire “a legislazione vigente”, cioè utilizzando le risorse già disponibili (umane, strumentali e finanziarie) senza chiedere ulteriori stanziamenti.

Un’impostazione rigida, che mira a mantenere il controllo della spesa pubblica, ma che potrebbe rivelarsi una sfida non banale per la macchina burocratica.

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