Basta piani regionali, per l’eGovernment serve un regista unico

di di Paolo Colli Franzone (NetSquare - Osservatorio Netics) |

L’articolo 117 della Costituzione attribuisce competenza esclusiva allo Stato in materia di coordinamento informativo per l'amministrazione statale, regionale e locale.

#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.
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Italia


Paolo Colli Franzone

Per una serie di circostanze e coincidenze, mi è capitato – in queste ultime due settimane – di incontrare o parlare al telefono con una dozzina abbondante di quelli che furono i “protagonisti” della prima ondata di digitalizzazione (allora si chiamava “informatizzazione”) della pubblica amministrazione.

Gli “eroi” del primo piano nazionale di eGovernment, quando con svariate centinaia di miliardi di lire provenienti dalla gara per l’affidamento in concessione delle frequenze UMTS si diede la stura a decine di più o meno improbabili progetti finalizzati a costruire decine di più o meno improbabili portali e centinaia di più o meno utili servizi online.

Fu subito festa: tutti a presentare progetti, ciascuno dei quali reinventava rigorosamente la medesima acqua calda.

 

Nei mesi che intercorsero tra l’uscita dei bandi di eGovernment e la data di scadenza per la presentazione dei progetti, un gruppo di “sconsiderati” (compreso il sottoscritto) tentò di far passare un modello alternativo: “proviamo a costruire UN grande progetto per tutte le Regioni, UN grande progetto per tutti i Comuni, eccetera“.

Fu subito polemica e tutto venne rigorosamente insabbiato.

 

Il risultato finale non poté che essere quello scontato: decine di sistemi di autenticazione, dozzine di portali, centinaia di servizi online ciascuno assolutamente diverso dall’altro.

Oggi, a quattordici anni di distanza, possiamo vedere come ci sia una più che buona disponibilità teorica di servizi online della PA rivolti a cittadini e imprese a fronte di un loro utilizzo drammaticamente vicino al nulla.

 

Se questa primavera 2014 sta cominciando a manifestare più di un segnale di risveglio dell’attenzione dei Palazzi rispetto ai temi dell’amministrazione digitale, vale la pena di provare a capire le vere ragioni del flop del piano nazionale di eGovernment con l’obiettivo di evitare di ricadere in errori già commessi (facendone, inevitabilmente, di nuovi).

 

Il primo, clamoroso, errore fu quello di sposare la logica del pusher: immettiamo sul “mercato” una sovrabbondanza di offerta di servizi online e sicuramente genereremo la domanda.

L’allora Ministro Stanca fu probabilmente molto mal consigliato da improbabili guru del “tech push”, quello stesso modello che fu alla base della deflagrazione della bolla Internet del 2001 che qualche risparmiatore ancora oggi ricorda portandosi dietro non poche cicatrici.

A nessuno (tranne che ai “pochi sconsiderati del gruppuscolo dei non allineati”) venne in mente di partire dalla domanda: analizzare i bisogni reali dei cittadini e delle imprese, fornendo loro soluzioni costruite in funzione del loro soddisfacimento.

 

Ma non è tutto: a questo primo errore se ne affiancò un secondo, decisamente più grave.

Allo Stato non venne in mente di giocare la “carta 117”.

Parlo dell’articolo 117 della Costituzione, il quale attribuisce competenza esclusiva dello Stato in materia di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale.

 

Lasciare briglie sciolte alla fantasia di 21 Regioni e Province Autonome, 108 Province e 8.000 Comuni fu uno sbaglio che produsse una quantità considerevole di entropia e di denaro mal speso.

 

Il fatto è che ancora oggi le cose stanno così: in materia di digitale, lo Stato continua a non giocare questa benedetta “carta 117”.

Vero è che la nuova configurazione dell’AgID può risolvere questo problema, in quanto probabilmente per la prima volta (rispetto alle storie di CNIPA e DigitPA) si avverte la volontà dell’Agenzia di “meglio coordinare” le regioni e le autonomie locali.

Forse, bisogna fare di più.

Riprendendo il tema della governance, a partire dalla parola “concertazione”.

Se le parole hanno un peso, e se è vero che “concertazione” trova il suo etimo nel “concerto”, partiamo da qui.

Un concerto non è un momento in cui ciascuno dei musicisti arriva e se la canta e se la suona.

C’è uno spartito, c’è un direttore d’orchestra.

E’ un po’ come la faccenda della “cabina di regia”. Dove, per definizione, ha da esserci un regista.

Il resto sono chiacchiere, e cattiva musica.