#cosedanoncredere: e se nei nostri piatti finisce la carne di cavallo?

di di Massimiliano Dona (Segretario Generale Unione Nazionale Consumatori) |

Italia


Massimiliano Dona

Rubrica settimanale #cosedanoncredere, curata da Massimiliano Dona, Segretario Generale Unione Nazionale Consumatori (www.consumatori.it), per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

Non ci sono rischi per la salute, ma si tratta di una violazione delle norme di etichettatura. In questi giorni in cui dilaga il caso della carne di cavallo riscontrata in numerosi prodotti alimentari, molti consumatori hanno scritto alla nostra Unione per avere rassicurazioni sulla sicurezza dei prodotti che portano a tavola: è bene chiarire, dunque, che i casi riscontrati fino ad oggi non rappresentano un allarme per i cittadini, ma hanno messo in luce un’incognita sanitaria che, probabilmente, in molti tra gli addetti ai lavori conoscevano, ma di cui, fino ad oggi si è parlato ben poco.

 

Il problema non è se qualcuno ha mangiato un tortellino, un pezzo di lasagna o una polpetta contenente carne di cavallo, ma che la presenza di quella carne non era dichiarata in etichetta e dunque potrebbe provenire da animali non destinati a uso alimentare.

 

Proviamo a chiarire: la carne di cavallo, se in regola, non rappresenta alcun problema per l’uomo, anzi, non solo, in alcune regioni del nostro Paese è utilizzata per la preparazione di piatti tipici molto succulenti, ma è anche consigliata per le sue proprietà nutritive; il problema sorge nel momento in cui, sulle nostre tavole, arriva carne proveniente da cavalli utilizzati per le gare (che per legge non dovrebbero essere destinati al macello) e quindi trattati con antinfiammatori, antidolorifici, antibiotici, tutte sostanze che, invece, sarebbero vietate per animali destinati all’alimentazione.

Per capire la portata del fenomeno basti pensare che nel nostro Paese il 60% di cavalli è per uso sportivo: terminata questa attività gli equini non possono finire al macello, ma i proprietari devono mantenerli fino alla morte naturale e poi provvedere alla cremazione, che ovviamente ha dei costi. I dati tra equini allevati a uso sportivo ed esemplari cremati, però, non coincidono, il che farebbe pensare che, cavalli giunti al termine della loro carriera, potrebbero essere stati introdotti illecitamente nella catena alimentare.

 

Come può succedere una cosa del genere?

 

Qualcosa nella filiera non ha funzionato: il primo controllo doveva essere effettuato da chi preparava le partite di carne e che doveva evitare l’inserimento della carne equina; le aziende, poi, avrebbero dovuto applicare un sistema di autocontrollo  sulla qualità della materia prima, verificando se i certificati rilasciati dai loro fornitori erano corretti; le Autorità sanitarie pubbliche, infine, hanno l’incarico di verificare la corretta applicazione delle misure di autocontrollo.

 

E’ fondamentale che tutti i Paesi affrontino il problema con senso di responsabilità per garantire ai consumatori il diritto di sapere cosa stanno mangiando e da dove proviene, scongiurando nuovi casi, di “cose da non credere” nel piatto!

 

 

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