l'analisi

Nella learning society tra persone e macchine

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Siamo in un tempo in cui le macchine stesse sanno costruire altre macchine, sanno migliorarle, sono capaci di replicare sé stesse, di connettersi tra esse per collaborare e per imparare da altre macchine.

Il recente rapporto annuale ISTAT sull’Italia segnala diversi problemi del nostro Paese nel settore dell’istruzione e della formazione e suggerisce un maggiore investimento in questi settori anche alla luce della prospettiva demografica negativa nel medio e lungo periodo. Joseph Stiglitz, economista americano e premio Nobel per l’Economia nel 2001, alcuni anni fa ha scritto insieme al suo collega Bruce Greenwald un saggio che in Italia è stato pubblicato da Einaudi con il titolo “Creare una società dell’apprendimento” (2018). Stiglitz e Greenwald in quel libro hanno delineato alcune loro teorie sulla cosiddetta “learning society”, la società dell’apprendimento, spiegando come l’istruzione, lo studio e la formazione siano in questo nostro tempo degli elementi cruciali per la crescita economica e sociale di una nazione e come essi possono contribuire in maniera decisiva a limitare e a superare il divario tra nazioni sviluppate e nazioni in via di sviluppo.

Il termine learning society è stato coniato per indicare un cambiamento nel modo di pensare l’istruzione e la sua influenza sul mondo del lavoro avvenuto negli ultimi decenni, ma soprattutto per riferirsi a un aumento delle possibilità di accesso all’istruzione, alla cultura e al sapere per porzioni significative della popolazione mondiale. Secondo Stiglitz e Greenwald la società si evolve in base all’aumento della capacità di apprendimento e dunque va riconosciuto il ruolo della conoscenza come bene comune. In particolare, nelle tesi dei due economisti americani si riconosce che le innovazioni tecnologiche possono contribuire a rafforzare la società dell’apprendimento e a estendere i suoi effetti su una parte sempre maggiore del genere umano.

Certamente molte innovazioni nel secolo scorso hanno aumentato la distribuzione di informazioni e conoscenze tra gli individui. Tra queste va considerata, prima fra tutte, Internet e i suoi tantissimi canali e servizi digitali che distribuiscono contenuti e informazioni senza pausa in ogni luogo del mondo. Tuttavia, nonostante le giuste considerazioni dei due economisti americani, non sempre le innovazioni vengono usate utilmente per aumentare le conoscenze e la cultura dei cittadini e per il bene comune.

Ridurre il divario culturale e conoscitivo tra le persone e aiutare tutti i Paesi (soprattutto quelli svantaggiati) a migliorare il patrimonio delle loro conoscenze e competenze sono obiettivi centrali per la crescita e il progresso nel nostro pianeta. Tutte le azioni che vengono realizzate in questa direzione costituiscono un enorme valore per migliorare la qualità della vita delle persone e soprattutto per aiutare i cittadini sfavoriti e i paesi poveri. In questa direzione le tecnologie digitali sono elementi strategici e molto importanti per poter realizzare la società dell’apprendimento richiamata da Stiglitz e Greenwald. Tuttavia, molti usi che oggi vengono esercitati delle tecnologie digitali vanno in altre direzioni e contribuiscono ad aumentare l’ignoranza e la disinformazione delle persone, peggiorando le loro conoscenze invece di migliorarle.

Questi usi diseducativi e disinformativi sono in buona parte frutto della logica del profitto che sta dominando l’uso di Internet e dei suoi tanti strumenti e servizi, oggi utilizzati in gran parte per costruire imperi digitali che catturano l’attenzione di miliardi di persone e veicolano contenuti in grande misura strumentali alla pubblicizzazione e alla vendita di prodotti e servizi e non al miglioramento civile e culturale delle persone. A questo bisogna aggiungere anche la scarsa conoscenza e poca attenzione delle persone nell’uso dei sistemi digitali.

Tutto ciò costituisce per tanti cittadini e tante realtà nel mondo una sorta di privazione delle grandi opportunità che le innovazioni tecnologiche offrono e che invece gli esseri umani sembrano non saper o voler sfruttare per migliorare le loro condizioni di vita e il loro sapere, elementi questi ultimi che sono tra loro strettamente legati. Stiamo vivendo un’epoca nella quale le informazioni, le esperienze e le conoscenze possono essere facilmente condivise su scala globale quasi istantaneamente. Eppure, questa grande possibilità non viene sfruttata da tante persone per migliorare le proprie condizioni di vita e da tanti governi per sostenere l’istruzione dei cittadini. Molte sono le persone al mondo che dall’uso della Rete e dei sistemi digitali non sanno trarre benefici e troppo spesso ne fanno usi scorretti e dannosi per sé e per gli altri.

