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Netflix, non si sa quanto fattura in Italia ma teme l’incremento degli obblighi di investimento

Non l’hanno notato molti, nonostante un’imponente azione pubblicitaria, ma Netflix è sul piede di guerra in Italia, perché potrebbe divenire legge dello Stato l’obbligo di investire di più in opere audiovisive europee e “made in Italy”: venerdì scorso 10 settembre 2021, il braccio italiano della multinazionale di Los Gatos ha speso centinaia di migliaia di euro per acquistare paginate intere del maggiore quotidiano italiano, “il Corriere della Sera” (si consideri che, a listino, 1 pagina del “Corriere” è arrivata a costare anche 100mila euro). Ha acquistato ben 8 pagine, ovvero 4 pagine doppie, per sostenere che non vi sarebbe differenza tra un “broadcaster” ed uno “streamer”, e poi 1 pagina singola di sintesi, nelle quali riassumeva le proprie tesi, contrarie al prospettato raddoppio degli obblighi di investimento in Italia (anche se il titolo appariva certamente più morbido, facendo leva sul “nostro amore per le storie italiane”…).

Il messaggio, mirato, non era certamente diretto alla platea dei lettori del più diffuso quotidiano italiano (vende circa 260mila copie, tra edizione cartacea e digitale), ma al Palazzo, ovvero ai parlamentari che debbono mettere mano allo schema di decreto legislativo del Governo, esprimendo il proprio parere.

Perché Netflix è insofferente?!

Perché il Governo ha emanato uno schema di decreto legislativo in attuazione della Direttiva (Ue) 2018/1808, cosiddetta sui “Servizi Media Audiovisivi” (alias “Smav”): questo intervento normativo intensifica gli obblighi imposti dallo Stato a soggetti come Netflix.

Il titolo completo del provvedimento è: “Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (Ue) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/Ue, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi, in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”.

In breve: “Fornitura di servizi di media audiovisivi, in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”.

Il decreto legislativo in questione è sottoposto a parere parlamentare. Interviene su molte questioni delicate: basti osservare che l’Atto del Governo n. 288 consta di… 390 pagine: dicesi trecentonovanta! In questa sede, ci concentriamo su una soltanto: gli obblighi di investimento imposti agli “over-the-top” (“ott”) ovvero alle piattaforme web.

L’iniziativa – che ha grande valenza culturale (oltre che ideologica ) – è stata oggetto di analisi di pochi giornalisti: soltanto gli attenti curatori dei due blog specializzati sulla televisione e specificamente la Rai, ovvero “BloggoRai” (il cui curatore resta anonimo) e “VigilanzaTv” (curato da Marco Zonetti, blog che però sembra talvolta un megafono del parlamentare italiano oggettivamente più attivo – anzi iperattivo – sulla materia Rai, ovvero Michele Anzaldi di Italia Viva).

Per il resto, silenzio stampa e ricaduta mediale inesistente, con la sola eccezione – sui quotidiani – del sempre vigile Vincenzo Vita, nella sua rubrica “ri-mediamo” su “il Manifesto”: l’ex Sottosegretario alle Comunicazione dal 1996 al 2001 (Governi Prodi, D’Alema, Amato…), ricostruisce con cura la genesi della “mina vagante”, ovvero sintetizza il senso degli “obblighi” che alcuni Paesi hanno imposto ed impongono alle emittenti televisive e – più recentemente – alle piattaforme web.

In sintesi, lo Stato ritiene che sia giusto e sano intervenire nel “libero mercato”, nel convincimento che esso, “in natura”, non determini sempre – con il mero incontro di domanda ed offerta – soluzioni ottimali: così come, nel sistema culturale in generale, la mano pubblica interviene per sostenere un’offerta che altrimenti non avrebbe chance di esistere e di emergere (si pensi ai variegati sistemi di sovvenzione e sostegno all’editoria – giornalistica e libraria – e allo spettacolo dal vivo – teatro, musica, danza, spettacolo viaggiante – così come agli interventi a favore del cinema, dell’audiovisivo, della musica, e più recentemente dei videogiochi), si ha ragione di pensare che si debbano imporre vincoli all’imprenditoria mediale.

