
Difficile immaginare Giuseppe Valditara e Robbie Williams esibirsi sullo stesso palco. Eppure il ministro italiano e il cantante inglese sono più vicini di quanto le loro storie personali e i loro look possano far pensare. Perché su un tema rilevante come il rapporto che deve esserci tra i ragazzi e i cellulari sembrano pensarla allo stesso modo. Questi sono i giorni nei quali le scuole del nostro Paese stanno cominciando a ragionare sulle possibili soluzioni (armadietti? tasche portaoggetti?) per mettere in atto – come disposto dal ministro dell’Istruzione e del Merito – “il divieto di utilizzo del telefono cellulare durante lo svolgimento dell’attività didattica e più in generale in orario scolastico”. Ma sono anche i giorni in cui ha fatto rumore la presa di posizione della popstar: “Ho cinquantun anni e non sono in grado di affrontare la natura corrosiva di internet. Questa roba mi fa male, mi rovina le giornate: come faccio a dare una droga del genere a qualcuno che ha dodici anni, che ne ha sette? I miei figli non avranno un cellulare finché sarà umanamente possibile”.
La paura dei giovanissimi di essere tagliati fuori dai social network
Allarmismo ingiustificato? Proprio no. Mai come oggi tanti ragazzi si sentono soli. Connessi, ma sradicati. Passivi ed invisibili. I social network non sono più semplici strumenti di comunicazione: sono diventatifabbriche digitali di immagini e parole, dove gli algoritmi stabiliscono ciò che è desiderabile, degno di attenzione, virale. Chi controlla l’algoritmo controlla in parte anche la percezione che abbiamo di noi stessi. E in questa distorsione cresce il disagio: sempre più giovani si trasformano in moderni narcisi, riflessi e intrappolati nella rete, con una paura così diffusa da essersi guadagnata uno specifico acronimo, la Fear of Missing Out (FOMO), la paura di essere tagliati fuori. Vedere le vite degli altri filtrate da algoritmi patinati, costantemente perfette, crea un confronto continuo e impari. Ci si sente sbagliati, inadeguati, esclusi. Ma è una realtà manipolata, è il frutto di un setaccio digitale che non racconta mai il dolore, la noia, l’errore. Una generazione fragile non perché meno forte delle precedenti, ma perché continuamente messa alla prova da stimoli artificiali, da una rappresentazione di sé e del mondo che non lascia spazio alla vulnerabilità, all’imperfezione.
“Serve insegnare non solo come usare la tecnologia, ma anche perché usarla, con quali limiti, con quali consapevolezze”
Ma a questo quadro, pur realistico, non ci si può rassegnare: con la tecnologia prima o poi i conti bisogna farli. E la strada non può essere che una: diffondere l’alfabetizzazione digitale e critica. Serve insegnare non solo come usare la tecnologia, ma anche perché usarla, con quali limiti, con quali consapevolezze. Bisogna svelare i meccanismi invisibili che regolano gli algoritmi, allenare il pensiero critico, coltivare la capacità di discernere l’autenticità dall’illusione. Educare alla libertà, non alla dipendenza. Restituire valore alla propria identità, che non può essere misurata da un numero di like. È attraverso la conoscenza che si costruisce un uso sano della tecnologia e si pongono le basi per una vita piena, serena, libera dalla dittatura invisibile dell’algoritmo. E dunque occorre sviluppare competenze specifiche per affrontare le sfide dell’intelligenza artificiale. Mi ha colpito apprendere che dall’anno prossimo l’AI sarà materia obbligatoria in tutte le scuole degli Emirati Arabi Uniti: sin dalle elementari i piccoli studieranno algoritmi, coding, etica dell’AI e applicazioni nel mondo reale. Per costruire una società in cui la tecnologia sia uno strumento di progresso e non una minaccia alla libertà la scuola deve rimodulare gli obiettivi formativi delle competenze.
Senza andare così lontano, una lezione simile viene dal Vaticano e dal suo faro puntato sul digitale e sull’intelligenza artificiale.Già Papa Francesco ne aveva parlato al mondo nella sessione del G7 ospitata dall’Italia nell’estate 2024. Ed è sua la prima firma sotto la Carta di Assisi dei bambini, il manifesto dell’educazione digitale dei piccoli di tutto il mondo promosso dall’Associazione Articolo 21 che Bergoglio sottoscrisse in occasione della prima Giornata Mondiale dei Bambini. Con Leone XIV il tema sembra addirittura aver influito sulla scelta stessa del nome: Papa Prevost sa di dover tentare, di fronte alla rivoluzione digitale, un’operazione analoga a quella che Leone XIII mise in atto ai tempi della rivoluzione industriale.
Così con l’associazione Patti Digitali e a Telefono Azzurro promuoviamo momenti di detox digitale collettivo
Educare competenze è indispensabile, ma insieme è utile promuovere momenti di detox digitale collettivo. È una delle esperienze più interessanti alle quali stiamo dando il via in numerose scuole di Roma, assieme all’associazione Patti Digitali e a Telefono Azzurro. I genitori sottoscrivono un accordo fra di loro e con gli insegnanti con il quale si vincolano reciprocamente a non dare lo smartphone ai figli fino ai 13 anni. In alternativa costruiscono mattinate di “pausa consapevole” che riempiono con sport e lezioni di media education. Così la sfida tecnologica diventa anche una bella sfida umana.
Per approfondire:
Stop agli smartphone anche alle superiori, scatta il divieto voluto da Valditara. La circolare