Economia

Nel 2021 il Pil della Russia è cresciuto del 4,7%

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Le sanzioni economiche occidentali contro Mosca fanno presagire che, se la guerra non si dovesse risolvere a breve, la Russia potrebbe tornare a una crisi economica più simile a quella degli anni ’90 che a quella dovuta al Covid (che peraltro in termini di PIL ha superato meglio di Italia e resto d’Eurppa).

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Il tasso di occupazione è al 70%, il Pil pro capite è di 30mila dollari

La recessione che interesserà Mosca in seguito alle sanzioni per l’attacco all’Ucraina potrebbe essere ancora più dura di quella che ha colpito il Paese nel 2020 a causa della pandemia. In quella occasione il Pil della Russia si è contratto del 2,8%, in fondo molto meno di quanto ha fatto quello italiano e di gran parte degli Stati europei. Le ritorsioni economiche occidentali che stanno venendo decise contro Mosca, tuttavia, fanno presagire che se la guerra non si dovesse risolvere a breve la Russia potrebbe tornare a una crisi economica più simile a quella degli anni ’90 che a quella dovuta al Covid. 

L’economia della Russia è davvero in crisi?

L’embargo verso gran parte degli scambi commerciali (esclusi per ora quelli riguardanti l’energia), e soprattutto l’esclusione dal sistema Swift di una serie di banche (ancora non si ha l’elenco ufficiale), il blocco delle transazioni da e per la Banca centrale russa e il congelamento delle riserve valutarie all’estero sono mosse senza precedenti almeno tra Paesi del G20. Rischiano di annullare una parte dei progressi fatti dalla Russia in campo economico dal 1999 in poi, ovvero dall’anno in cui si poteva definire terminata la terribile decade seguita alla caduta del Muro di Berlino e alla dissoluzione dell’Urss.

L’andamento del Pil della Russia negli anni

Come si può vedere nella nostra infografica, i primi anni ’90 sono stati caratterizzati da un crollo del Pil della Russia. Nel 1994, per esempio, la recessione fu del 12,7%. Le enormi industrie di Stato, inefficienti e incapaci di competere nel mercato globale, private della domanda del grande apparato militare dell’Urss, si dissolvevano o si rimpicciolivano finendo nelle mani di alcuni oligarchi e tagliando milioni di posti di lavoro. La piena occupazione non era più assicurata con la fine del sistema socialista.

La fine del socialismo e la disoccupazione in Russia

Le peggiorate condizioni di vita della popolazione non lasciavano spazio alla nascita di una vera società dei consumi. Nel 1997 il rublo fu svalutato e vi fu un parziale default del debito. Questo terremoto economico ne determinò anche uno politico, da cui emerse più forte una figura fino ad allora semi-sconosciuta, quella di Vladimir Putin, nominato in quell’occasione direttore del Fsb, il servizio segreto erede del Kgb.

Il boom economico russo degli anni 2000

La ripresa del 1999 fu robusta, del 6,4%, e a essa seguì negli anni successivi un vero e proprio boom. Il periodo delle prime presidenze di Putin fu caratterizzato da tassi di crescita molto elevati. Nel 2000 il Pil della Russia si espanse del 10%, e in seguito aumentò quasi sempre di più del 5%, almeno fino alla crisi finanziaria del 2008/09.

Molti fattori erano alla base di questo miracolo economico: la svalutazione del rublo che aveva reso competitivi i prodotti russi, le riforme liberiste che avevano trasformato la tassa sui redditi in una flat tax al 13%, e soprattutto la crescita dei prezzi delle materie prime, che per la Russia erano e sono la principale voce di export.

Perché il Pil della Russia cresceva del 5% l’anno

Il risultato fu l’entrata di diritto del Paese nel novero delle potenze emergenti, come la Cina, l’India, il Brasile, il Sudafrica, con cui formò quel gruppo celebre per qualche tempo come Brics. Paesi in realtà molto diversi tra loro, ma accomunati dalle grandi dimensioni e da una crescita accelerata che stava spostando il baricentro dell’economia mondiale dal Nord America e dall’Europa verso altri continenti.

Tra il 1998 e il 2008 secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, il Pil della Russia quasi raddoppiò, se misurato in rubli. A livello di Pil pro capite, se misurato invece in PPP (Purchase Parity Power – Parità di potere d’acquisto), che considera anche i diversi livelli dei prezzi nei vari Paesi, questo passò dagli 8.588,12 del 1998 ai 21.700 del 2008. Si trattava pur sempre di circa 15mila dollari in meno rispetto all’Italia, ma il miglioramento delle condizioni di vita dei russi era evidente.

