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#eJournalism: Fondi pubblici all’editoria, il punto della situazione

Italia


#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione). Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

Il Post ha pubblicato un interessante dossier sui fondi pubblici dati ai giornali che cerca di fare un po’ di ordine e chiarezza sulle diverse tipologie di finanziamento.

La questione italiana dei finanziamenti pubblici all’editoria – che ritorna ciclicamente nel dibattito pubblico, e torna fuori ogni volta che si parla della crisi dei giornali – è piuttosto complicata: ci sono varie forme di contributi (diretti, indiretti o tutti e due insieme), qualcuno può riceverli, altri ne sono esclusi, ci sono numerose leggi di riferimento. E ci sono, infine, diverse posizioni sulla loro legittimità o meno: c’è chi vuole abolirli, chi ripensarli e chi lasciarli così come sono. Gli argomenti di chi li pensa necessari si possono, semplificando, riassumere nella difesa della pluralità delle informazioni e delle opinioni, nella conseguente tutela dei giornali più piccoli e nel riequilibrio di una disparità che deriva dagli investimenti pubblicitari. Chi invece vuole abolirli (e il Movimento 5 Stelle si è fatto portavoce di questa richiesta presentando un disegno di legge) sostiene che è un costo troppo oneroso per lo Stato e che il finanziamento non rende libera l’informazione ma al contrario la condiziona.

 

Esistono due tipi di finanziamento all’editoria. I contributi diretti, distribuiti in base a vari criteri (ci torneremo) e di cui possono usufruire solo alcuni, e i contributi indiretti a cui possono avere invece accesso tutte le testate, purché cartacee.

Quali testate vengono finanziate?

Nella loro forma diretta, i finanziamenti riguardano solo tre tipologie di giornali: i giornali organi dei partiti politici, quelli delle cooperative di giornalisti e quelli delle minoranze linguistiche e che fanno riferimento a «enti morali», quelli cioè per le comunità italiane all’estero. Il loro elenco con relativi importi, è sul sito del governo, nelle pagine del Dipartimento per l’editoria e va dall’anno 2003 all’anno 2012.

 

Dalle tabelle relative all’anno 2012 risulta che il finanziamento per imprese editoriali è andato a 45 testate tra cui, per esempio: Avvenire (che con 4.355.324,42 è anche il più finanziato), Europa ( 1.183.113,76), Il Foglio ( 1.523.106,65), Italia Oggi ( 3.904.773,62), Il Manifesto ( 2.712.406,23), L’Unità ( 3.615.894,65). Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, Il Giornale, Il Fatto, Libero e altri tra i maggiori quotidiani nazionali non hanno dunque ricevuto contributi pubblici diretti. Tra chi ha ricevuto contributi in quanto imprese editrici di periodici che risultino esercitate da cooperative, fondazioni o enti morali, ci sono 136 testate: tra quelle che hanno ricevuto i contributi più consistenti ci sono: Famiglia Cristiana ( 142.069,68), Rho Settegiorni ( 127.551,95), Quaderni di Milano ( 139.389,12), Il Giornalino ( 136.708,56), Il Biellese ( 121.326,79). Scrive l’Espresso: “La maggioranza dei quotidiani italiani, che rappresentano il 90 per cento del totale delle copie diffuse in Italia, non riceve contributi diretti» e che «solo il 10 per cento delle copie diffuse, attualmente percepisce un contributo pubblico”.

 

I contributi indiretti

I contributi indiretti sono piuttosto difficili da quantificare: per i quotidiani o i periodici che sono classificati nella categoria dei prodotti “stampabili”, che hanno indicato il prezzo di vendita in copertina o in un allegato comprendente anche il titolo e l’indicazione dell’editore, è previsto un regime fiscale agevolato del 4 per cento sul 20 per cento delle copie stampate. Tale regime è detto “monofase” perché corrisposto una sola volta da un solo soggetto: l’editore. E questo per semplicità: tutti i soggetti che intervengono nei passaggi successivi (che sono molti e diversi: distributori, commercianti e rivenditori) e fino alla vendita restano fuori dall’imposta. Se per esempio si stampano 100 mila copie si paga l’IVA al 4 per cento su 20 mila copie e le altre 80 mila sono considerate esenti IVA (i giornali non sono l’unico bene che gode di questo regime agevolato, anzi).

 

Fino al marzo del 2010 i contributi indiretti comprendevano anche delle agevolazioni postali per la spedizione degli abbonamenti: erano stati previsti nel dicembre del 2003 con il decreto legge n. 353. Il Dipartimento per l’informazione e l’editoria provvedeva a rimborsare Poste italiane della somma corrispondente alle riduzioni complessivamente applicate: tali agevolazioni sono state sospese, ma i rimborsi pregressi dovuti a Poste non ancora estinti. Nel capitolo relativo a “Ricavi e crediti verso lo Stato” della Relazione annuale finanziaria di Poste relativa al 2012 risultano infatti “crediti per circa 251 milioni di euro relativi a Integrazioni tariffarie al settore editoriale”. Oltre a quelle postali sono state sospese anche le agevolazioni sul prezzo della carta stabilite in passato in base alle tirature medie.

 

I contributi diretti e le leggi di riferimento

I contributi diretti consistono invece nell’erogazione diretta da parte dello Stato alle imprese editrici che presentino una serie di requisiti di un contributo – che è in realtà un rimborso perché avviene l’anno dopo sull’anno prima – calcolato in base a diversi parametri (vendite, distribuzione, tiratura, costi o altro). La prima norma organica sul finanziamento pubblico diretto è stata approvata nel 1981 con la legge 416 del 5 agosto. Con numerosi decreti e leggi successivi sono stati precisati o modificati i requisiti per ricevere tali finanziamenti di volta in volta allargando o restringendo – ed è il caso degli ultimi anni – la griglia dei criteri per accedervi. Il risultato dei vari interventi è stato comunque un sistema normativo piuttosto frammentario a cui, in anni più recenti, si è cercato di porre rimedio.

In particolare, è stato emanato un decreto (il 223 del novembre 2010) che ha semplificato la documentazione per accedere ai contributi e il procedimento di erogazione, che ha incluso fra i requisiti una percentuale minima di copie vendute (su quelle distribuite) e ha previsto nuove modalità di calcolo per i contributi diretti, riferite all’effettiva distribuzione della testata (invece che al criterio della tiratura come in passato e che aveva, per così dire, “drogato” il mercato: per ricevere i contributi si potevano stampare le copie necessarie e poi buttarle nel cestino). Inoltre, ha stabilito che in caso di insufficienza delle risorse, i contributi dovessero essere distribuiti in modo proporzionale tra chi ne aveva diritto. Si tratta dell’eliminazione del cosiddetto “diritto soggettivo”: i contributi, da lì in poi, sono stati calcolati non solo in base alle singole e legittime richieste, ma su un meccanismo proporzionale che oltre alle richieste teneva conto dei fondi complessivamente disponibili.

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