La kermesse

Mia 2021: non convince la ricerca Ice sull’export dell’audiovisivo. Stimolante il Rapporto Apa sull’industria nazionale

di |

Il mercato audiovisivo italiano vale poco meno di 10 miliardi di euro, 615 milioni gli investimenti nella fiction “made in Italy”.

La seconda giornata della 7ª edizione del Mercato Internazionale Audiovisivo (Mia) ha proposto due ricerche, entrambe molto attese da parte della comunità professionale (così come dai giornalisti specializzati e dagli appassionati di cinema e tv e video): un tentativo Ice Agenzia di studio del posizionamento dell’Italia sul mercato audiovisivo mondiale, e la terza edizione del “Rapporto sulla Produzione Audiovisiva Nazionale” promosso e curato dall’Apa, l’associazione dei produttori audiovisivi.

Non convince il primo (Ice). Con molti elementi stimolanti, il secondo (Apa).

Una premessa: in un Paese normale, normale sarebbe che iniziative di questo tipo vengano promosse e realizzate direttamente dalle istituzioni preposte, nel caso in ispecie anzitutto il Ministero della Cultura (Mic), e poi il Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), e, ancora, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci). Ma notoriamente l’Italia non è un Paese “normale”, e quindi si assiste talvolta a florilegi di iniziative di studio, estemporanee ed occasionali.

Procediamo con ordine.

Presentazione con tanto di benedizione istituzionale, per quanto riguarda lo “Study on The Audiovisual Industry Results in The International Markets”, commissionato da Ice e realizzato dal Centro Ricerche Economiche e Sociali “Manlio Rossi-Doria” dell’Università Roma Tre, con intervento in presenza della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni del Mic e del Sottosegretario Manlio Di Stefano del Maeci (quest’ultimo con un video preregistrato).

Il breve dibattito che ha anticipato la presentazione ha evidenziato sia la perdurante volontà del Governo di sostenere il marketing internazionale dell’industria culturale e creativa nazionale, ma, al contempo, la perdurante “parcellizzazione” di competenze (per esempio, tra Mic e Maeci), e la totale assenza di un dataset che possa consentire l’impostazione di politiche che siano ben fondate, strategiche ed organiche,

Si è avuto riprova “governa”, ancora una volta, nasometricamente.

In rappresentanza del Direttore Generale Nicola Borrelli, è intervenuta la dirigente n° 2 della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, Maria Giuseppina Troccoli, che, prima della presentazione, ha manifestato la propria attesa per i risultati dello studio Ice, confidando che esso potesse dimostrare l’efficacia delle politiche ministeriali, messe in atto dal 2017, con l’entrata in vigore della “Legge Franceschini”. Crediamo che Troccoli sarà rimasta delusa, forse anche più di tutti i presenti.

Unico elemento positivo di questo studio: Ice ha ritenuto di proporlo anche in versione su carta, in un fascicoletto ben stampato, sebbene con grafica certamente non granché evoluta.

La ricerca, commissionata da Ice all’Università Roma Tre e specificamente al Centro Studi “Manlio Dossi Doria” (presieduto da Guido Fabiani e diretto da Anna Giunta), è stata presentata da Pasquale Lelio Iapadre, Professore associato di Economia Politica presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione e di Economia dell’Università degli Studi dell’Aquila, accademico che può vantare una discreta quantità di studi sull’Italia nell’economia internazionale, ed una qualche esplorazione del settore audiovisivo.

Lo studio è basato su una serie di fonti, alcune affidabili (l’associazione dei produttori americani, la Motion Picture Association, Mpa) altre meno (l’Osservatorio Audiovisivo Europeo, Oae), ed altre ancora meno (le fonti Wto, Ocse, Eurostat ed Istat, in materia di cultura, non sono valide, perché utilizzano indicatori di base troppo schematici, come i codici Ateco): ne deriva che il “coctkail” che ha prodotto Iapadre è un ibrido di dubbia utilità, inevitabilmente confuso e sostanzialmente inconcludente. Scientificamente fragile.