Il sistema degli “obblighi” – ovvero delle “quote obbligatorie” (che siano di trasmissione piuttosto che di investimento è questione secondaria) – è stato fatto proprio dall’Unione Europea, ed ogni Paese ha adottato – all’interno di un quadro normativo comunitario – specifiche normative.

Si deve ad un italiano, il già Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, il dem Roberto Barzanti una strenua battaglia politica e culturale, che ha portato all’approvazione della famosa Direttiva cosiddetta “Tv senza frontiere”, ovvero la Direttiva 89/552/Cee (sull’argomento, vedi il suo saggio “I confini del visibile: televisione e cinema senza frontiere nelle politiche dell’Unione Europea”, edito da Lupetti nel 1994).

Si tratta di questioni di valenza storica, nella politica culturale mondiale, argomenti antichi ma riteniamo ancora validi.

Secondo i fautori delle “quote”, si tratta di un sistema complessivamente lasco, almeno nella applicazione italiana.

Secondo gli avversari, si tratta di una interpretazione italiana eccessiva all’interno del quadro generale imposto dalle norme europee.

Liberisti vs interventisti: libero mercato o intervento dello Stato?!

La tesi di intervento pubblico si scontra con i liberisti più convinti, di cui in Italia la fondazione Istituto Bruno Leoni (Ibl) è la punta d’avanguardia: e non a caso, tra i rari analisti, è intervenuto in materia il ricercatore Filippo Cavazzoni (autore di libri su queste tematiche, tra i quali si segnala “Presente e futuro delle politiche culturali”, Ibl, 2018), sostenendo che lo Stato non dovrebbe imporre lacci e lacciuoli ad imprese come Netflix, la cui azione è benefica per il sistema audiovisivo nazionale. Su “LeoniBlog”, il giovane studioso sostiene che “l’Italia si è già dotata da tempo di tali strumenti ma ora, in attuazione della direttiva, intende inasprirli. E la nuova mucca da mungere è rappresentata dalle piattaforme di video online” (vedi “LeoniBlog” del 9 settembre 2021, “Netflix e quote d’investimento”).

Tentiamo di sintetizzare l’oggetto di scontro: attualmente, piattaforme online e broadcaster privati devono destinare il 12,5 per cento dei propri introiti netti realizzati in Italia per la produzione di opere europee (e italiane). Per la Rai – data la sua funzione di “servizio pubblico” – questa quota è maggiore: il 17 %.

Con il nuovo decreto legislativo in gestazione, il Governo vuole portare la quota d’investimento per le piattaforme a livelli maggiori, rispetto all’attuale 12,5 %, ovvero, con una scaletta a crescere: “17 % fino al 31 dicembre 2022, 20 % dal 1° gennaio 2023, 22,5 % dal 1° gennaio 2024, e 25 per cento dal 1° gennaio 2025”.

Di fatto, soggetti multinazionali come Netflix, Amazon, Apple saranno costretti, nell’arco di 4 anni (a partire dal 2025) a raddoppiare i loro livelli di investimento.

Cavazzoni si domanda perché si deve introdurre questa “asimmetria” tra gli obblighi imposti alle emittenti televisive (che restano fisse al 12,5 % per le imprese commerciali) e gli obblighi novelli imposti alle piattaforme web (che passano dall’attuale 12,5 % al 25 % dall’anno 2025).

La domanda è retorica, e la risposta senza dubbio ideologica: lo Stato ritiene che lo strapotere di questi novelli soggetti nell’economia audiovisiva sia tale da dover imporre loro obblighi maggiori, in considerazione dello stravolgimento dei paradigmi storici del sistema.

Si dirà che sono proprio soggetti come Netflix ad iniettare novella linfa vitale preziosa nell’economia audiovisiva, sia in termini giustappunto di investimenti economici sia in termini di promozione internazionale dei prodotti “made in Italy”: in effetti, grazie a Netflix, vengono abbattute le tradizionali barriere all’entrata determinate dai singoli mercati nazionali, e senza dubbio si stimola una migliore “circolazione internazionale delle opere” (concetto caro all’Unesco di alcuni decenni fa…), che è benefica per una cultura cosmopolita di approccio “glocal” (locale e globale al contempo).

