#Cosedanoncredere. Web: serve consapevolezza per passare da consumer a pro-sumer

di Alessandra Talarico |

È ‘consapevolezza’ la parola chiave dell’evento organizzato dall’Unione Nazionale Consumatori ieri a Roma, articolato in 4 tavoli dedicati al web, all’energia, all’alimentazione e a salute & benessere, ai quali hanno partecipato quasi 150 persone.

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Cose da non credere plenaria

Accrescere la fiducia dei consumatori nella società digitale: un obiettivo non semplice da raggiungere, viste le molte insidie che si celano nelle vie del web, che non sono troppo diverse dalle strade delle nostre città, ma neanche impossibile se questo processo poggia sulle solide basi di una maggiore consapevolezza. E’ questa, infatti, la parola chiave dell’evento organizzato dall’Unione Nazionale Consumatori ieri a Roma a Villa Miani,  articolato in 4 tavoli dedicati al web, all’energia, all’alimentazione e a salute & benessere, ai quali hanno partecipato quasi 150 persone tra rappresentanti delle istituzioni, dell’industria del web e di quella alimentare, delle aziende dell’energia, della filiera produttiva della salute e del benessere e dell’industria alimentare.

Quattro gli argomenti affrontati per quel che riguarda il web, al tavolo moderato dal direttore di Key4Biz, Raffaele Barberio: la relazione online tra imprese e consumatori; i big data; i sistemi di ePayment e l’empowerment degli utenti rispetto ai loro consumi.

 

Il tema che ha dominato la prima sequenza di interventi è stato quello della sensibilizzazione del consumatore, che anche grazie al web, sempre più spesso non è solo fruitore passivo di un servizio ma è messo nella condizione di partecipare alle fasi di produzione e distribuzione, di essere, insomma, un ‘pro-sumer’. E in questo senso internet è un prezioso alleato per fare sentire la propria voce ad aziende un tempo quasi irraggiungibili se non dopo interminabili attese per un operatore disponibile. Oggi le cose sono cambiate: “I consumatori – ha detto Sergio Caserta (Country manager di Vanguard Communications Europe) – conoscono le loro esigenze meglio di chiunque altro” e le aziende si possono contattare sui social network e tramite le app scaricabili sullo smartphone “e la risposta, in questi casi, arriva molto più velocemente”, rispetto ai metodi utilizzati prima dell’arrivo degli strumenti digitali.

 

Come ha notato in apertura del dibattito Marco Valerio Cervellini, (Responsabile per la Polizia postale dei progetti educativi navigazione minori in rete), “i dati sulle truffe in rete continuano a segnalare un costante aumento delle trappole, ma il fenomeno non può essere contrastato soltanto con i pur necessari arresti. Serve sensibilizzare i consumatori”.

Una necessità, quella di sensibilizzare i consumatori, evidenziata anche da Guido Scorza (Presidente  dell’Istituto per le politiche dell’innovazione), secondo cui “i consumatori informati sono messi nella condizione di auto-difendersi” ma neanche questo, da solo, può bastare per accrescere la fiducia nel web. C’è pure bisogno, infatti, di “una regolamentazione propositiva, veloce e binaria” che non sia antagonista dell’innovazione. Di regole che permettano “di usare al meglio il web e di veicolare quanto c’è di buono nei suoi diversi strumenti“, anche quelli, come Uber o Tripadvisor, che al loro apparire sollevano dubbi e proteste da parte delle categorie di cui vanno a scalfire il potere.

“È sbagliato credere che il web sia qualcosa da cui difendersi”, anzi, se usato nel modo giusto può essere un volano per l’economia, ha aggiunto Diego Ciuli (Senior policy analyst di Google Italy), sottolineando che, ad esempio, le ricerche sui prodotti made in Italy nell’ultimo anno sono aumentate del 12%. L’Italia, secondo Ciuli, deve andare oltre l’alibi della mancanza delle infrastrutture e cominciare a ragionare in un’ottica di sistema, creando le “competenze digitali sia tra gli imprenditori che fra i giovani, per fare in modo di incrociare domanda e offerta di lavoro”.

Per questo, “La prima riforma che serve al paese è la digitalizzazione spinta ed è necessario spingere le aziende ad andare online” senza demonizzare né le web company, né i nuovi servizi come i Big data, “che servono a costruire servizi migliori e vanno incentivati“.

 

Le aziende, del resto, stanno investendo: Telecom Italia ha portato le connessioni a 20Mb al 90% della popolazione e da qualche mese ha lanciato anche quelle a 30Mb; Vodafone ha lanciato un piano di investimenti da 3,6 miliardi nella banda larga fissa e mobile.