Può essere utilizzato come base per ulteriori studi? Certamente, ma si tratta veramente di una sorta di… brogliaccio.

La ricerca sull’export audiovisivo italiano è sostanzialmente congelata da molti anni: “no data”

Ed operazioni simili, in passato, ne sono state realizzate: basti pensare al tentativo d’avanguardia promosso dall’Anica ormai oltre dieci anni fa, con lo studio “L’export di cinema italiano”, curato da Francesca Medolago Albani (già Direttrice dell’Ufficio Studi e Strategia dell’Anica e da giugno 2021 Segretario Generale dell’associazione, nonché alla guida della Anica Academy) che proponeva la prima stima mai realizzata in Italia sulla dimensione economica di queste esportazioni. Quella ricerca stimava 26 milioni di euro i ricavi nel triennio 2006-2008.

Purtroppo questo tipo di ricerche non ha mai appassionato il Ministero della Cultura, ed il filone di studio è stato colpevolmente abbandonato.

Chi redige queste noterelle ha ideato, una decina di anni fa, un progetto innovativo, elaborato dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult), nell’economia di una convenzione (che doveva essere) triennale con la Regione Lazio (attraverso la poi discioltasi Fondazione “Roberto Rossellini” per l’Audiovisivo) e l’Università Luiss “Guido Carli” (attraverso la Luiss Business School): il progetto di Osservatorio Internazionale sull’Audiovisivo e la Multimedialità (Oiam-Iamo) è stato presentato nel marzo del 2010. Traccia documentativa dell’iniziativa dell’Osservatorio può essere reperita nell’Archivio Storico Digitale dell’IsICult. L’Osservatorio Internazionale si avvaleva di un Comitato Scientifico di gran livello, ed è anche stato pubblicato anche il n° 1 (in verità un “numero zero”) de “L’Osservatorio”, la testata giornalistica della struttura di ricerca (è stata distribuita in allegato al mensile “Prima Comunicazione”). Tutto il progetto è andato a finire nelle sabbie mobili (la convenzione triennale non ha avuto attuazione, se non in una breve fase iniziale), a causa delle conseguenze dell’anticipata conclusione dell’esperienza della Giunta della Regione Lazio guidata da Piero Marrazzo, allorquando, dopo le sue dimissioni e nuove elezioni, subentrò alla guida della Regione Renata Polverini. Come spesso accade in Italia, il governo che viene “dopo” tende a cestinare, quasi aprioristicamente, quel che ha fatto il governo di “prima”… Una triste vicenda della politica culturale italiana, sintomatica di una delle tante patologie del nostro Paese.

A distanza di oltre 10 anni, lo stato dell’arte delle ricerche sull’esportazione dei prodotti audiovisivi italiani è forse migliorato?

No, si brancola nel buio, con stime basate su fonti prevalentemente inaffidabili.

E, quindi, pur con tutte le migliori intenzioni, in queste oscurità è finito anche lo studio curato dal professor Iapadre.

L’unico studio in materia degno di nota realizzato negli ultimi anni è quello curato da Massimo Scaglione (della “scuola” di Aldo Grasso alla Cattolica di Milano), ovvero “Cinema made in Italy. La circolazione internazionale dell’audiovisivo italiano”, pubblicato un anno fa per i tipi di Carocci (clicca qui per la presentazione dell’8 settembre 2020).

Scrivevamo un anno fa, in materia, su queste colonne: “Purtroppo anche l’accademia italica non affronta di petto la questione: è fresco di stampa un utile saggio curato da Massimo Scaglioni (ordinario alla Cattolica di Milano, ove insegna “Economia e Marketing dei Media”), intitolato “Cinema made in Italy. La circolazione internazionale dell’audiovisivo italiano” (Carocci, 266 pagine, 28 euro), dedicato a queste tematiche in chiave soprattutto economica, ma stranamente senza dedicare attenzione alle dinamiche di fatturato dell’esportazione di immaginario italiano. La ragione è verosimilmente la stessa: deficit, anzi assenza di dataset” (vedi “Key4biz” del 16 ottobre 2020, “Rapporto Apa su Produzione Audiovisiva in Italia: ‘trend positivo’ ma approccio acritico e deficit strategico”).