In un saggio apparso nel 1956, il filosofo tedesco Günther Anders ha usato il termine “analfabetismo postletterario” per descrivere l’inondazione globale di immagini che riguardava già allora gli individui esposti alle trasmissioni televisive, ai film, alle illustrazioni dei giornali e dei rotocalchi. Anders criticava un modello comunicativo che in quegli anni si stava affermando e “imbottiva gli occhi” delle persone secondo una sorta di ‘iconomania’, con il pericolo, che lui segnalava, di generare una sorta di istupidimento generalizzato e una perdita di reale informazione e di effettivo sapere necessari a vivere meglio.

Queste e altre erano le considerazioni che intorno alla metà del secolo scorso, Günther Anders ha elaborato nel saggio “L’uomo è antiquato” (vol. I, Bollati Boringhieri, 2018). Considerazioni che oggi sono ancor di più valide ed attuali e possono essere utili per spiegare l’uso che gli esseri umani fanno dei sistemi informatici e dei contenuti digitali che inondano quotidianamente le nostre vite di immagini, video, reel, streaming di film, selfie, meme e altre forme di informazione digitale che invece di contribuire a costruire una “learning society” stanno erigendo una “società del disapprendimento” o addirittura una “società della neoignoranza” che sembra non essere in grado di sfruttare utilmente la potenza della Rete e dei sistemi digitali che frequentiamo in maniera intensiva e che sono strumenti formidabili se usati efficacemente per migliorare la vita e la cultura dei popoli.

Nel suo saggio Anders definiva il cosiddetto “dislivello prometeico” che, a suo parere, aveva ormai reso l’uomo antiquato. Questo dislivello, tra il moderno Prometeo in carne e ossa e gli apparati che egli costruisce, nel tempo tende ad aumentare e consiste, secondo il filosofo tedesco, nell’incapacità umana di seguire la velocità delle innovazioni e l’offerta di continue soluzioni, miglioramenti e perfezionamenti dei prodotti della tecnica. Consiste nell’impossibilità umana di stare al passo con i prodotti artificiali che l’uomo stesso è in grado di creare. È un dislivello che deriva da quella che Anders chiama “vergogna prometeica” che esprime un senso di non adeguatezza e la posizione di svantaggio del nostro essere nei confronti delle macchine delle quali siamo noi stessi i progettisti, i realizzatori e gli utilizzatori. Nel libro Anders scrive: «intendo con ciò la “vergogna che si prova di fronte all’umiliante altezza della qualità degli oggetti fatti da noi stessi”».

Sono quei prodotti meccanici, automatici, artificiali che l’essere umano produce sempre più nuovi ed efficienti, a superarlo nelle sue funzioni e nelle sue capacità, facendo sì che egli si senta e, nei fatti, diventi ‘antiquato’. Anders segnala anche che le macchine, oltre ad essere efficienti sono anche ripetibili, standardizzate, riproducibili in tante copie. Per questa ragione, questi dispositivi possiedono il vantaggio di una sorta di eternità che all’essere umano è negata, nonostante egli la ricerchi in ogni modo.

Il larghissimo uso di computer, smartphone, software, robot, apps e all’enorme diffusione di Internet, hanno confermato le teorie di Anders. In particolare, i recenti sviluppi dei sistemi di intelligenza artificiale riportano fortemente all’attenzione di tutti gli insegnamenti di Günther Anders e confermano ulteriormente le sue intuizioni di molti decenni fa. Si tratta di sistemi artificiali che, come qualcuno ha fatto notare, non sono intelligenti come noi umani; tuttavia, sono capaci di fare scelte che agli umani richiedono intelligenza per compierle. In più, questi sistemi le fanno molto più velocemente di noi e in maniera instancabile.

Siamo in un tempo in cui le macchine stesse sanno costruire altre macchine, sanno migliorarle, sono capaci di replicare sé stesse, di connettersi tra esse per collaborare e per imparare da altre macchine. Così, mentre noi esseri umani possiamo testimoniare il nostro “dislivello prometeico” rispetto a questi congegni raffinati e potenti, ci accorgiamo che il loro impiego a servizio della società dell’apprendimento, auspicata da Stiglitz e Greenwald, sia ancora molto lontano da una piena realizzazione, seppure sia fortemente auspicabile per aiutare il progresso e poter limitare e superare le tante disuguaglianze tra i cittadini e gli enormi divari tra i Paesi sviluppati e i Paesi poveri del mondo.