Italia Digitale

Minions4Italy. La strana storia raccontata da Riccardo Luna

di Andrea Lisi, Presidente di ANORC Professioni e Segretario Generale di ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti) |

In tanti crediamo ancora che la strada della digitalizzazione debba essere meno stupefacente da raccontare ma più concreta da sviluppare, giorno per giorno

Rubrica controcorrente sul digitale in Italia a cura di Andrea Lisi, Presidente  di ANORC Professioni e Segretario Generale di ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti), Segretario Generale AIFAG (Associazione Italiana Firma elettronica avanzata biometrica e Grafometrica) e Coordinatore del Digital & Law Department dello Studio Legale Lisi. È Docente presso la Document Management Academy e la MIS Academy della SDA Bocconi e Direttore del Master Universitario Unitelma Sapienza: I professionisti della digitalizzazione documentale e della privacy. E’ inoltre il fondatore del movimento Italian Digital Minions che conta attualmente un gruppo Facebook di oltre 3000 aderenti. Per leggere tutti gli articoli clicca qui.

 

 

 

Noi siamo principi liberi e abbiamo altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto coloro che hanno cento navi in mare” (Samuel Bellamy)

 

L’associazione nazionale “Italian Digital Champions” ha posto fine in questi giorni alla sua esistenza giuridica dopo appena un anno di controversa (e a mio parere inutile) attività. Mi sarei aspettato un minimo di coraggiosa autocritica da parte di chi l’ha fondata e continua tuttora a rivestire un importante ruolo istituzionale, quello di Digital Champion nazionale.

Avrei voluto, per una volta, sentirmi rappresentato da lui in modo “inclusivo” e magari poter decidere coraggiosamente di chiudere questa rubrica – o meglio cambiarle nome in “Sostenitori di Luna per l’Italia”, o qualcosa del genere – vedendo i segnali di una vera svolta utile per il nostro Paese.

Pur con l’ironia che caratterizza lo spirito di questa rubrica (speculare a quella del movimento surreale degli “Italian Digital Minions”), speravo davvero di leggere in questi giorni qualcosa di nuovo, in cui potessi riconoscermi, perché l’Italia merita un cambiamento e trovarsi ancora e da così tanto tempo in una palude digitale non fa star bene nessuno.

Ovviamente il nostro Digital Champion nazionale non è responsabile della situazione stagnante in cui versiamo, ma da lui, che ricopre questo delicato ruolo, ci aspettavamo qualcosa di più o quanto meno di diverso.

E provo a spiegarvi il perché partendo da una discutibile intervista a Riccardo Luna nella quale le domande dell’ottimo Giacomo Dotta sono state di gran lunga più interessanti rispetto alle risposte fornite.

Nell’intervista, il nostro Digital Champion nazionale continua, come se nulla fosse, a osannare il lavoro fatto, imbastendo un inconcludente storytelling privo di qualunque spunto autocritico sull’avventura dell’associazione appena sciolta e sui risultati raggiunti.

Se vogliamo davvero ricominciare in modo diverso, non possiamo non partire da un dato di fatto oggettivo: l’ambigua associazione da lui fondata, quella degli Italian Digital Champions, è stata fatta chiudere dopo un anno di attività piuttosto modeste e di scarsissimi risultati pratici, come diverse autorevoli voci hanno ribadito efficacemente. Forse la sua narrazione si sarebbe dovuta impostare, allora, su toni un po’ meno autocelebrativi.

Si legge nell’intervista che la “Rai ha già un campione digitale in ogni redazione, le scuole ne hanno uno per istituto (ottomila!), seguiranno i musei (quattromila), e forse le fabbriche.

Le fabbriche?

Forse per fabbriche si intendono le aziende IT?

Di cosa stiamo parlando?

“A volte frequentando i social siamo portati a pensare che l’importanza di un gruppetto su Facebook sia analoga a quella dell’opinione pubblica in genere. E invece è come se in un bar, in un unico bar di una grande metropoli, ci fossero dei detrattatori”. Detrattatori?

Sembra di stare in una tragedia di Euripide!

E poi Luna sembra dimenticare che quel bar a cui fa riferimento (strano modo questo di definire quella che è, in verità, un’ampia community) raccoglie più avventori degli abitanti dell’intera “metropoli” da lui governata (e in molti casi anche soggetti più esperti e preparati in materia digitale).

Di quale Italia stiamo parlando, allora?

Nella narrazione dell’epica avventura dei DC qualcosa sembrerebbe essersi inceppato, i racconti iniziano a non convincere e i concetti sono così ripetitivi, fumosi e inverosimili da far sorridere amaramente.

Nell’intervista Luna insiste ancora su questo concetto, sostenendo che le critiche ai Digital Champions sarebbero “circoscritte ad un piccolissimo, rispettabile peraltro, gruppetto di persone che mi critica su qualunque cosa”.

Un gruppetto (quello degli “Italian Digital Minions”, immaginiamo… ma guai a citarli!) che su Facebook è arrivato a raccogliere in pochi mesi più di 2.300 iscritti (tra i quali professionisti, parlamentari, giornalisti, tutti interessati alle tematiche digitali), che è nato in una sorta di spontaneo meccanismo di “autodifesa dalla fuffa” contro le tante storielle incredibili che hanno caratterizzato il dibattito sull’Agenda Digitale in Italia in questo mirabolante anno d’oro dei Digital Champions.