Dataset deficitari e numerologie fantasiose

Il problema è quello di sempre: assenza di dataset minimamente affidabili.

E per costruire un dataset decente ed affidabile, è indispensabile un approccio di ricerca transdisciplinare ed eterodosso, e soprattutto budget adeguati.

Non è possibile “fare ricerca” seria… con due spiccioli, perché altrimenti il risultato sarà sempre quello delle “nozze coi fichi secchi”, oppure la produzione di numerologie fantasiose.

Cosa ha “aggiunto” lo studio Ice di nuovo (…), rispetto a quel che (non) sappiamo dell’export audiovisivo italiano? Nulla, o quasi.

Arduo trovare, nell’“abstract” dello studio, un qualche dato realmente interessante: certo, impressiona (e deprime) leggere che “la quota di mercato dell’Italia sulla quota di esportazioni di servizi audiovisivi è molto piccola”, ma francamente noi prenderemmo con prudenza anche quel penoso 0,2 % (ovvero 2 per mille) stimato da Iapadre….

Il deficit delle fonti si evidenzia nel paragrafo iniziale del capitolo dedicato al “contesto internazionale”: sostenendo che “il settore audiovisivo rappresenta circa lo 0,6 per cento del Pil dei paesi europei degli Stati Uniti”, ma citando una fonte del… 2014!

A pagina 16 dello studio, viene dichiarato con onestà: “i dati disponibili sugli scambi internazionali di servizi audiovisivi presentano diverse lacune, che non consentono di ricostruire con facilità un quadro preciso delle tendenze complessive e del ruolo dei singoli paesi”. E quindi, perché arrampicarsi sugli specchi di numerologie improbabili?!

A pagina 21 dello studio, emergerebbe che l’Italia potrebbe vantare un export di servizi audiovisivi, nel 2019, di 125 milioni di dollari Usa, a fronte di importazioni per 220 milioni. La fonte è Wto, ma che il dato sia evidentemente fallace emerge osservando che l’export del Belgio sarebbe a quota 582 milioni (!) e quello dell’Ungheria a quota 664 milioni (!!): delle due, l’una: o c’è qualcosa che non va nelle elaborazioni, oppure il livello delle esportazioni audiovisive italiane è veramente… drammatico. Anzi penoso. Propendiamo per la prima ipotesi.

Errori di questo tipo, li abbiamo già segnalati (e denunciati) nelle “valutazioni di impatto” della legge Franceschini, affidate dal Ministero della Cultura all’Università Cattolica del Sacro Cuore ed alla società di consulenza Ptclas spa (vedi “Key4biz” del 10 marzo 2021, “Pubblicata la ‘valutazione d’impatto’ della legge cinema e audiovisivo per il 2019”): nell’ultima relazione, si legge che l’export di prodotti audiovisivi italiani sarebbe di 78 milioni di euro, a fronte  della Polonia con… 562 milioni (!). E ciò basti.

Numeri in libertà, basati su… codici Ateco!

Il Presidente dell’Ice, Carlo Ferro, nella “Prefazione” alla ricerca curata da Iapadre (che non è ancora stata resa disponibile su web), scrive: “mancava uno studio sistematico sul posizionamento delle nostre imprese del settore nei mercati internazionali. A questo Ice-Agenzia ha voluto supplire”. Ahinoi, egregio Presidente: supplenza fallimentare.

