#Cashless. Bitcoin, il controllo del singolo sul suo denaro

di di Cristian Testa |

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Bitcoin

#Cashless è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e Waroncash.org. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

 

La visione dei creatori (o del creatore) del Bitcoin era quella di proporre, in un tempo in cui ce ne sono le possibilità tecnologiche, una moneta non solo virtuale, ma anche e soprattutto universale, in grado di unire un mondo che è ogni giorno sempre più connesso, ma che è diviso da centinaia di diverse monete locali. Una forma di denaro digitale in grado di fornire una base monetaria all’economia globalizzata, nella quale ancora oggi trasferimenti di denaro da un paese all’altro possono impiegare giorni.

Il numero di Bitcoin prodotti è di 12 milioni di unità, per un controvalore di circa 12 miliardi di dollari. Un sistema economico in forte crescita, ma comunque ancora piccolo, tanto per dare un termine di comparazione il Pil della Basilicata nel 2012 è stato di 11,7 miliardi di dollari.

Da un punto di vista teorico il tratto caratteristico di questo sistema economico è la mancanza di una forma di controllo centrale, come quella che nel mondo reale è rappresentata dalle banche centrali, dai governi o dalle strutture soprannazionali (come il FMI o Banca Mondiale). In tal modo l’unica forza in grado di stabilire il valore della moneta è il mercato attraverso il puro rapporto tra domanda e offerta, creando una sorta di sistema liberista perfetto, privo cioè di influenze esterne (pubbliche).

Il monopolio monetario degli stati è un fenomeno relativamente recente. Nel 1860 negli USA esistevano ben 1600 aziende che distribuivano banconote, il governo federale controllava solo il 4% della moneta circolante sul suo territorio. La situazione cambiò con la Guerra Civile che spinse il governo a prendere il controllo della valuta per meglio gestire le ingenti spese militari.

 

Una moneta anti-inflazione – L’idea di una moneta privata, in contrapposizione con quella tradizionale gestita dalle banche centrali, non è affatto nuova. Il primo a parlarne fu il Nobel per l’economia Friedrich von Hayek negli anni 70 e fu accarezzata dai settori più conservatori del partito repubblicano americano. Nel sistema Bitcoin la quantità di moneta è prestabilita e non essendoci organi in grado di pompare denaro nel sistema, si ritiene che essa non possa essere soggetta a inflazione, cosi come non possa essere indebolita o rafforzata surrettiziamente mediante manipolazioni governative (come le cosiddette svalutazioni competitive che in epoca pre-Euro l’Italia faceva per facilitare le proprie esportazioni). Allo stesso modo, data la sua natura distribuita e limitata, la moneta virtuale dovrebbe essere priva di attrattiva per gli speculatori finanziari a causa della sua oggettiva mancanza di valore intrinseco (non è fatta di metallo prezioso e non è garantita da un’organizzazione statale), il suo valore è semplicemente stabilito dal rapporto di mercato e dalla volontà dei soggetti di accettarla come mezzo di pagamento.

 

No fee zone – Lo scambio di Bitcoin tra operatori non nasconde, come avviene nel mondo reale, fee degli intermediari, bensì è teoricamente gratuito, anche se per garantire una maggior velocità della transazione gli stessi utenti possono, competendo tra loro, stabilire dei costi che data la dimensione del circuito saranno comunque molto più bassi di quelli degli operatori finanziari tradizionali. Dan Kaminsky, esperto d’informatica, osserva come un’alternativa al denaro tradizionale sia molto sentita al tempo di internet e che fino ad oggi “i flussi di denaro sono sempre stati gestiti e regolati da qualche autorità tradizionale”. Qualcosa come il Bitcoin quindi arriva al momento giusto essendo una sorta di “dollaro con il teletrasporto incorporato”, anche se il sistema non è a prova di furto perché anche se gli hacker al momento non sono stati in grado di forzarlo, una scorciatoia è sempre possibile attraverso i server o la rete. In ogni caso, chiosa l’ex hacker, il mondo è pronto per il denaro digitale ed i governi ben poco potranno fare per contrastare un fenomeno di portata globale.

Il principio di fondo, potremmo dire, è che il Bitcoin è una moneta pura dietro la quale non potrà mai celarsi un’entità opaca e manipolatrice, grazie alla sua natura open-source che la protegge da qualsiasi intervento esterno ed interno al sistema. L’utopia monetaria che c’è dietro è la possibilità di offrire al pubblico qualcosa che nessuna istituzione pubblica o privata è stata mai in grado di garantire: il completo controllo del singolo sul suo denaro.

Questi pregi stanno favorendo la rapida diffusione della moneta, soprattutto in quei paesi che lamentano una scarsa stabilità della moneta locale, come per esempio l’Argentina, o che vogliono mettersi al riparo da tempeste finanziarie, come accaduto in Spagna durante la crisi cipriota, o per investimento come pare stia facendo la Cina, la cui domanda sembra che abbia spinto l’impennata di valore della moneta digitale nel mese di Novembre (oltre i 1.000 di dollari).

 

Aperture americane – Anche la Federal Reserve si è interessata al fenomeno, con il senior economist Francois Velde che ha definito il Bitcoin “una notevole conquista tecnica e concettuale che potrebbe essere usata dalle istituzioni finanziarie esistenti e dagli stessi governi”. Secondo l’analista si tratterebbe di una “fiduciary currency” cioè di una moneta basata sulla fiducia dei privati, dato che manca una forma di garanzia statale. Più recentemente (novembre 2013), c’è stata una presa di posizione ufficiale da parte del Governatore Bernanke che ha cautamente benedetto la novità digitale, spiegando che le monete virtuali “possono essere promettenti nel lungo periodo” e che potrebbero “promuovere sistemi di pagamento più veloci, sicuri ed efficienti”. Una posizione di apertura è stata manifestata anche dalla Sec, mentre maggiori perplessità emergono dalla Homeland Security che teme il possibile intervento della criminalità nell’ambito della valuta virtuale.

 

L’interesse cinese – Il nuovo fenomeno pare essere incoraggiato dal governo di Pechino che mira, nel lungo periodo, a trovare alternative al dollaro come valuta di riserva mondiale. Il che sarebbe dimostrato anche dall’investitura ufficiosa avuta dal Bitcoin dalla TV di stato cinese, che ha trasmesso (in maggio) un documentario piuttosto positivo sul denaro digitale. Il governo cinese da anni porta avanti una guerra sotterranea per sottrassi all’egemonia monetaria americana, sancita dagli accordi di Bretton Woods nel 1944 che assegnarono al dollaro il ruolo di valuta di riserva mondiale. In questo scenario, quindi, le autorità cinesi vedono forse nel Bitcoin un possibile fattore di accelerazione del processo di declino del dollaro nel nuovo scenario globale. La scorsa settimana la banca centrale cinese, preoccupata dalla prepotente crescita della moneta, favorita proprio dall’interesse orientale, ha stabilito che le banche cinesi non potranno gestire operazioni in moneta digitale, lasciando però liberi i cittadini di continuare a operare sulla valuta, a loro rischio.