Riccardo Luna prosegue: “l’evoluzione dei Digital Champions in una community aperta di campioni digitali ha generato entusiasmo e curiosità. In poche ore abbiamo registrato più di 500 richieste di iscrizione al gruppo su Facebook che nel frattempo avevamo aperto [ndr. in realtà il gruppo è aperto da più di un annetto]. Ed è solo l’inizio”, e alla fine della sua intervista si rivolge all’innominabile gruppetto Minions: “Ora vogliamo finalmente uscire dal bar e guardare avanti tutti assieme?”.

Ancora una volta la narrazione di Luna è confusa e inverosimile, quasi spiace dovergli ricordare che i Campioni Digitali su Facebook oggi sono un esiguo “gruppetto” di 1039 iscritti e che degli 8.000 Digital Champions promessi (uno per ogni Comune italiano) non se ne vede neppure l’ombra.

Riccardo ci promette che il bello arriverà (un giorno e prima o poi, dobbiamo solo aspettare un attimo).

Certo è un po’ poco come risultato, se si riflette sui mezzi che l’avventura DC aveva a disposizione per diffondere il verbo digitale: i canali RAI, una rete di blogger compiacenti e un bel po’ di budget messo sul piatto da Telecom Italia.

A questo pensiero non si può non storcere il naso.

Fuori dai social, nella realtà, questi sono i numeri dei Digital Champions riportati da Luna nell’intervista: “Siamo arrivati a 1800 con circa 8000 domande in attesa di essere esaminate. Un successo incredibile che testimonia della grande generosità di tante persone nel mettersi in gioco per gli altri gratuitamente”.

In verità da ciò che si legge sul sito www.digitalchampions.it, prematuramente in pensione, si è raggiunto il risicato numero di 1.584 volontari: da un “consigliere all’economia digitale” di Renzi (come egli si è improvvidamente definito nell’intervista) ci si sarebbe aspettata una maggiore precisione nel riportare dei dati.

Inoltre qualche dubbio sorge anche circa queste 8.000 domande – sicuramente saranno pervenute alla sua attenzione, ma chi può contraddirlo del resto? – e l’incomprensibile metodo utilizzato per cooptare i volontari del digitale.

Queste 8.000 persone, che avrebbero inoltrato speranzose la domanda per avere subito una medaglietta da DC, adesso che faranno?

Prima di avviare questa ciclopica opera di selezione non si sarebbe dovuto programmarla con attenzione e organizzarla in modo praticabile?

Non si può fare a meno di pensare che tutta l’iniziativa relativa alla nascita e alla chiusura dell’associazione sia stata portata avanti con semplicismo e faciloneria.

Nell’intervista inoltre non si registra neppure un vago tentativo di rispondere in merito all’inopportunità di alcune cifre che si ricavano dai conti open di Asset Camera, dai quali si evince che un bel po’ di denaro è stato investito nelle iniziative portate avanti dall’associazione (dalla Maker Faire all’Italian Digital Day, e così via).

Ma insistere nella critica a questo punto sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

Credo, invece, che sia davvero il momento di voltare pagina.

In tanti crediamo ancora che la strada della digitalizzazione debba essere meno stupefacente da raccontare ma più concreta da sviluppare, giorno per giorno, in modo serio e puntando sulla qualità.

Per farlo occorre partire prima di tutto dall’attenta osservazione della realtà che ci riguarda, una realtà digitale difficile, contraddittoria, controversa, che va guardata in faccia, non trasformata in una rosea favola.

A questo punto però meritiamo di sapere se il Digital Champion nazionale d’ora in avanti sarà ancora un cantastorie, un affabulatore a cui Renzi ha dato l’incarico di raccontarci che va tutto bene in barba all’evidente realtà, oppure se vorrà con coraggio prendere atto della situazione italiana e mettersi di traverso a certe politiche sul digitale che fanno acqua da tutte le parti, aiutandoci a fare dei progressi reali.

Del resto il suo incarico non è retribuito, e ciò gli dovrebbe permettere di essere più libero, critico e slegato dalle logiche del dipendente che deve rispondere delle sue azioni al datore di lavoro.

Ovviamente per ripartire non basta cambiare nome (da digital champions a campioni digitali!) e inseguire gli “Italian Digital Minions” fondando un altro movimento d’opinione “inclusivo”, giocando a chi raccoglie più numeri di iscrizione.

Sarebbe una barzelletta.

Oggi Riccardo Luna, come se nulla fosse, chiede “inclusività” a tutti.

Ma per poter chiedere “inclusività” sarebbe necessario prima di tutto riconoscere quali sbagli sono stati fatti e dare avvio a un nuovo inizio, non andare avanti in modo velatamente spocchioso ed elitario, come è stato fatto fino ad oggi.

Siamo stanchi di attendere risposta alle 12 domande poste mesi fa: la chiusura dell’associazione dei DC per un qualsiasi avvocato è un comportamento concludente e, quindi, un’ammissione di colpa.

Va bene così, riconosciamolo e andiamo avanti.

Questo estremo, ostinato tentativo di stravolgere la realtà affabulando, trasformando gli insuccessi in successi, i pochi in molti, la banalità in eroismo rischia di tradursi in una tragicomica scenetta che non dà nuovo slancio all’innovazione del nostro Paese.

Speriamo che il nostro Digital Champion maturi il coraggio di riconoscere gli errori compiuti nella gestione dell’associazione DC e decida o di dimettersi o (sarebbe meglio) di scendere dal piedistallo in cui finora si è confinato, chiedendo davvero l’aiuto congiunto di tutti – un aiuto che in tanti sono pronti a dare – e ascoltando parimenti le esigenze e le preziose proposte di chi da anni lavora nel settore e costituisce una parte importante, una base solida su cui imperniare le iniziative dell’Agenda Digitale.