la prefazione

“Metamorfosi Politica”, analisi e riflessioni sui temi cruciali della XVIII legislatura

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Pubblichiamo la prefazione di Stefania Craxi del libro "Metamorfosi Politica, analisi e riflessioni sui temi cruciali della XVIII legislatura" di Salvatore Di Bartolo, pubblicato da Aracne editore.

Pubblichiamo la prefazione di Stefania Craxi del libro Metamorfosi Politica, analisi e riflessioni sui temi cruciali della XVIII legislatura” di Salvatore Di Bartolo, pubblicato da Aracne editore.

La nostra epoca, al pari di ogni altra, è stata segnata da catastrofi ed emergenze ricorrenti. Solo nell’ultimo quarto di secolo sono innumerevoli le crisi che si sono abbattute sulle nostre società, una condizione che ha assunto un carattere sempre più ricorrente, a tratti strutturale, alla quale la nostra civiltà, diversamente dal passato e grazie al suo progredire, ha saputo per quanto possibile governare. Infatti, tanto le crisi di ordine economico-sociale piuttosto che quelle derivanti da eventi naturali, sembravano poter rientrare, nonostante la loro buona dose di imprevedibilità, in un regime di sostenibilità con una capacità di reazione ed azione, se non proprio di adattamento, che rendeva i suoi effetti quanto meno mitigabili.

L’avvento della pandemia globale ha però stravolto tutto. Ci ha colti impreparati lasciandoci attoniti e smarriti innanzi ad un evento rovinoso che ha messo a nudo la nostra vulnerabilità e debolezza. Il virus, propagandosi da Wuhan, ha investito con una velocità disarmante – propria del tempo della globalizzazione – il nostro mondo, ha mutato i paradigmi del nostro tempo e, cosa ancor più sottovalutata, ha spazzato via in un solo colpo molte delle nostre certezze, alcune delle quali rivelatesi assai fallaci al confronto con la realtà. Nessuno avrebbe immaginato che questa condizione di crisi globale che – retoriche a parte – solo per alcuni versi non conosce differenze geografiche o di censo, assumesse i contorni devastanti che conosciamo. Il Covid-19 si è scontrato con le nostre vite sovvertendone abitudini e stili e mettendo gioco-forza in predicato alcune delle nostre stesse libertà fondamentali, che ha richiesto un bilanciamento tra principi fondamentali non semplice e dall’esito tutt’altro che scontato. Proprio il tema dell’equilibrio tra diritti è un tema non marginale che rappresenta un terreno di riflessione e di discussione su cui abbiamo il dovere di cimentarci con serietà, sottraendo una discussione così essenziale per le sorti delle nostre provate democrazie ai dibatti e alle deleterie logiche del momento che, in un eccesso di diffusa irrazionalità e intransigenza, tendono a svilire e immiserire una controversia tutt’altro che teorica e di grande portata.

Viviamo quindi una nuova dimensione, segnata oltremodo da incertezza e precarietà, con la quale siamo chiamati a confrontarci giorno dopo giorno e che, seppur in forme diverse, è destinata a caratterizzare anche gli anni avvenire. È quindi necessario non solo comprendere in pieno la sfida cui siamo chiamati, reinterpretando in chiave moderna quell’innata attitudine all’adattamento dell’uomo, quanto analizzare con spirito critico ed autocritico quanto accaduto in questi primi anni della seconda decade del terzo millennio. È uno sforzo che non va fatto meramente per individuare colpe e responsabilità, attardandosi su ciò che poteva essere e non è stato, ma una strada obbligata che dobbiamo percorrere con consapevolezza per colmare le lacune che la pandemia ha messo in evidenza, rivendendo il nostro sistema e, segnatamente, il nostro modello di Welfare State.

Ne deriva, ad esempio, la necessità di tutelare nella pratica quotidiana quel diritto alla salute – fortemente in predicato in questi mesi – attraverso parametri non prettamente economici che debbono tenere conto della qualità e dell’efficienza dei servizi.  Al pari, è viva la necessità di attrezzarsi e predisporre un rinnovato approccio al lavoro, più dinamico e flessibile, che tenga conto di un nuovo sistema per sostenere la persona nelle sue transizioni lavorative, immaginando un più efficace strumento di sostegno alla povertà. Tra le grandi questioni si pone poi il tema dell’educazione scolastica e della formazione, i cui effetti pandemici rischiano di avere nel lungo termine, specie sui soggetti più vulnerabili, conseguenze drammatiche. Infatti, la lontananza dai banchi di scuola, sebbene necessaria, rischia di determinare l’aumento del tasso di abbandono scolastico, con ricadute sulle opportunità socio-economiche future dei nostri giovani e il conseguente accrescimento delle disuguaglianze.