Secondo l’approccio liberista, non si dovrebbero però imporre “vincoli”, bensì prospettare “stimoli” ad investire di più, attraverso gli strumenti dell’incentivazione fiscale a livello di normative nazionali.

Sono due approcci radicalmente diversi, in conflitto da sempre: chi redige queste noterelle ricorda che, decenni fa, l’allora Sottosegretario Vincenzo Vita e la allora Direttrice delle Relazioni Istituzionali di Mediaset Gina Nieri (poi Consigliere di Amministrazione del Gruppo) si scontrarono – in decine di occasioni anche convegnistiche – sostenendo il primo che “il mercato”, da solo, non avrebbe determinato l’incremento delle capacità produttive del cinema e della televisione italiane, e sostenendo invece la seconda che i broadcaster avrebbero comunque investito naturalmente nel settore, per soddisfare la domanda del pubblico…

A distanza di decenni, la querelle si sposta su un livello altro, nel quale è però presente una variabile nuova, inedita: si tratta di “player” multinazionali e globali, con una potenza di fuoco impressionante, superiore ormai a quella delle storiche “multinazionali dell’immaginario” ovvero le “majors” statunitensi (usiamo questa espressione un po’… arcaica, sebbene siano ormai “conglomerate multimediali”, nella cui economia la produzione di film cinematografici è soltanto un elemento del complessivo business intermediale).

Andreatta e Ciullo (Netflix Italia): “provvedimento iniquo”

La vicenda è divenuta di recente attualità in Italia a seguito di un’intervista alla Vice President, Italian Language Originals, di Netflix, ovvero Eleonora Andreatta (che ha lasciato la Rai nel luglio 2020, dopo essere stata Direttrice di Rai Fiction per 8 anni; incarico retto attualmente da Maria Pia Ammirati): Andreatta, detta “Tinny” e soprannominata “la signora delle fiction”, ha dichiarato ad Andrea Biondi, sul quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” il 31 agosto 2021, che “le quote d’investimenti mettono a rischio il sistema”.

Lo schema di decreto legislativo veniva definito “iniquo” nella sostanza e sbagliato nelle modalità: “la sensazione è di aver ricevuto un’iniquità. E questa è più difficile che porti a decisioni di investimento. Ti fidi di un Paese se sei trattato in modo equo e capisci la logica delle scelte”, sosteneva, assieme al Direttore delle Relazioni Istituzionali di Netflix in Italia, Stefano Ciullo.

Vincenzo Vita, su “il Manifesto” del 31 agosto, in un articolo efficacemente intitolato “Netflix: gli affari vanno fuori quota”, prende spunto dall’intervista di Andreatta per definire “bizzarra” la reazione di Netflix, ricordando come l’Italia non abbia assunto una posizione netta ed univoca su queste tematiche: “nella stagione recente, si è passati dall’articolato applicativo (Dlgs. n. 204/2017) della riforma del cinema voluta nel 2016 dal ministro Franceschini, al più blando decreto legge n. 59/2019 del suo transitorio successore Bonisoli”, in una sorta di “saliscendi costante” sull’intensità degli obblighi.

Ricorda ancora Vita la genesi dell’iniziativa: “la vicenda risale all’intuizione dell’allora titolare del dicastero francese della cultura Jack Lang negli anni dei socialisti al governo con la presidenza della repubblica di Mitterrand. Fu sotto quell’impulso che prese forma la direttiva Televisione senza frontiere (89/552/Cee), da cui originò la pratica delle quote di investimento dedicate alle opere nazionali ed europee. Si voleva – la sinistra italiana appoggiò decisamente tale impostazione – arginare l’invasione dell’industria statunitense o di quella giapponese dei cartoni animati”. Conclude l’ex Sottosegretario: “in Italia, con il solito ritardo, la Direttiva trovò applicazione con la legge n. 122 del 1998 (fortemente voluta – va ricordato – anche da Walter Veltroni, nota nostra). Grazie a quest’ultima, la televisione generalista (pubblica e privata) è sopravvissuta”.

