E se il Jobs Act partisse dai centri per l’impiego?

di di Paolo Colli Franzone (NetSquare - Osservatorio Netics) |

I centri per l’impiego riescono a 'piazzare' meno di 4 lavoratori su 100 ogni anno: oltre 550 strutture, quasi 9.000 dipendenti, per un costo complessivo intorno ai 500 mln di euro all’anno.


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è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.
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Italia


Paolo Colli Franzone

In attesa di leggere una versione più o meno definitiva del “Jobs Act“, augurandoci che davvero sia una misura capace di generare quantità significative di posti di lavoro, viene voglia di essere ottimisti e immaginare un’offerta (le aziende) interessata a incontrare la domanda (cittadini in cerca di lavoro) potendo contare su strumenti affidabili e “veloci”.

Chiunque abbia anche soltanto la più pallida idea sul come, oggi, si realizza l’incontro tra domanda e offerta sul mercato del lavoro sa che lo strumento più utilizzato è quello delle “reti informali“: amici, dipendenti che parlano con amici, parenti, parrocchie, e via di seguito. A seguire, gli intermediari autorizzati a operare su questo mercato.

Praticamente a nessuno viene in mente di rivolgersi ai centri per l’impiego, i quali infatti riescono a “piazzare” meno di 4 lavoratori su 100 ogni anno.

Che i centri per l’impiego non funzionino non è una novità: oltre 550 strutture, aperte al pubblico non più di 20 ore a settimana. Quasi 9.000 dipendenti, per un costo complessivo (stimato dall’ex ministro Giovannini) che sta intorno ai 500 milioni di euro all’anno. Competenze frammentate tra Regioni e Province, secondo il noto paradigma del “federalismo fai-da-te”.

 

C’è chi vorrebbe imitare il modello tedesco della “Agentur für Arbeit“, incrementando notevolmente il numero di addetti dei centri per l’impiego e decuplicando – complessivamente – le risorse ad essi destinate.

Oppure …

Oppure, si potrebbe provare a pensare qualcosa di nuovo. Partendo, magari, dall’utilizzo di piattaforme “social” finalizzate alla creazione di relazioni tra domanda e offerta sul mercato del lavoro.

Esperienze interessanti non mancano, se ci limitiamo al mondo delle Apps “per trovare lavoro”: da “iClic” (Ministero del Lavoro) a “Monster“.

Forse, però, più che l’App “fine a sé stessa” e centrata sul paradigma della “bacheca degli annunci” si dovrebbe immaginare qualcosa di più simile a una community. A una “LinkedIn di fascia medio-bassa“, per rendere l’idea.

Molte Regioni italiane hanno investito risorse considerevoli nello sviluppo di portali per il lavoro, con risultati più o meno interessanti. Ma anche in questo caso, nella migliore delle ipotesi (Regione Lazio, per fare un esempio) ci si è limitati ad aggregare bacheche di ricerca collezionando e pubblicando annunci più o meno utili.

 

Secondo dati dell’Osservatorio Netics, le Regioni (e le Province) hanno investito, tra il 2003 e il 2012, non meno di 80 milioni di Euro per lo sviluppo di portali e/o siti “specializzati” sul tema del lavoro, e spendono all’incirca 6,5 milioni di Euro l’anno per la loro gestione.

In nessuno di questi portali/siti si va sostanzialmente “aldilà” della mera pubblicazione di norme, circolari, annunci di ricerca, bandi, eccetera.

 

Potrebbe risultare interessante un salto di qualità, magari dando vita a concorsi di idee riservate a disoccupati: chi meglio di loro è in grado di immaginare una community specializzata nella creazione di relazioni tra domanda e offerta?

 

L’idea è quella di partire dallo sviluppo di communities a livello metropolitano (le grandi aggregazioni di domanda di lavoro), dando ovviamente la possibilità ai “cercatori di lavoro” di accedere a più communities sull’intero territorio nazionale.

I centri per l’impiego, quindi, diventano i terminali “fisici” delle communities in rete: potendo continuare a funzionare senza bisogno di onerose decuplicazioni di piante organiche.

Nascerà il bisogno, questo sì, di avere “animatori online” delle communities.

 

Se davvero vogliamo andare oltre gli slogan, questo potrebbe essere uno degli spunti per una “vera” Amministrazione 2.0.

E ben vengano spunti ulteriori, e idee concrete, da parte di vendor IT che hanno “qualcosa da dire” in termini di capacità di creare soluzioni di community e di social networking.