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Mastodon l’anti Twitter o farà la fine di clubhouse?

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È nato il nuovo anti Twitter? Da qualche settimana si sta assistendo ad una crescita rapida di un nuovo social: Mastodon. Il social network distribuito e senza un'unica proprietà è l'alternativa che qualcuno sta scegliendo dopo i guai di Twitter.

È nato il nuovo anti Twitter? Da qualche settimana si sta assistendo ad una crescita rapida di un nuovo social: Mastodon.

Il social, che ha registrato una nuova impennata di utenti dopo che Twitter è stato acquistato da Elon Musk, ha detto di avere ad oggi circa 4,5 milioni di utenti, 1,3 sarebbero quelli attivi, 70.000 si sarebbero aggiunti il giorno dopo il passaggio di proprietà.

Il fuggi fuggi da Twitter a partire dagli accademici

Secondo quanto riporta Science.org, dopo l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk, anche molti ricercatori e accademici stanno valutando la possibilità di migrare verso nuovi social network come Mastodon:

Negli corso degli anni, Twitter è diventato uno strumento utilizzato da molti scienziati per confrontarsi e dialogare con colleghi, esperti di altri settori, giornalisti e il pubblico in generale.

Lo si è visto soprattutto durante la pandemia di Covid-19, quando i ‘cinguettii’ di ricercatori da tutto il mondo annunciavano importanti scoperte sul virus e favorivano la nascita di nuove collaborazioni scientifiche.

L’arrivo di Musk ha però suscitato perplessità: alcuni utenti accademici temono un aumento della disinformazione (anche per effetto dei licenziamenti che potrebbero ridurre il numero di persone dedicate al contrasto delle fake news), mentre altri sospettano che la libertà di parola tanto sbandierata dal magnate possa tradursi in toni più offensivi e discriminatori sul social network, soprattutto nei confronti di donne e persone di colore. C’è poi chi si dice infastidito dalla possibile introduzione di servizi a pagamento (come per la spunta blu degli account verificati) e sostiene che il social network dovrebbe rimanere completamente gratuito.

Col passare dei giorni sono dunque comparsi in tendenza hashtag come #GoodbyeTwitter e #TwitterMigration, con cui molti ricercatori e alcuni istituti hanno pubblicato i loro nuovi profili Mastodon incoraggiando altri a seguirli sul sito, che ha guadagnato più di 100.000 nuovi utenti in poco tempo. Secondo alcuni osservatori, questo fenomeno potrebbe gettare le basi per una graduale migrazione di massa da un social all’altro, con l’incognita per gli scienziati di dover ricostruire da capo il loro seguito di follower, sempre che il pubblico decida di seguirli su nuove piattaforme.

Cos’è Mastodon e come funziona

Mastodon è un software di microblogging gratuito e open source con un’interfaccia simile a Twitter. È una piattaforma tedesca nata 6 anni fa, senza pubblicità e che vive grazie alle donazioni degli utenti- A idearlo è stato Eugen Rochko, ingegnere informatico tedesco, di origini russe ed ebraiche. Non ci sono restrizioni per quanto riguarda i post, a condizione che il post appropriato corrisponda a condizioni stabilite.

Su Mastodon non si twitta, ma si squitta in 500 caratteri. La prima cosa da fare è visitare il sito ufficiale, scegliere un nome utente e indicare indirizzo di posta elettronica e password. Sulla sinistra è presente il campo di testo per scrivere ciò che si desidera e poco sopra cercare persone e argomenti da seguire. Sono quasi 17.000 gli iscritti alla principale istanza italiana di Mastodon ovvero mastodon.uno. 

Le differenze con Twitter

Anzitutto il numero di utenti. Twitter al momento ha 237 milioni di utenti attivi, 4,5 milioni per Mastodon, come detto. Si somigliano invece esteticamente, per i brevi post che possono essere rilanciati, come i retweet, si possono seguire i profili, ricambiare follow. Il software però è libero, non appartiene a nessuna grande big tech, ed è liberamente consultabile. Non ci sono algoritmi di raccomandazione che individuano le preferenze degli utenti per suggerirgli post o pubblicità. Ci sono anche su Mastodon gli hashtag, con il simbolo del cancelletto, che diventano parole cliccabili e consentono una ricerca specifica grazie all’indicizzazione.