Una querelle dalle radici antiche, ma ancora attuale: cambiano i protagonisti, non la sostanza (la necessità dell’intervento dello Stato nel mercato della cultura e dei media)

Di fatto, assistiamo ora ad una “versione rivista e corretta” delle stesse tesi di allora: soltanto che ora “il nemico” è rappresentato dalle piattaforme web, e dai loro impressionanti investimenti in contenuto.

La questione non è comunque certamente nuova, nemmeno in Italia: quattro anni fa, le abbiamo dedicato ampia attenzione, di analisi e di critica, su queste stesse colonne: vedi “Key4biz” del 27 novembre 2017: “Battaglia sulle ‘Quote obbligatorie’ per cinema e fiction made in Italy. I rilievi di Netflix (terza parte)”. Si consideri che allora si stimava in circa 800mila il numero dei clienti di Netflix in Italia; in calce a quell’articolo, “Key4biz” pubblicava – in esclusiva – la memoria presentata nel Parlamento italiano dalla società di Los Gatos. A fine giugno 2019, il Consiglio dei Ministri approvava un curioso decreto-legge, che andava a  modificare il sistema delle quote (vedi “Key4biz” del 2 luglio 2019, “Decreto Legge ‘Quote’, allentati gli obblighi di trasmissione e di produzione per le Tv”). Si registra, insomma, come sostiene correttamente Vita, un andamento un po’ ondivago della volontà del Governo, nel corso degli anni…

E stendiamo un velo di silenzio su “chi” dovrebbe accertare il rispetto della norma, ovvero l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni: abbiamo ragione di ritenere che Agcom non sia particolarmente severa, in argomento…

Agcom: auspica “semplificazioni” e “flessibilità”…

E, a proposito di Agcom, è curioso che proprio oggi (17 settembre 2021) si abbia notizia – non dall’Autorità, ma dal quotidiano confindustriale… – che il parere che ha espresso sullo schema di Decreto Legislativo per l’attuazione della Direttiva “Smav” richiede al Parlamento una “semplificazione” e una “maggiore flessibilità del sistema delle quote, anche in conformità con il quadro legislativo europeo”.

Intervento Agcom… a gamba tesa?!

I maligni sostengono che la “lobby” Netflix è riuscita con Agcom a fare quel che non è finora riuscita a fare col Governo ed in Parlamento: stimolare un allentamento degli obblighi, una attenuazione dei vincoli… Si segnala che Andreatta e Ciullo hanno lamentato, a fine agosto, oltre a “la disparità di trattamento rispetto ad altri operatori”, anche “la mancanza di interlocuzione sul tema” con il Governo.

Martedì scorso 14 settembre Stefano Ciullo ha sostenuto, audito dalla Commissione Lavori Pubblici al Senato (presieduta dal grillino Mauro Coltorti) in merito allo schema di decreto legislativo: “raddoppiare gli obblighi significa raddoppiare l’area regolamentare e anche una serie di paletti che noi abbiamo negoziato con spirito di flessibilità”. Si tratta di “paletti molto rigidi” e che “rendono l’Italia un Paese iper regolamentato”. Secondo Ciullo, occorre “riflettere su queste decisioni e criticità” ed invitare “il Governo a una riflessione più approfondita su questo tema non solo su Netflix, ma sull’intera industria”…

Di fatto Ciullo rinnova le tesi che aveva già manifestato in occasione di un’audizione dell’aprile dell’anno scorso in Senato: “la creazione di un quadro normativo dotato di un adeguato grado di elasticità consentirebbe, invece, di attrarre investimenti in misura ben superiore ai minimi obbligatori, come insegna il caso della Spagna”.

E, ancora, “l’iper-regolamentazione – nonché l’alto livello di incertezza a essa associato – che caratterizza il quadro normativo italiano rappresenta un fattore frenante, mentre con regole più flessibili si avrebbe una spinta a fare di più”.