La crisi pandemica ci ha posto innanzi a queste necessità non più derogabili e pertanto può rappresentare, nonostante tutto, una grande opportunità per cambiare il corso degli eventi. Non possiamo sottrarci dall’imperativo di dare delle risposte ai tanti problemi che affliggono il nostro Paese in questo tempo incerto, affrontando tematiche troppo spesso dimenticate o messe ai margini della discussione pubblica ma non per questo meno considerevoli di attenzione ed essenziali per i nostri destini. Temi come la scarsa natalità – un dato drammatico -, i servizi per l’infanzia, il soccorso alle famiglie e le diverse questioni relative alla Terza Età, il costo del lavoro e i temi della previdenza unitamente all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro piuttosto che il recupero dei “Neet” sono ormai questioni fondamentali.  È anche e soprattutto dalla capacità che avremo nell’affrontare questi nodi, unitamente ai grandi temi istituzionali, che dipende il nostro futuro. Il futuro di un Paese che ha smesso di correre, che sconta troppi ritardi e tante debolezze, in cui diminuiscono le opportunità e dove l’ascensore sociale è fermo da troppo tempo.

Infatti, nonostante alcune euforie dettate dai dati economici degli ultimi trimestri, la spinta data dal rimbalzo post-pandemico – come evidenziano autorevoli studi – non assicura all’Italia l’avvio di una lunga e fruttuosa stagione di sviluppo, generatore di benessere e di crescita per tutti. Oltre alle incognite pandemiche pesano le debolezze strutturali del nostro sistema produttivo che negli ultimi due decenni ha accumulato ritardi e un ritmo di crescita assolutamente insufficiente e non in linea con quello dei nostri principali partner europei, per non parlare dei principali competitor internazionali. Siamo come Italia in presenza di una sfida che ammette un solo risultato. Una sfida epocale che, soprattutto l’Occidente e la nostra Europa, devono saper affrontare senza perdersi in dogmi e novelle ideologie, buone per i simposi dei benpensanti, per le anime belle, ma del tutto incapaci di rispondere alle esigenze di realtà provate.

Da dover ripartire? Ciascuno di noi può e deve farlo nel suo piccolo e nei propri ambiti per quanto gli compete, non sottraendosi dal compito, talvolta ingrato, di essere quel cambiamento che si vuole, che serve, e dalla necessità di essere parte integrante di una discussione di largo respiro che dobbiamo tutti quanti sostenere con generosità e alimentare con uno sforzo di idee, visioni e competenze. È lo sforzo compiuto in queste pagine da Salvatore Di Bartolo, che ha inteso cimentarsi con questa sua opera in una attività non banale di riflessione e analisi sui temi più pressanti del nostro presente. Salvatore, cui mi legano le comuni origini sanfratellane, è un giovane curioso, figlio di una cultura ricca di storia, fascino e bellezze e di una terra, la Sicilia: patria di uomini straordinari ma al contempo santuario di incredibili contraddizioni, un po’ centro e un po’ periferia, e per questo punto di osservazione privilegiato.

In questo volume si trova la visione di un uomo appassionato, orgoglioso delle sue radici, le sue idee sui cambiamenti intercorsi e le sue speranze per un futuro migliore. Dalla DAD alle questioni di ordine economico e sociale, passando per l’annosa ed irrisolta questione giustizia, Salvatore non si è sottratto dal dovere civile di interessarsi, nella formula a lui più congegnale, delle grandi scelte cui sono state e saranno chiamate le Istituzioni repubblicane, indebolendo quel triste adagio secondo cui i giovani non sono interessati alle vicende pubbliche. Ebbene, forse in questo tempo di rivoluzioni copernicane in cui tutto è messo in discussione, in cui ogni decisione sembra incide in maniera determinante sui prossimi lustri, sono proprio i giovani coloro che dovremmo saper valorizzare e rendere protagonisti di un dibattito che, non di rado, li ha visti assenti e silenti anche per loro responsabilità. Per questo, senza ricadere in un giovanilismo di maniera che nulla porta ed a nulla serve, abbiamo il dovere di coinvolgerli e renderli protagonisti in discorsi e decisioni che li riguardano al pari e più di ogni altro, raccogliendo e interpretando in chiave pratica le loro istanze, le suggestioni, le ansie e le paure con cui affrontano il futuro.

Questo libro aiuta ad esorcizzare la paura del domani, guardando l’incerto con sguardo temerario e sapiente. L’auspicio è che possa rappresentare un seme, tra i tanti, in grado di far germogliare il desiderio di riprendere saldamente in mano i nostri destini.