Dal 2014 rallenta la crescita del Pil della Russia

La crisi finanziaria globale seguita al fallimento di Lehman Brothers ebbe un impatto anche sulla Russia, il cui Pil nel 2009 subì un calo del 7,8%, ma questo fu seguito da una buona ripresa, con tassi di crescita superiori al 4%. Una svolta si ebbe, invece dal 2014. In quell’anno l’annessione della Crimea scatenò le prime sanzioni occidentali, che, seppure non pesanti, indussero i mercati e molti russi stessi a perdere fiducia sul futuro dell’economia russa. Questo provocò una costante svalutazione del rublo, a dispetto del surplus commerciale, e una fuga di capitali, che è proseguita anche negli anni successivi, fino ad oggi.

Nel 2014 la crescita fu solo del 0,7%, mentre nel 2015 vi fu una recessione del 2%, e in seguito non si sono più toccati quegli aumenti che avevano caratterizzato il periodo precedente. L’anno migliore, tra gli ultimi, è stato il 2018, quando il Pil della Russia si è espanso del 2,8%.

Il rimbalzo del Pil della Russia del 2021

Il rimbalzo del 2021 ha consentito, poi, di fare risalire l’economia russa oltre i livelli pre-Covid, soprattutto grazie al fatto che il virus non era riuscito a deprimere più di tanto un sistema basato soprattutto sulla vendita di gas e petrolio, più che sui consumi della popolazione. Consumi che comunque non erano stati depressi da restrizioni che Mosca aveva mantenuto piuttosto blande.

Per il futuro il Fmi prevedeva poche settimane fa una crescita superiore al 2%, del 2,8% nel 2022 e del 2,1% nel 2023. Pronostici che a questo punto sono destinati a rimanere sulla carta.

Il tasso di occupazione in Russia è del 70%

Nel 2021 il Pil pro capite in Russia è arrivato oltre i 30mila dollari, sempre calcolato in PPP, ma il dato che forse descrive meglio, seppure non in modo esauriente, le condizioni della popolazione è il tasso di occupazione. Si tratta della percentuale di quanti tra i 15 e i 64 anni lavorano. Nel Paese di Putin nel 2020 erano il 70%. Per avere un termine di paragone si tratta di molto più del 58,1% italiano, ma meno del 76,2% tedesco.

Naturalmente vi sono ampie differenze: in molti casi si tratta di lavoro agricolo, mal pagato, mentre in altri settori primari come le miniere si guadagna anche molto bene. Possiamo comunque affermare che i senza lavoro in Russia siano meno che nel nostro Paese. Nel corso del tempo, come si vede nella nostra infografica, sono diminuiti, sulla scia dell’incremento del tasso di occupazione.

Nel 1998 questo era al 58,3%, su livelli italiani, e negli anni del boom crebbe di circa 10 punti. Successivamente l’aumento è stato molto più lento, con qualche battuta di arresto, ma dal 2016 è stata superata la soglia del 70%

La popolazione aumentata dopo il boom degli anni 2000

Tra gli effetti della crisi della Russia uscita dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica vi era, negli anni ’90, il calo della popolazione. Era causato dal peggioramento delle condizioni di vita che provocava un crollo del tasso di fertilità e una mortalità molto più alta, soprattutto tra gli uomini. La speranza di vita maschile era scesa sotto i 58 anni intorno al 1994.

Il numero dei russi, come risultato di anni di minori nascite e di un numero inferiore di donne in età fertile è sceso di circa 5,8 milioni tra il 1992 e il 2008, da poco meno di 148,5 a 142,7 milioni. Da allora è ricominciato da un aumento della popolazione, spinto, però, più dall’immigrazione che da un aumento delle nascite. Queste ultime, fatta eccezione per il 2013, 2014 e 2015, sono rimaste sempre meno delle morti.

L’arrivo di lavoratori dall’Asia Centrale e di russi che dalle ex repubbliche sovietiche si spostavano verso la Madrepatria ha riportato gli abitanti a quota 146,8 milioni nel 2017, volendo considerare la Crimea come parte della Russia, come fa l’Ufficio di Statistica del Paese ma non la comunità internazionale.

Nel 2021, causa del Covid, record di decessi

Il Covid, però, ha dato un durissimo colpo alla demografia del Paese. Nel 2021 la differenza tra nati e morti ha superato per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale la cifra di un milione, e la popolazione è scesa a 145,4 milioni.

Anche il numero di figli per donna ha ricominciato a scendere, verso 1,5 (era arrivato oltre 1,7). Inoltre queste statistiche sono medie e riassumono realtà molto diverse. A crescere sono quasi solo i russi di etnia diversa da quella maggioritaria, ovvero i ceceni, i tatari, i siberiani, che hanno tassi di fertilità molto più alti. In gran parte delle regioni europee, quelle dove il Pil della Russia si forma, le nascite avvengono a ritmi italiani.

Che sia stata la prospettiva di un declino demografico, prodromo di quello economico, a essere una delle cause delle mosse di Vladimir Putin?

I dati si riferiscono al 1993-2021

Fonte: Fmi, Istituto Russo di Statistica