L’auspicato “studio sistematico” è ancora nel regno delle belle intenzioni…

3° Rapporto Apa: industria audiovisiva italiana vivace e dalle grandi potenzialità, ma lo Stato deve incrementare il tax credit e non ridurre le risorse della Rai

Tutt’altro discorso, tutt’altra aria, tutt’altra qualità… in occasione della presentazione del 3° “Rapporto Apa”: quest’anno, a differenza del passato, l’associazione dei produttori audiovisivi presieduta da Giancarlo Leone (per decenni top manager della Rai) è riuscita a mettere “assieme” dati ed analisi di fonti differenti, fornendo un “dataset” incompleto ma comunque interessante, su fonti eterogenee ma a partire da alcune elaborazioni sviluppate da una delle società leader in Italia, nella consulenza sull’economia dei media, qual è eMedia, fondata e diretta da Emilio Pucci (le altre fonti sono state l’Osservatorio sulla Fiction Italia – Ofi di Milly Buonanno, Certa, e finanche – ahinoi – Symbola, fonte quest’ultima anch’essa basata sugli incerti… codici Ateco).

In 41 slide (in questo caso, con una bella infografica, leggibile e piacevole da sfogliare), Leone ha presentato una sorta di “summa” dei dati che è possibile acquisire sul mercato audiovisivo italiano: si potrebbe certamente fare di meglio dal punto di vista metodologico, ma complessivamente si tratta di un buon risultato, e di una esplorazione utile.

Come dire?! Una buona base di partenza, sulla quale si potrebbero costruire analisi di scenario e di mercato – anzi “studi sistematici” (per parafrasare il Presidente dell’Ice…) – che sarebbero utili sia alla “mano pubblica” che all’“industria privata”. C’è veramente ancora molto da fare.

Alcuni dei dati essenziali emersi dal “Rapporto Apa”… 615 milioni gli investimenti nella fiction “made in Italy”

Il mercato audiovisivo italiano ha registrato nel 2020 un totale di ricavi di poco inferiore a 10 miliardi di euro, ovvero 9.785 milioni di euro.

La televisione rimane il “medium centrale” nel sistema audiovisivo italiano (ricavi per 7,6 miliardi di euro), ma prosegue e si accentua (anche come conseguenza della pandemia Covid-19), la rapida crescita dell’ambiente “video online” (tra “vod” e “online video advertising”), che nel 2020 vale quasi 2 miliardi di euro. La sala cinematografica è a quota 182 milioni e l’“home video” fisico a quota 103 milioni di euro.

Il valore complessivo della produzione audiovisiva per tutti i generi audiovisivi (film per la sala, fiction, animazione, documentari, e altri generi di flusso oggetto di “commissioning” da parte degli operatori tv e degli operatori “svod” ovvero “subscription video on demand”) si attesta intorno a 1,3 miliardi di euro nel 2020.

La fiction nell’audiovisivo è il genere che genera più investimenti, circa 615 milioni di euro, con un tasso di crescita confermato anche durante la pandemia: +205 milioni di euro fra il 2017 e il 2020 e +135 milioni tra il 2019 e il 2020.

Il valore della produzione di fiction destinata alla tv e alle piattaforme “non lineari” cresce nel 2020 del 28 %. La contribuzione degli operatori “svod” vale quasi il 15% del totale costo di produzione (un valore in crescita di quattro punti dal 2019).

Particolarmente interessante il dato a pagina 10 delle slide della presentazione Apa: su 615 milioni di euro di valore della produzione di fiction (tv e vod), queste le “fonti di contribuzione” nel 2020: 261 milioni di euro (il 42 %) verrebbero da “apporti produttivi italiani ed esteri”, sostanzialmente la stessa cifra dagli “operatori della tv lineare” ovvero 259 % (il 42 %), e 94 milioni dagli “operatori svod” (il 15 %).

Ci sembra sfugga ancora il dato relativo all’effettivo reale investimento di rischio da parte dei produttori, ma la questione deve essere oggetto di approfondimento: comunque, con onestà, Apa scrive che la “crescita della contribuzione dei produttori, è sostenuta dall’incremento del Tax Credit”.

Nella stagione 2020- 2021, l’offerta di fiction italiana corrisponde a 532 ore di “prime visioni”: Rai si conferma leader con il 78 % di prodotti originali; Sky e Mediaset sono al 7 %, Netflix al 4 %, Amazon al 3%, Disney all’1%.