Si segnala en passant che, trattandosi di “audizioni informali”: non esiste né stenografico né traccia (pubblica) di quel che è emerso dagli incontri. Riteniamo che questa prassi parlamentare sia censurabile, in nome della trasparenza che dovrebbe caratterizzare tutti i processi decisionali delle istituzionali.

La tesi (liberista) è quella di sempre: meno lacci e lacciuoli, ed il mercato magicamente crescerà…

Quote di investimento, Direttiva Smav, Direttiva Copyright: Mollicone (FdI): “dibattito deficitario, ma il Parlamento non è un passacarte”

Sembra comunque che effettivamente un qual certo deficit di dibattito (non soltanto pubblico, ma anche politico-istituzionale) ci sia proprio, su queste materie, che pure sono delicate e strategiche. Commentando la notizia dell’8 settembre sulla “newco” di Netflix in Italia, il Capo Gruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Cultura, Federico Mollicone, ha sostenuto: “abbiamo richiesto in sede d’ufficio di presidenza della Commissione Cultura, le audizioni del ministro dello Sviluppo economico Giorgetti, del ministro alla Cultura Franceschini e del sottosegretario all’Editoria Moles nelle commissioni congiunte VII-IX e telecomunicazioni, sui rispettivi temi del Parlamento relativi all’emanazione dei pareri sui recepimenti delle direttive Copyright, Audiovisivo e cavo-satellite”. Ha rimarcato il deputato FdI: “ribadiamo che il Parlamento non è un passacarte: è necessario audire i vertici dell’esecutivo e le categorie, come l’industria cinematografica, gli editori e il comparto radiotelevisivo, sui temi cruciali per il digitale e il mercato del futuro”. Ha ragione: il dibattito è quasi inesistente, se non nelle “segrete stanze” ministeriali e di Palazzo Chigi.

E, su queste tematiche, non esiste alcuna “valutazione di impatto” in materia di quote, valutazione consuntiva rispetto a quel che è stato fatto finora, e predittiva rispetto ai futuri possibili (anni fa, era la stessa Confindustria Radio Tv a lamentare questo deficit cognitivo): nessuna analisi di scenario, nessuna analisi predittiva.

Non ci si può poi dimenticare di una questione essenziale: i novelli obblighi di investimento si applicano agli introiti netti conseguiti in Italia. E soltanto recentemente – non perché ispirata dallo spirito illuminato del “libero mercato”, ma (riteniamo) perché pressata dallo Stato – Netflix ha annunciato di voler far transitare attraverso una società con sede in Italia i suoi flussi di ricavi italiani.

In effetti, su queste materie, ad oggi, c’è trasparenza zero: quanto ricava Neflix dal mercato italiano? Quanti sono i suoi clienti?!

Non è dato sapere. E ciò basti.

L’8 settembre scorso, il sempre ben informato (soprattutto dalle imprese, ovviamente) “Il Sole 24 Ore” preannunciava che dal 2022 i ricavi da abbonamento generati da Netflix in Italia verranno contabilizzati direttamente nel nostro Paese.

Nascendo una Netflix Italia, il canone mensile corrisposto dagli iscritti alla piattaforma non verrà più pagato alla società olandese Netflix International Bv, ma a un’entità già oggi operante su suolo nazionale: si tratta della Los Gatos Services Italia srl (19 milioni di euro di ricavi, 836mila euro di utile e soltanto 402.398 euro di imposte; sede a Milano, assai pochi dipendenti), che dal 2022 cambierà dunque nome e diverrà la “newco” Netflix Italia.

Con la nascita della nuova società, sarà dunque finalmente possibile conoscere i ricavi generati da Netflix in Italia, e per il gruppo cambierà conseguentemente la relativa tassazione, che vedrà peraltro aggiungersi all’Iva anche le imposte sui redditi dei lavoratori trasferiti o assunti nella Penisola.

Come dire?! Meglio tardi che mai. Peraltro, sarebbe veramente ardito cercare di “fare lobbying” in Italia, in assenza di un soggetto giuridico italiano.

