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Netflix e Cloudflare hanno fatto ricorso contro la delibera Agcom sulle CDN

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Netflix e Cloudflare hanno fatto ricorso contro la delibera Agcom che vuole equiparare i fornitori di CDN (Content Delivery Network) agli operatori di telecomunicazioni.

Netflix e Cloudflare hanno fatto ricorso contro la delibera Agcom che vuole equiparare i fornitori di CDN (Content Delivery Network) agli operatori di telecomunicazioni tradizionali.

Le CDN (Content Delivery Network – ossia le reti di distribuzione dei contenuti sul web) sono, da ora, equiparate agli operatori di Telecomunicazioni, perché sono reti di comunicazione elettronica che richiedono autorizzazione. È quanto emerge dalla consultazione Agcom i cui esiti sono stati approvati dal Consiglio dell’Autorità.

Così le grandi Big Tech americane del Cloud e dello Streaming video sono equiparate alle Telco nostrane, perché sono ormai operatori a tutti gli effetti, spesso verticalmente integrati.

Chi sono i CDN provider

Stiamo parlando CDN provider globali come: Akamai, Cloudflare, Amazon CloudFront, Microsoft Azure CDN, Google Cloud CDN, Fastly, Edgio.​

E di Content and Application Providers (CAP) con infrastrutture proprie in Italia: Netflix, Amazon Prime Video, YouTube/Google, DAZN, Disney+, Meta (Facebook, Instagram), TikTok.​

Anche AIIP, chiamata in causa da Cloudflare come controparte interessata nell’ambito del ricorso, potrà a dire la sua sul provvedimento Agcom. La posizione di AIIP è nota ed è stata già espressa in fase di consultazione: “Le CDN vanno equiparate alle reti di telecomunicazioni e i grandi Provider che le gestiscono devono essere sottoposti agli stessi obblighi delle telco in termini di assistenza clienti, trasparenza e qualità del servizio”, ha detto Giovanni Zorzoni, vice presidente AIIP. Agcom con la delibera sulle CDN ribadisce quanto già previsto dal codice delle comunicazioni elettroniche sull’obbligo di autorizzazione generale per chi gestisce reti in Italia. In definitiva, in questo modo un domani i provider CDN potranno ricevere un reclamo in caso di malfunzionamento e dovranno prendersene carico. O in caso di disputa con un altro operatore l’Agcom potrà intervenire.

Nessun fair share per le CDN

Di fatto, la delibera sulle CDN l’Agcom, che non introduce alcun fair share sulle Big Tech come ribadito a più riprese dal commissario Agcom Massimiliano Capitanio, ha ribadito un concetto già sancito dall’attività del MIMIT, vale a dire che chiunque operi su reti che trasmettono dati nel nostro paese è soggetto a determinati obblighi.  

Il tema è interessante, perché ad oggi i grandi Provider che gestiscono le CDN (Content Delivery Network), reti di server per il trasporto di enormi quantitativi di dati, non si sono dovuti adeguare alla compliance italiana e non sono muniti di autorizzazione generale compresa la stabile presenza nel nostro paese.

DAZN considerato già come un operatore Tlc

Certo ci sono delle eccezioni, come ad esempio DAZN che dopo l’intervento di Agcom ha migliorato la qualità dello streaming delle sue reti con una rete di CDN, per garantire la trasmissione della Serie A dopo i problemi riscontrati inizialmente.

Sta di fatto, che gli operatori che dispongono di apparati di telecomunicazioni in Italia l’autorizzazione generale ad operare nel nostro paese se la devono prendere e sembra questo il senso “sacrosanto” della delibera Agcom.

Netflix e Cloudflare contro la delibera

Ma non sono d’accordo con questa tesi né Netflix né Cloudflare, che hanno depositato un ricorso alquanto articolato. L’idea di assoggettare le CDN ad un regime di autorizzazioni per Cloudflare non va bene perché viola diverse questioni: in primo luogo, il principio di libera circolazione dei servizi all’interno della Unione Europea. C’è inoltre una estensione indebita del concetto di fornitori di servizi CDN assimilati a una rete di telecomunicazioni che secondo l’azienda non è corretta.

Implicazioni della regolamentazione

L’AGCOM ha deciso di applicare il regime di autorizzazione generale e le aziende coinvolte avranno quindi:​

  • Obblighi amministrativi: notifica di inizio attività all’AGCOM, iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC), rispetto di specifici requisiti normativi.​
  • Obblighi contributivi: contributo annuale all’AGCOM, proporzionale al fatturato rilevante in Italia, e possibili altri oneri.​
  • Obblighi operativi: trasparenza e interoperabilità con le reti degli operatori, obblighi di sicurezza delle reti, eventuali obblighi in materia di neutralità della rete.​

Aziende potenzialmente coinvolte

Tra le aziende che potrebbero rientrare in questa regolamentazione vi sono:​

  • CDN provider globali: Akamai, Cloudflare, Amazon CloudFront, Microsoft Azure CDN, Google Cloud CDN, Fastly, Edgio.​
  • Content and Application Providers (CAP) con infrastrutture proprie in Italia: Netflix, Amazon Prime Video, YouTube/Google, DAZN, Disney+, Meta (Facebook, Instagram), TikTok.​

Questi soggetti, se installano cache fisiche all’interno delle reti italiane, potrebbero essere considerati operatori di rete secondo il Codice delle comunicazioni elettroniche.

Sullo sfondo la questione piracy shield: le CDN con una stabile organizzazione in Italia, equiparate agli operatori Tlc, in futuro potrebbero doversi occupare anche degli oscuramenti di siti in ambito piracy shield, cosa che al momento non sarebbero obbligati a fare. Se i provider di CDN saranno equiparati alle telco in Italia, si creerebbe un precedente che potrebbe ripetersi anche in altri paesi europei.

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