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Aprire la mente, la chiave è il marketing

Italia


#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.  Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

Mentre continua il percorso di regolazione/attuazione dei primi tre pillar dell’Agenda Digitale (fatturazione elettronica, identità digitale, anagrafe nazionale della popolazione residente) e si avvia – pare – a soluzione la telenovela dello statuto AGID (Agenzia per l’Italia Digitale), può essere interessante spendere qualche minuto analizzando lo “stato dell’offerta”.

L’Osservatorio ICT PA e Sanità di Assinform ha fatto un grande e ottimo lavoro di mappatura della “e-readiness” degli enti pubblici centrali e locali, evidenziando punte di eccellenza e situazioni critiche.

Proviamo, per un istante, a “dare per risolto” questo problema e concentriamoci sul livello di readiness dell’offerta, con l’obiettivo di capire a che punto siamo.

 

1. I fornitori ICT specializzati sul mercato “Public Sector” arrivano a questa “eventuale” sfida col fiato corto. Lo stock del credito accumulato verso gli enti clienti è importante. Netics stima questo stock (avendo confrontato gli impegni di spesa assunti da PA e Sanità con i pagamenti così come rilevabili dal “SIOPE”) intorno ai 6,5 miliardi di Euro (forniture ICT). Qualcosa come 16 mesi di ritardo complessivo, se assumiamo intorno ai 5 miliardi di Euro la spesa ICT media annuale (costi esterni, IVA esclusa).

Più di un istituto di credito tende a penalizzare operazioni di smobilizzo del portafoglio commerciale verso enti pubblici, ragionando in termini di rating e di rischio emergente.

In pratica, l’industria ICT è costretta ad autofinanziarsi diventando “banca” per i propri clienti.

 

2. I tempi lunghi, tipici della PA anche per quanto riguarda i processi di procurement, non aiutano. Sempre da dati Netics, il ciclo di vita medio di una “trattativa commerciale” (tra virgolette in quanto formalmente non così definibile) riferita a operazioni di compravendita di beni e servizi ICT in ambito regionale o comunale è pari a circa 14 mesi. Al netto da eventuali (e ormai frequentissime) code in contenzioso amministrativo.

Gli enti continuano a comprare beni e servizi ICT con la logica “dell’opera pubblica” (la centralità del “capitolato”) e finendo per privilegiare inevitabilmente il massimo ribasso anche quando vengono banditi appalti-concorso.

Si compra una soluzione software “mission critical” seguendo un approccio tipico del chi sta comprando un pallet di fogli A4, salvo poi pentirsene amaramente quando le cose non funzionano.

 

3. Le multinazionali dell’IT (le prime 10 di loro fanno, insieme, più di 1,2 miliardi su un totale di 5) iniziano ad avere problemi non banali in termini di capacità di stare in un mercato che i rispettivi headquarters considerano “critico”. Indicatori quali il tasso di corruzione, i tempi di incasso, il peso della pirateria (addirittura il 48%, secondo recenti dati BSA), non fanno che mettere in enorme difficoltà i CEO e Country Manager delle branch italiane di multinazionali sempre più attente alla valutazione del “Rischio Paese”.

 

4. L’industria italiana dell’IT specializzata in PA e Sanità fatica a uscire dal tunnel di vecchi modelli di business ormai da rottamare. In troppi si adagiano sul paradigma della cara vecchia licenza d’uso seguita da canoni di manutenzione/assistenza, e/o su modelli di “presidio del cliente” giocato sul lock-in.

 

Qui il problema è più serio: in realtà, va detto per onestà intellettuale, la responsabilità di questa “staticità” origina prevalentemente dalla domanda. La PA produce “capitolati”, compra “quantità di software e quantità di giornate/uomo”, al posto di comprare “soluzioni a problemi”. Inevitabilmente, l’offerta si adegua.

Risultato: la qualità del tutto è (mediamente) bassa. Non tanto, sia ben chiaro, in termini di qualità del prodotto/servizio, quanto piuttosto di “qualità del rapporto di medio-lungo periodo tra cliente e fornitore”.

 

Che la pubblica amministrazione italiana debba necessariamente abbandonare gli antichi paradigmi è un dato di fatto: si va verso una logica di partenariato pubblico-privato, verso forme di procurement innovative e basate sulla condivisione di obiettivi strategici e conseguente cooperazione finalizzata al loro raggiungimento. Spingendoci fino a immaginare contratti basati sulla misurazione/remunerazione della performance.

Se la PA italiana ha un grosso lavoro da fare per adeguarsi (soprattutto in termini di “apertura mentale”, in quanto i presupposti giuridici sono praticamente tutti belli e pronti) a questo nuovo paradigma, anche l’offerta (i fornitori) hanno qualche piccolo o grosso problema da risolvere.

La chiave sta tutta nel marketing.

Che deve diventare sempre più “strategico”: entrare nel “business” del cliente pubblico, individuarne le sacche di inefficienza e le soluzioni possibili, veicolare un’offerta sempre più orientata al problem solving.

La vecchia e cara “software house”, i “system integrator” focalizzati sulla tecnologia, avranno sempre meno spazio in un mercato sempre più bisognoso di supporto alla reingegnerizzazione dei processi.

 

Meno analisti/programmatori e più Business Analyst, insomma.

Le grandi sfide che aspettano la PA italiana (a partire dal ridisegno della fiscalità, dei sistemi amministrativo-contabili, per non parlare di giustizia, sanità, trasporti, turismo) richiedono competenze non banali, tutte quante assimilabili a figure di consulenza sui processi.

La PA comprerà sempre meno hardware, ma di hardware ce ne sarà sempre di più: semplicemente, sarà venduto ai Cloud Services Provider che a loro volta cederanno alla PA servizi di infrastruttura.

Comprerà sempre meno software, ma di software ce ne sarà sempre di più: diventerà una commodity “incapsulata” all’interno di soluzioni process oriented.

Comprerà sempre meno “giornate uomo” e sempre più “affiancamento nella soluzione di problemi”.

Pagherà sempre meno “quantità di beni servizi” e sempre più “denaro in cambio di incremento delle performances”.

 

Una bella sfida, sia per la PA che per l’industria IT e per le consulting firm.

Tanto materiale per un “patto di sistema” da stipulare tra domanda e offerta.

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