La decisione recentemente assunta rispetto all’Italia segue quel che Netflix ha già messo in atto ad inizio anno in mercati più ricchi di quello italiano, ovvero Francia, Spagna e Regno Unito, in coerenza con i criteri di fiscalità internazionale rinegoziati in sede G20 e Ocse, per favorire la tassazione delle multinazionali anche nei Paesi di distribuzione di beni e servizi digitali…

Si ricordi peraltro che nell’ottobre del 2019, la Procura della Repubblica di Milano aveva avviato un’indagine contestando a Netflix la “stabile organizzazione materiale occulta” in Italia. In base ad alcune interpretazioni, una “stabile organizzazione” o è “materiale” o è “personale”, ma non può essere… occulta.

Netflix in Italia: numeri occulti: 400mila euro di imposte a fronte di 660 milioni di euro di ricavi?!

Secondo una stima della società di consulenza londinese Digital Tv Research Ltd – resa nota nel dicembre dell’anno scorso – i ricavi di Netflix in Italia sarebbero stati nel 2020 di circa 660 milioni di euro…

Scriveva Claudio Plazzotta su “Italia Oggi” del 2 dicembre 2020: “il boom dello streaming ha portato gli abbonati Netflix in Italia a superare quota 4,6 milioni nel 2020, il doppio rispetto al 2019, con stime di Digital Tv Research che parlano di oltre 7 milioni di contratti entro il 2025. Tenuto conto che l’abbonamento standard a Netflix in Italia costa 11,99 euro al mese, ovvero 144 euro all’anno, si può quindi stimare che nel 2020 i ricavi di Netflix sulla Penisola supereranno i 660 milioni di euro”. Impressionante osservare come i 4,6 milioni di abbonati di Netflix a fine 2020 rappresentavano un raddoppio rispetto a quelli a fine 2019 (2,3 milioni): un delta incrementale che così notevole che si dubita possa essere stato confermato nel corso del 2021, superati gli effetti “drogati” determinati dalla pandemia…

Netflix ogni tanto sciorina dei “numeri” (senza produrre alcuna documentazione a supporto): per esempio, nell’intervista del 31 agosto di Andreatta, si leggeva: “dal 2017 al 2020, abbiamo investito più di 300 milioni in Italia. Una cifra che supera l’investimento pubblico di 200 milioni che avevamo dato come obiettivo”.

Non abbiamo dubbi sulla assoluta sincerità dei dirigenti di Netflix, ma sarebbe interessante leggere un qualche dato più preciso e dettagliato, e magari raffrontato con i proventi che la società acquisisce dal mercato italiano.

Ad oggi, comunque, soltanto 400mila euro di imposte in Italia a fronte di ricavi per 660 milioni di euro dal mercato italico?!

Netflix ha sostanzialmente eluso il sistema tributario – si potrebbe commentare – ma ha investito e tanto investe in produzione italica.

È vero, ma, anche in questo caso, i dati sono… occulti!

In occasione della presentazione di uno studio dell’associazione dei produttori audiovisivi italiani (Apa, già Apt), il Presidente Giancarlo Leone, nell’ottobre del 2020 (in occasione del Mia Market – Mercato Internazionale dell’Audiovisivo), sosteneva che il mercato della produzione audiovisiva varrebbe in Italia circa 1,3 miliardi di euro nel 2019, con la fiction nella quale vengono investiti 480 milioni di euro, i film in sala vicini ai 400 milioni, l’animazione a 77 milioni, e la parte rimanente assorbita da investimenti in altri generi, da piattaforme in streaming, eccetera, pari a 340 milioni di euro.

Secondo le stime Apa, “le piattaforme ott nel 2019 hanno investito in Italia circa 70 milioni di euro in serialità, che nel 2020 sono stimati in crescita a quota 90-100 milioni, tra i 110 e i 140 milioni di euro nel 2021 e tra i 140 e i 195 milioni nel 2022”.

La linea editoriale di Andreatta: “raccontiamo l’Italia metà giardino e metà galera”

E proprio ieri 16 settembre, Eleonora Andreatta è torna alla carica con fierezza, senza entrare nel merito della polemica sulle quote, ma presentando “il cartellone” – di fronte ad una eletta schiera di giornalisti – delle iniziative Netflix in cantiere, e rivendicando un approccio spregiudicato rispetto al panorama culturale italiano: “vogliamo raccontare chi siamo e cos’è il nostro Paese nelle luci e nelle ombre, metà giardino e metà galera, come direbbe De Gregori. Vogliamo far saltare i tabù culturali e dar voce all’immaginazione italiana, affrontare temi nuovi e rimossi, lontani dai clichè”.