Che manca allora? Secondo Francesco Nonno (Vice presidente equivalence and regulatory affairs Antitrust di Telecom Italia), manca la domanda (i servizi a 20 mega sono stati sottoscritti solo dal 5% della popolazione coperta). Quanto al rapporto con i clienti, facilitato dalle app e dal web, Nonno ha aggiunto che “il web spinge le aziende a essere più trasparenti, a ristrutturare i processi”. Ogni mese, sono 2 milioni i clienti Telecom a contattare l’azienda dia web o app.

Secondo Leone Vitali (Responsabile rapporti con le associazioni dei consumatori Vodafone), è pertanto sbagliato parlare di  ‘analfabetismo digitale’, perché ormai le tecnologie sono entrate prepotentemente anche nel rapporto tra aziende tlc e consumatori.

“Il 50% dei clienti ci contatta via app o web per trovare risposte alle loro domande”, ma è la regolamentazione che invece è ferma e obbliga gli operatori “agli obblighi di assistenza tradizionale, rallentando l’innovazione”, ha aggiunto Vitali.

 

Oltre alle reti a banda larga fisse e mobili c’è anche il satellite, che “non è antagonista, ma complementare alle altre tecnologie e pone tutti i cittadini, anche quelli che vivono nelle aree più remote, sullo stesso livello. Tutti cittadini di serie A, che possono accedere a tutti i servizi, permettendo quindi alle aziende di competere sullo scenario globale”, ha detto Renato Farina (AD, Eutelsat Italia).

Quest’anno, quindi, “deve essere l’anno dell’execution” e bisognerà mettere a regime tutte le tecnologie – satellite, fibra, LTE – per completare l’infrastrutturazione digitale del Paese, anche perché “i fondi ci sono, ma mancano i piani operativi”, ha sottolineato Rossella Lehnus di Infratel Italia.

La mancanza di un “sistema paese, di una visione per il futuro” è stata evidenziata quindi anche da Massimo Melica (Managing partner dello studio Legale Melica Scandelin & Partners), secondo cui pensando al web, “la cosa da non credere è pretendere che online tutto funzioni quando il mondo fuori è imperfetto”. In questo senso i consumatori, se sanno quello che vogliono, possono essere d’aiuto per migliorare i servizi offerti dal web.

Per Marcello Berengo Gardin (Economics & markets analysis, corporate communications & pubblic affairsSky),”Oggi le aziende cercano sempre più il contatto diretto con i clienti e questo dovrebbe avvenire anche per l’accesso ai servizi della Pubblica amministrazione, che sono complicatissimi ed è questa la vera cosa da non credere”.

 

Nel corso del tempo, infatti, Internet ha contribuito a scardinare meccanismi consolidati nel rapporto tra imprese e consumatori: se, infatti, fino a pochi anni fa erano le aziende a creare i bisogni, ora sono i consumatori a farlo e le aziende devono fornire tecnologie e soluzioni. Secondo Pier Luigi Dal Pino (Direttore centrale per le relazioni istituzionali e industriali di Microsoft) “occorre riaprire il dibattito sui diritti degli internauti e soprattutto dare loro certezza su come i loro dati vengono usati dalle aziende online”.

Spesso sul banco degli imputati quando si toccano temi quali la privacy e i dati personali, Facebook ha avvertito negli ultimi temi la necessità di fornire alle persone più trasparenza e controllo sui loro dati personali, proprio per ristabilire con gli utenti un rapporto di fiducia minato da troppi sospetti. Per questo, ha spiegato Laura Bononcini (Head of public policy Italy di Facebook), il social network “ascolta con sempre maggiore attenzione i feedback degli utenti ed è sempre più attento ai rapporti con le istituzioni e le associazioni dei territori in cui opera”. Proprio con l’obiettivo di dare agli utenti maggiore controllo della loro privacy, è stata lanciato anche uno strumento di segnalazione sociale, che permette alle persone di eliminare contenuti imbarazzanti rivolgendosi alla persona che quel contenuti li hanno postati.

 

Davide Corcione (Media and search account manager director, Yahoo) ha messo in guardia contro il ‘consumer divide’, evidenziando la necessità di proteggere i consumatori più deboli, quelli cioè che accedono a internet ma non sono troppo avvezzi allo strumento e ha aggiunto che “l’accesso ai dati da parte delle web company non va demonizzato perché consente ad aziende come Yahoo di esistere, come la pubblicità per le Tv commerciali”.

L’importante, ha sottolineato Luca Bolognini, (Presidente dell’Istituto Italiano Privacy) è garantire che le società, una volta che l’utente ha fissato i suoi parametri per la difesa della privacy, “cancellino veramente i dati o modifichino le impostazioni come richiesto”. In questo contesto, le Autorità, ha aggiunto, “saranno sempre più garanti della verità”.

