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#eJournalism: il digitale riporta speranza nei media Usa

Stati Uniti


Pur a fronte di vecchie e nuove sfide sul campo, il 2013 e i primi mesi del 2014 sembrano aver portato una ventata di ottimismo, o quantomeno di speranza, per il futuro del giornalismo americano – grazie soprattutto all’ impennata di alcuni soggetti digitali, con il seguito di know-how tecnologico, talenti emergenti e nuovi flussi di denaro.

Questo il quadro generale offerto dallo State of the News Media 2014, undicesima edizione dell’indagine sulla scena statunitense curata dal Pew Research Center all’interno del suo Journalism Project.

 

Nel complesso, il settore conta oggi su un fatturato di 63-65 miliardi di dollari (al confronto Google ha incassato 58 miliardi nel 2013) e, pur se in netto calo, le inserzioni coprono a tutt’ora quasi il 70% degli introiti generali – con il 58% su cartaceo e digitale, un terzo sui network TV. Rispetto al 2012, almeno 500 quotidiani online hanno lanciato una qualche variante del paywall, ma di fatto pochi hanno recuperato il vuoto lasciato dai mancanti abbonamenti al cartaceo. E appena l’1% delle entrate totali è dovuto ai venture capitalist o alla filantropia (con la notevole eccezione dei 250 milioni stanziati da Pierre Omidyar per First Look Media).

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).
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Pur se molti storcono il naso, è ancora BuzzFeed a tirare la cordata tra le testate native digitali, con uno staff di 170 persone, continue assunzioni dal mondo tradizionale e nomi di spicco come Mark Schoofs, vincitore del Pulitzer Prize (successo confermato da un ampio resoconto della Columbia Journalism Review, recentemente tradotto da Lsdi). Tirano forte anche Gawker (132 redattori, il doppio rispetto al 2012) e Mashable: 70 redattori e fresco arrivo al vertice di Jim Roberts, ex pezzo grosso del New York Times. A scalare, HuffPo, Bleacher Report, FiveThirtyEight, TechCrunch, Grantland e altri, per un totale di circa 30.000 posti di lavoro.

 

Tuttavia, sempre a livello occupazionale, in attesa di dati più precisi rispetto al 2013, è opinione comune di essere  scesi al di sotto del meno 6,4% di redattori professionisti a tempo pieno già registrato nel 2012: solo la catena Gannett ha  ridotto l’organico di 440 posti, mentre Tribune Co.  di circa 700 (pur se non tutti nelle redazioni).

 

In crescita invece l’attenzione del settore al citizen journalism — con spazi quali Stringwire, Storyhunter, Storyful, iReport su Cnn e altri — tesa a incrementare le collaborazioni in tempo reale tra cittadini e redazioni, basate ovviamente su smartphone e device mobili. Ad esempio, la testata politica non-profit Texas Tribune ha raccolto su Kickstarter oltre 60.000 dollari per l’acquisto di apparecchiature per il live-streaming da utilizzare durante le elezioni parlamentari e locali del prossimo novembre.

 

Sull’ abbraccio sempre più stretto tra attualità e social media, non sorprende sapere che Facebook, YouTube e Twitter (rispettivamente con 30%, 10% e 8%) sono le piattaforme  più usate dagli americani per trovare news, ma per lo più inciampando nelle notizie condivise dagli “amici” – la casualità dello “effetto Facebook” già affrontato qui in dettaglio. Altre percentuali utili, pur se su Twitter i trending topic fluttuano in continuazione: il 50% dei netizen condivide e rilancia notizie, il 46% le commenta e discute, il 14% e il 12% le produce in senso stretto, pubblicando foto e video di eventi ai quali ha assistito.

Per ulteriori dettagli, si rimanda alla pagina originale di The State of the News Media 2014.

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