Andreatta ha segnalato un elenco di opere imminenti: adattamenti da romanzi e storie vere, come “Tutto chiede salvezza”, Premio “Strega Giovani” di Daniele Mencarelli su un ragazzo sottoposto a Tso (regia a Francesco Bruni) e “La vita bugiarda degli adulti”, ennesima trasposizione da Elena Ferrante (per la regia di Edoardo De Angelis). Si parla anche di antieroi, con il “thriller mystery” intitolato “Nemesis”, che indaga su chi siamo e da cosa siamo determinati, e si punta, appunto, a scuotere le coscienze, con una serie in sviluppo – non meglio precisata – “sulla sessualità femminile, che tocca il tabù della maternità”.

Non verrà invece prodotta la seconda serie di “Zero” (Fabula Pictures e Red Joint Film, ideata dal fumettista Menotti), fiction apprezzata anche per gli intenti sociali inclusivi: “siamo felici di quel prodotto dal punto di vista del contenuto, ha avuto un seguito di appassionati, ma inferiore alle aspettative”.

Andreatta punta sulla serie adolescenziale “Skam”, ideata da Ludovico Bessegato, che giunge alla quinta stagione (un’opera realizzata da Netflix, TimVision e Cross Productions), e sulla già annunciata “Strappare lungo i bordi”, prima serie di animazione di Zerocalcare, il cui formato da 12 minuti “si piega alle esigenze del racconto”. 

In sostanza, sembra quasi che Andreatta voglia proporre una linea editoriale che esplora territori psico-sociali che forse, quando guidava la “fiction” di Viale Mazzini, riteneva eccessivamente rischiosi, “off”, scabrosi…

Da questo punto di vista, non si può negare che Netflix stia positivamente estendendo lo spettro espressivo dell’immaginario audiovisivo italiano.

Ricordiamo che si deve all’Andreatta in Rai, per esempio, una delle migliori serie realizzate in Italia negli ultimi anni, ovvero quella “Mental” (adattamento italiano di una serie scandinava, prodotta dalla Stand by Me di Simona Ercolani e scritta da Laura Grimaldi e Pietro Seghetti), che è stata anche premiata all’ultimo “Prix Italia”, ma che Rai non ha avuto il coraggio di trasmettere, relegandola al magazzino di RaiPlay: mancanza di coraggio e pavidità intellettuale, allora; su Netflix, Andreatta può certamente spaziare oltre e sbizzarrirsi meglio.

Senza dubbio, a tutto beneficio dell’immaginario italiano.

Su Netflix in generale, si rimanda – per chi vuole approfondire seriamente il tema – all’edizione monografica della storica rivista del Centro Sperimentale di Cinematografia (Csc), “Bianco & Nero”, curata dal professor Alberto Pasquale (insegna alla Bocconi ed alla Luiss): “Neflix e oltre” (n. 594-595), maggio-dicembre 2019. Si tratta di un corposo saggio che mantiene la sua validità a distanza di quasi due anni dalla pubblicazione.

Franceschini: “inserire un film nella programmazione Neftlix per una sera soltanto, e poi nei cinema”. Sorrentino: “sono un amante della sala, ma non un talebano della sala”

Da segnalare che oggi pomeriggio (17 settembre) il Ministro della Cultura Dario Franceschini ha lanciato una proposta… eccentrica: intervenendo, in occasione di un incontro a Napoli con il candidato Sindaco di centrosinistra e M5s, Gaetano Manfredi, ha affermato che “il tema delle piattaforme non preoccupa. Penso a un esperimento che può essere inserire un film nella programmazione Netflix per una sola sera e poi inserirlo tra le programmazioni al cinema. Penso si possano creare delle sinergie”. Si attendono le reazioni degli esercenti. Sembra quasi che il Ministro proponga una sorta di colpo al cerchio ed uno alla botte, nell’economia mediale: aumento le quote per le piattaforme, ma spiazzo Netflix ed esercenti…