 

Le Autorità, dal canto loro, cercano di intervenire coi mezzi che hanno a disposizione, ma non sempre è facile avendo a che fare con un universo in continua evoluzione. Secondo Giuseppe Busia (Segretario generale, Autorità Garante per la protezione dei dati personali) “la vera sfida per i regolatori è culturale: i dati servono alle web company per il loro business, ma non serve avere un atteggiamento predatorio. I consumatori – secondo Busia – sono maturi e sempre più consapevoli dell’importanza dei loro dati. Serve quindi più consapevolezza da parte delle aziende che li usano a fini commerciali”.

 

La difficoltà di regolamentare il web è sentita anche dall’Antitrust “che cerca di dare risposte anche in questo momento di crisi e di evoluzione delle abitudini e delle tecnologie, in cui molti soggetti che operano nel settore lo fanno senza essere soggetti a regole precise”, ha detto Giovanni Calabrò (Antitrust, Direttore generale tutela consumatori), sottolineando però che dal 14 giugno l’Autorità avrà più poteri per tutelare i consumatori e sanzionare le aziende che non rispettano le regole, ad esempio, sui contratti a distanza o i servizi non richiesti.

Antonio Nicita (Commissario Agcom) ha evidenziato la persistenza di regole ancora troppo settoriali per un mondo che va verso la convergenza e la necessità, quindi, di una maggiore convergenza anche a livello regolamentare, ribaltando poi il problema dell’analfabetismo digitale: “Dovremmo chiederci – ha detto – se non sia il caso di alfabetizzare i consumatori costringendoli a usare il web”, offrendo cioè una serie di servizi fruibili solo via internet.

 

L’innovazione, secondo Paola Garibotti  (Unicredit, Head of country development plans), non ha più senso farla in azienda senza guardare il mondo fuori, dove le idee viaggiano ad altissima velocità (ne è l’esempio il servizio Car2Go). E proprio per accelerare l’innovazione Unicredit ha lanciato il progetto Startlab rivolto alle startup innovative di tutti i settori e per fare in modo che chi ha voglia di fare innovazione possa attingere al bacino di offerte e attività del Lab. Per il Direttore centrale ABI, Gianfranco Torriero, “L’innovazione non è l’ottimizzazione dei processi produttivi ma un volano di nuovi bisogni e vince solo se c’è un ribaltamento dall’offerta alla domanda”, mentre sul tema della fiducia sono tre le parole chiave: “semplicità, sicurezza, sommerso”. I casi di successo, ha concluso, devono però incrociarsi “con la scarsa capacità d’innovazione e col reddito nazionale negativo dell’Italia”.

 

Esemplificativo delle difficoltà di fare innovazione in Italia è stato l’intervento dei più giovani tra i partecipanti al tavolo, Gianluca Comandini, che per avviare la sua impresa non ha trovato interlocutori tra gli istituti di credito italiani, salvo poi recarsi in Germania e ottenere un finanziamento in poco più di dieci giorni. “Ora, dice, impiego 33 persone, delle quali, però, 22 sono russi e ucraini. I 10 italiani si occupano del commerciale. Servirebbe – ha concluso – avere in Italia dirigenti  più preparati in cultura e sicurezza informatica”.

 

Sulla scia dell’innovazione legata alle nuove esigenze dei consumatori in fatto di pagamenti senza contante, si è inserita anche Poste Italiane che, ha ricordato Giorgio Pulino (Ufficio tutela azienda – sicurezza fisica), ha realizzato il primo ufficio postale ‘No Cash‘  e creato una ‘super sim‘ per i pagamenti contactless. “Le app – ha spiegato Pulino – rappresentano il futuro dei trasferimenti monetari e Poste Italiane sta cercando di offrire ai suoi clienti procedure innovative e sicure e di creare servizi embedded”.

 

Sul tema dell’epayment sono intervenuti, Geronimo Emili (Presidente CashlessWay), che ha sottolineato la necessità “di spingere i consumatori a usare i sistemi di pagamento elettronico in modo più consapevole e di approfondire le questioni legate alle criptovalute” per fare anche dell’Italia un paese con meno contante e  l’onorevole Sergio Boccadutri, secondo cui il tema dell’epayment “ingloba tutti i temi della relazione online tra aziende e consumatori”. “La prima cosa da non credere – ha aggiunto – è che molti di noi vanno al bancomat per ritirare dei soldi che poi useranno per pagare il un negozio dotato di Pos”. Serve, ha detto infine Sergio Boccadutri, “la rapida approvazione di un quadro normativo favorevole alla diffusione di POS, ePayment e sistemi di pagamento via smartphone ed è un tema che andrà portato all’attenzione della Commissione europea”.


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