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#eJournalism: algoritmi e robot, ecco come cambia l’editoria

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Robot, algoritmi e social network stanno trasformando l’editoria, ridisegnando nuovi scenari nei quali ci si domanda che ruolo avranno i giornalisti e se questi profondi cambiamenti riguarderanno anche la carta stampata.

 

Se i robot già scrivono le notizie, non potrebbero fare anche lavoro di editing? Ma a quel punto, se la loro funzione è realizzare dei giornali super-targettizzati, che ne sarebbe della serendipità? Riusciamo a insegnare ai robot anche a inserire articoli importanti anche se non sexy per impedire di trovarci immersi in una massa omogenea di contenuti  – quelli che, attraverso il nostro comportamento sulla rete, abbiamo mostrato ampiamente di condividere – senza dover mai affrontare la sfida di nuove idee?

 Sono gli interrogativi al centro di una serie di riflessioni che Mathew Ingram svolge su Gigaom.

 

Ingram parte dalla notizia di un esperimento che il Guardian ha avviato la scorsa settimana negli Stati Uniti – un giornale che viene interamente, o in gran parte, generato da algoritmi basati sull’attività di condivisione sociale e su altri comportamenti dei lettori del giornale, per chiedersi: E’ questo il futuro che si profila per i giornali di carta?

 Il progetto si chiama #Open001 ma, racconta DigiDay, ma non si troverà nelle edicole. Ne vengono stampate solo 5.000 copie destinate alle agenzie pubblicitarie e ai media. In pratica, più un’iniziativa di marketing che un esperimento editoriale.

 

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).
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L’esperimento – ricorda Ingram – si rifà a un progetto simile avviato alcuni mesi fa in Uk con la pubblicazione di un giornale su carta, The Long Good Read,  composto da alcuni dei migliori articoli di longform journalism (giornalismo narrativo, ampio) del Guadian e del ”fratello” The Observer. Il magazine è disponibile gratuitamente una volta alla settimana in un caffè nel quartiere londinese di Shoreditch (un negozio che – dice Ingram – è un interessante esperimento in se stesso).

 

Perderemo il fattore serendipità?

Né il progetto Long Good Reads né #Open001, ovviamente – continua Ingram – sostituiranno il Guardian o qualsiasi altro giornale stampato. Il primo è una pubblicazione mensile, l altra settimanale, e sono finalizzati a quelli che – per ora almeno – sembrano dei mercati abbastanza di nicchia. Tuttavia, noi avremmo tutte le possibilità di fare dei giornali su misura per i nostri interessi. Ma dovremmo farlo?

Il vantaggio di strumenti come Paper.li – che permette agli utenti di Twitter di creare un “giornale” digitale personalizzato sulla base di tutti i collegamenti che sono stati condivisi dalla sua ”rete” –  o come riviste digitali personalizzate tipo quelle lanciate da Flipboard l’anno scorso, oppure ancora come Paper, la nuova app di Facebook, è che possiamo creare un flusso specialistico tarato direttamente sui nostri interessi, attraverso il nostro grafo social.

 

Ma ci sono anche aspetti negativi. Uno di essi – come ha spiegato dall’autore di Filter Bubble, Eli Pariser, è che finiremmo per essere circondati da cose su cui siamo già d’accordo, senza la sfida di nuove idee.

Questo è il motivo per cui alcuni motori di segnalazione di notizie come Prismatic cercano di progettare anche delle cosiddette funzioni di ‘serendipità’, in maniera da impedire che tutto quello che ci viene fornito sia una massa omogenea di cose verso cui abbiamo fatto capire di essere interessati. Anche i direttori dei giornali (almeno in teoria) scelgono delle storie che potrebbero non essere sexy o interessanti, ma che in qualche modo sono importanti. Ma – conclude Ingram – ai robot possiamo insegnare a fare anche questo?

 

 

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