Un social diverso da tutti gli altri a partire dai server

Mastodon fa parte di un Social Network federato composto da molti siti web: il Fediverso. Ciò significa che nessun singolo sito controlla l’intera rete, piuttosto, come la posta elettronica, i volontari e le organizzazioni gestiscono i propri siti indipendenti nei quali gli utenti possono interagire tra loro anche se registrati in siti differenti.

I siti mastodon vengono chiamati “Istanze” e Mastodon.uno è la prima istanza generalista indirizzata ai soli utenti italofoni all’interno del fediverso e rispetta i principi cardine dei social decentralizzati: indipendenti, etici, liberi, gratuiti, senza pubblicità, senza algoritmi che scelgano cosa devi vedere, senza raccolta dati e autogestiti dalla propria community.

Questa istanza italiana è stata creata per dare uno spazio libero di condivisione e discussione a tutti gli utenti di lingua italiana, sebbene i messaggi possano anche essere scritti in altre lingue, questa istanza mastodon è riservata esclusivamente ai soli utenti italofoni. Con oltre 23000 iscritti è il più grande sito mastodon italiano nel fediverso.

Mastodon non viene gestito da una singola azienda che controlla i server (i computer collegati a Internet che lo fanno funzionare), ma da chiunque voglia contribuire all’iniziativa. Ogni server è in sostanza un mondo a sé: ospita uno o più specifici social network (“istanze”), ma non l’intero sistema di Mastodon. Potete pensare a ogni singolo social network come a una regione, mentre a Mastodon come la nazione che le comprende tutte. Per questo l’intero sistema viene spesso definito una “federazione”, proprio per dare l’idea di qualcosa di organizzato con tante parti tra loro distinte, ma che possono comunque comunicare tra loro (salvo i gestori delle singole regioni non decidano diversamente).

Farà la fine di Clubhouse?

Ve lo ricordate Clubhouse? Il social network basato sulle conversazioni a voce che per alcune settimane nel 2021 aveva avuto una discreta popolarità anche in Italia. Adesso invece è in totale declino.

Clubhouse si presentava come un social audio, un’applicazione in cui gli utenti potevano discutere senza mostrarsi in video, organizzando discussioni in tempo reale con amici e sconosciuti.

Per diversi mesi, infatti, l’app rimase disponibile solo su invito, attraendo un pubblico ristretto ed esclusivo di imprenditori, giornalisti e fondatori di startup. Il social ebbe quindi da subito notevole rilevanza mediatica, arrivando, nel maggio del 2020, a essere valutato cento milioni di dollari, nonostante contasse circa 1.500 utenti. Nei mesi successivi, l’applicazione fu resa disponibile a sempre più utenti, arrivando ad avere 600 mila iscritti entro la fine dell’anno: nel gennaio del 2021 la sua valutazione era salita a un miliardo di dollari.

Poi, con il progressivo allentamento delle restrizioni, la diffusione del social network si era fermata drasticamente: nell’aprile del 2021 i download dell’app erano scesi a 900mila, dopo il picco di 9,6 milioni raggiunto a febbraio. Nel frattempo, gli altri social network avevano presentato nuovi prodotti chiaramente ispirati a Clubhouse, come Twitter Spaces, con cui era possibile organizzare stanze direttamente su Twitter, o i “Live Events” inaugurati da LinkedIn. Entro la fine del 2021, anche Facebook e Spotify avevano fatto lo stesso, togliendo a Clubhouse il monopolio degli eventi audio in diretta e mandando così in rovina il social.

Succederà anche a Mastodon? I numeri al momento sono dalla parte del nuovo social, ma, la complessità d’uso lo rende poco “immediato” è di difficile uso per l’utente medio abituato ai vari Facebook e Twitter.

Se non volete un social network in cui Mark Zuckerberg, Elon Musk o un altro CEO miliardario determini cosa potete pubblicare e quali post possano essere visti, Mastodon è una buona alternativa, costruito come una versione più etica di Twitter e al momento è il più grande social network decentralizzato. Durerà? Al momento non possiamo dirlo. Ma almeno è un piccolo passo per far sentire ‘la voce’ ai colossi della Silicon Valley.