Lo studio curato da Apa merita molta attenzione: torneremo presto ad analizzarlo su queste colonne.

Interessanti anche le tesi “ideologiche” evidenziate da Giancarlo Leone, che interpreta al meglio il ruolo della “lobby” che rappresenta: a fronte di una domanda internazionale crescente (ma, su questo, temiamo che anche Apa abbia gambe fragili: quali le fonti affidabili, in argomento?! Leone ha parlato addirittura di “crescita esponziale”), è necessario che lo Stato incrementi i suoi interventi di sostegno…

Va quindi aumentato il budget assegnato al “tax credit” (di cui, dal report Apa, beneficiano più i produttori televisivo-audiovisivi che quelli specificamente cinematografici) e non si debbono ridurre le risorse economiche del servizio televisivo pubblico (la Rai resta di fatto il principale finanziatore dell’industria audiovisiva italiana).

Ha sostenuto Leone: “ci appelliamo al governo perché il recepimento della direttiva europea sui fornitori di servizi media è stato interpretato erroneamente in Italia, con misure restrittive per la raccolta pubblicitaria del servizio pubblico. Stimiamo in circa 100 milioni l’anno il danno per Rai, che preoccupa i produttori di contenuti culturali, a partire dai produttori audiovisivi e cinematografici, per il possibile impatto negativo sugli investimenti annui nel settore. Per questo, proponiamo la cancellazione della tassa sulla concessione governativa sul canone che consentirebbe di neutralizzare gli effetti della riforma degli affollamenti pubblicitari sulla Rai”.

Secondo Leone, questa tassa (in verità di lontane radici storiche), se eliminata, consentirebbe di “riportare” nelle casse di Viale Mazzini 80 milioni di euro, ovvero una somma “grosso modo” corrispondente a quei 100 milioni di euro che Rai andrebbe a perdere se venissero modificate le quote percentuali dei suoi affollamenti pubblicitari.

Torneremo presto su queste delicate tematiche, che pure abbiamo già affrontato anche su queste colonne (vedi “Key4biz” del 17 settembre 2021, “Netflix, non si sa quanto fattura in Italia ma teme l’incremento degli obblighi di investimento”).

E, ancora, chiede Apa: occorrono “regole di ingaggio tra gli streamers ed i produttori indipendenti per una equa e corretta valorizzazione dei diritti ed una loro limitazione temporale. La legge consente alle associazioni maggiormente rappresentative di trovare accordi con i soggetti rilevanti del mercato: proponiamo un patto tra produttori e piattaforme che sia in grado di interpretare correttamente il cambiamento e la crescita nel rispetto dei diritti e degli investimenti di chi realizza le opere”. Altrimenti “sarà il governo, con la regolamentazione prevista a carico di Mic e Mise, a doversene fare carico”…

Dopo la elegante presentazione dello studio Apa da parte di Leone (che si dimostra anche eccellente conduttore, verrebbe da commentare), c’è stato un dibattito tra tre dei maggiori “player” del sistema: Maria Pia Ammirati (Direttrice della Fiction Rai), Tinny Andreatta (a capo della struttura che produce contenuti di Netflix Italia), e Daniele Cesarano (Direttore della Fiction Rti – Gruppo Mediaset). Dibattito interessante (anche rispetto al ruolo dei “produttori indipendenti”…), che ha fatto emergere il ruolo di “innovatore” – anche nei contenuti – di cui si vanta Netflix, sul quale sarà bene tornare perché merita. Presto, su queste colonne.

Clicca qui, per leggere il “3° Rapporto Apa sulla Produzione Audiovisiva Nazionale”, presentato dall’Associazione Produttori Audiovisivi al Mia – Mercato Internazionale Audiovisivo, Roma, 14 ottobre 2021.

Clicca qui, per leggere il n° 1 de “L’Osservatorio”, testata giornalista dell’Osservatorio Internazionale sull’Audiovisivo e la Multimedialità (Oiam-Iamo), partnership tra IsICult-Luiss Business School-Regione Lazio, marzo 2010.