E va ricordato che un paio di settimane fa, il pluripremiato Paolo Sorrentino, che ha portato a Venezia 78 l’autobiografico “È stata la mano di Dio” (prodotto da The Apartment di Lorenzo Mieli, società del gruppo Fremantle), ha dichiarato, rispetto all’annunciata distribuzione del film “by” Netflix (il film sarà nelle sale cinematografiche il 24 novembre e dal 15 dicembre sulla piattaforma): “avevo già deciso di fare questo film con il servizio streaming già prima della pandemia, per varie ragioni. Netflix consente a me ed altri di fare un cinema arthouse senza attori famosi: è un film piccolo, abitualmente fatto in maniera carbonara, stavolta con mezzi e supporto necessari. Poi, arriva al maggior numero possibile di persone, volevo che l’idea di un futuro arrivasse a molti giovani. Infine, da subito mi sono accordato per l’uscita in sala: sono un amante della sala, ma non un talebano della sala. Emozioni e sentimenti passano in tutti i modi, anche senza uno schermo gigantesco”.

Non si può non ricordare che la “Bibbia” di Netflix è un libro co-firmato dal fondatore Reed Hastings, il cui titolo è veramente emblematico: “L’unica regola è che non ci sono regole” (sotto-titolo “Netflix e la cultura della reinvenzione”, co-autrice Erin Meyer, edito da Garzanti nel 2020).

Crediamo che una simile regola debba prevedere però delle deroghe: nel caso in ispecie, riteniamo che incrementare gli obblighi di Neflix risponda ad una logica di sana ecologia del sistema audiovisivo italiano.

E sabato prossimo 25 settembre 2021, il primo evento globale (planetario) di Netflix: la giornata “Tudum”!

Da segnalare infine, al di là della (piccola) provincia italiana (…), che tra una settimana Netflix metterà in scena il suo primo evento globale, nel senso di veramente… planetario: sabato 25 settembre 2021 più di 145 star e creativi provenienti da ogni angolo del pianeta – che rappresentano oltre 70 serie, film e contenuti speciali! – saliranno sul palco virtuale per una iniziativa che viene descritta come “una entusiasmante giornata piena di esclusive e anteprime”. Ispirato al primo suono che si sente all’inizio di una serie o un film su Netflix, “Tudum” è il primo evento globale Netflix per i fan.

L’obiettivo è semplice: sedurre, “onorare” ed intrattenere i fan Netflix di tutto il mondo…

I fan saranno i primi a ricevere notizie inedite ed a vedere anteprime, nuovi trailer e clip esclusive di titoli Netflix durante i panel interattivi e le conversazioni con star e creativi…

Come guardare l’evento?!

In “live streaming”, inizierà alle 18 ora italiana e sarà trasmesso sui canali YouTube di Netflix in tutto il mondo, oltre che su Twitter, Twitche Facebook. La programmazione includerà anche alcuni speciali “pre-show” dedicati a serie e film coreani e indiani, ma anche a entusiasmanti contenuti “anime”, a partire dalle ore 14 su canali specifici…

Ci si troverà di fronte ad un evento che oggettivamente non ha precedenti nella storia dell’immaginario audiovisivo…

Per approfondire:

Clicca qui per leggere lo studio “La revisione del sistema delle ‘quote’, curato da Federica D’Urso, Iole Maria Giannattasio, Bruno Zambardino, pubblicato su “Otto e ½”, Cinecittà – Dg Cinema Mibact, n° 46-47, 2018.

Clicca qui per leggere l’Atto del Governo n. 288 sottoposto a parere parlamentare, “Fornitura di servizi di media audiovisivi, in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”, trasmesso alla Presidenza del Senato il 6 agosto 2021.

Clicca qui per leggere il Dossier del Servizio Studi del Senato della Repubblica sullo schema di decreto legislativo “Fornitura di servizi di media audiovisivi, in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”, Atto Governo n. 288 (dossier n. 446 / 2021).

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