l'analisi

Nubi sulla privatizzazione di Poste Italiane: top manager concentrati su finanza a scapito dell’Italia digitale?

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La quotazione della seconda tranche di Poste Italiane sembrava una certezza, ma negli ultimi giorni l’operazione si è complicata. Ecco cosa è cambiato.

Ma insomma questa privatizzazione di Poste Italiane deve andare avanti o no?

Fino a qualche giorno fa sembrava che il treno della quotazione della seconda tranche fosse una certezza, con parole d’ordine di quelle che infiammano le curve liberiste: mercato, servizi competitivi, attrattività di investimenti esteri e chi più ne ha più ne metta.

La realtà dei fatti è diversa.

Il ministro Padoan e l’AD Caio ripetono, con ragioni diverse, che il treno in corsa è ormai inarrestabile, al contrario segnali concreti indicano che il percorso indicato potrebbe farci approdare a lidi inaspettati con gravi conseguenze per il Paese. E così i dubbi sul prosieguo della privatizzazione aumentano in ogni ambiente della politica, delle istituzioni, del sindacato, dei consumatori.

Nelle ultime ore abbiamo collezionato almeno tre elementi che aumentano dubbi e incertezze e spingono a staccare la corrente del treno in corsa.

Il primo è di qualche giorno fa, in occasione dell’audizione di Francesco Caio alla Commissione Parlamentare di vigilanza sulla Cassa Depositi e Prestiti, si era avvertita una certa fuggevolezza alle domande della Presidente sen. Anna Cinzia Bonfrisco in merito alla rischiosità degli investimenti degli italiani clienti di Poste Italiane su prodotti di terzi venduti presso gli uffici postali. Silenzio totale, invece, in merito all’esistenza o meno di incentivi economici a favore del personale capace di vendere meglio e di più. E, come si sa, in questi casi conviene vendere di più i prodotti su cui si possono rastrellare commissioni maggiori, che sono per l’appunto i prodotti di terzi ma distribuiti da Poste Italiane, con il rischio di disincentivare l’interesse verso il risparmio postale. Ora si dà il caso che gli italiani diano i propri risparmi alle Poste Italiane proprio perché ritengono di darli allo Stato e per questo si fidano di Poste Italiane. Quei risparmi da Poste Italiane passano a Cassa Depositi e Prestiti, che così può finanziare l’investimento pubblico per la crescita del Paese. Ma se i soldi verranno indirizzati verso prodotti finanziari magari più redditizi, che non sostengono la crescita del Paese, dove andremo?

Il secondo elemento è l’intervista del Sottosegretario Antonello Giacomelli rilasciata questa mattina a La Repubblica. Privatizzare le Poste, sostiene Giacomelli, è un errore strategico perché rappresenta la cassa dei risparmi degli italiani. In questo senso, la privatizzazione evidenzia rischi e comporta implicazioni: “i risparmi degli italiani saranno destinati a rimpinguare i portafogli dei grandi fondi finanziari internazionali”. Un grido di allarme di non poco conto, non solo nel merito, ma perché indica anche una spaccatura non facilmente ricucibile all’interno del governo. Insomma il treno della privatizzazione di Poste sarà anche sul binario, ma da qui a dire che sta giungendo a destinazione ce ne corre.

Il terzo elemento è la componente non irrilevante dei dipendenti. Alcune ore fa Luca Burgalassi, segretario generale di SLP-CISL, a cui fa capo il 60% dei dipendenti sindacalizzati in azienda, ha stigmatizzato le pressioni nei confronti del personale che è stressato con obiettivi da raggiungere e sollecitato con incentivi che rischiano di snaturare il tradizionale rapporto di fiducia tra Poste Italiane e i suoi clienti.

La cosa più singolare è l’atto di accusa del sindacato SLP nei confronti della finanziarizzazione dell’azienda promossa da Caio a scapito dei processi di sollecitazione della digitalizzazione del Paese a cui Poste potrebbe dare un impulso determinante che nessun altro soggetto potrebbe dare. Insomma uno scontro tra un top management che gioca a fare il banchiere e a snaturare l’azienda (facendo evaporare la responsabilità sociale ed economica di Poste Italiane nei confronti del Paese) e il sindacato che si rivela inaspettatamente come la vera forza di modernizzazione dell’azienda per il ruolo che essa può giocare nella digitalizzazione dell’Italia.