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Margine di profitto delle imprese, mai stato così alto

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Dal 2010 in poi, ovvero dall’anno da cui iniziano le serie dell’Istat, non era mai stato realizzato un margine di profitto più elevato del 44,8% di fine 2022 da parte delle aziende italiane.

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Dal 2010 in poi, ovvero dall’anno da cui iniziano le serie dell’Istat, non era mai stato realizzato un margine di profitto più elevato del 44,8% di fine 2022 da parte delle aziende italiane.

Lo certifica l’Istat, che misura il rapporto tra il risultato lordo di gestione e il valore aggiunto nelle società non finanziarie. Si tratta anche di quella definita quota di profitto, che è cresciuta dell’1,9% rispetto al terzo trimestre (luglio-agosto-settembre 2022) e del 3% in più rispetto allo stesso trimestre (ottobre-novembre-dicembre) del 2021. Il precedente record risale al terzo trimestre del 2016 quando questo indicatore aveva raggiunto il 44%.

La competitività delle imprese italiane

È una grandezza che rappresenta piuttosto bene lo stato di salute delle imprese e della loro competitività. Non a caso tra 2012 e 2015, nel periodo della crisi del debito e immediatamente dopo, il margine di profitto si era mantenuto piuttosto basso, quasi sempre sotto il 42%, mentre nel picco dell’emergenza Covid, nel 2020, era sceso al 40,9%, come si vede dalla nostra infografica.  Ed è ovvio che sia così, è la differenza tra quanto viene prodotto, tolti i costi di fattori della produzione, e il valore delle imposte indirette e dei redditi da lavoro dipendente versati.

Il risultato lordo di gestione ha superato i 100 miliardi

In valore assoluto, complice certamente l’inflazione, il risultato lordo di gestione a livello aggregato ha superato per la prima volta i 100 miliardi di ero, arrivano a 105 miliardi e 224 milioni, cioè il 16% in più rispetto a 12 mesi prima. Si tratta di un incremento superiore all’aumento dei prezzi. La crescita del valore aggiunto, che ha raggiunto alla fine del 2022 i 235 miliardi e 23 milioni, è stata invece inferiore, dell’8,4%.

Il prezzo delle materie prime e gli stipendi

Vuol dire che il il valore di ciò che le aziende italiane hanno prodotto è aumentato più dei prezzi delle materie prime e degli altri costi che gli imprenditori hanno dovuto sostenere, che pure hanno subito incrementi, e, soprattutto più del costo del lavoro. Significa, quindi, guardando i dati da un’altra angolazione, che i margini di profitto sono stati realizzati anche per l’andamento molto lento dei salari, che sono cresciuti, sì, ma meno dell’inflazione.

I salari non hanno tenuto il passo di inflazione e ricavi

I dati dell’Istat sono molto espliciti, tra dicembre 2021 e dicembre 2022 le retribuzioni sono salite mediamente solo dell’1,5%. Si tratta, fra l’altro, di una percentuale determinata dall’incremento degli stipendi della Pubblica Amministrazione, cresciute del 2,8%, mentre quelli privati sono aumentati decisamente meno, dell’1,5% nell’industria e solo dello 0,6% nei servizi privati, dove sono impiegati gran parte dei lavoratori.

I dati più recenti, di marzo 2023, confermano la tendenza: la rivalutazione annuale dei salari è stata del 2,2%, ma anche in questo caso a fare la parte del leone sono stati gli statali, che hanno goduto di uno scatto del 4,9%, mentre nei servizi privati è stato solo dello 0,9%.

Il potere d’acquisto delle famiglie e il margine di profitto delle imprese

Non è un caso, del resto, se la stessa Istat mostra come il potere d’acquisto delle famiglie italiane il quarto trimestre dello scorso anno sia diminuito come non aveva mai fatto prima, con la sola eccezione della primavera del 2020, in pieno lockdown. Ha subito un calo del 3,7% e ciò ha fatto in modo che ci fosse un incremento della domanda di solo il 3%, molto meno dell’inflazione. In sostanza gli italiani hanno in parte rinunciato a comprare come prima, in parte attinto ai risparmi, che non sono mai stati così bassi: a non essere speso è ormai solo il 5,3% del reddito disponibile.

Neanche nel 2012, durante la crisi del debito, la propensione al risparmio era scesa sotto il 6,1%, sono ormai lontanissimi i mesi immediatamente dopo la pandemia in cui era in doppia cifra, a causa della forzata rinuncia alla spesa per le restrizioni. Quel “tesoretto” è stato ormai speso tutto.

Continua la crescita degli investimenti

Da quei consumi, così come dai rimanenti incentivi pubblici, molte aziende hanno continuato a beneficiare e trarre risorse per realizzare investimenti, che anche nell’ultimo trimestre del 2022 sono saliti, del 14,1% rispetto agli stessi tre mesi del 2021. In valore assoluto sono arrivati a 57 miliardi e 344 milioni di euro. Anche qui si nota un rallentamento, comunque, gli incrementi precedenti erano stati più sostanziosi,  ma rimangono in doppia cifra, cosa che negli ultimi 10 anni non si era mai verificata.

Quali settori sono andati meglio in generale?

Bene i servizi, soprattutto l’ICT, male l’industria

Gli ultimi tre mesi del 2022 sono stati positivi per i servizi, più che per l’industria. Istat, che riesce a valutare l’andamento del valore aggiunto al netto dell’inflazione, registra un aumento significativo, del 4,2%, del valore aggiunto per i servizi di informazione e comunicazione, nei quali è incluso anche l’ICT.

Questo, però, è l’unico settore in cui la crescita ha superato quella degli altri trimestri dell’anno. Di poco superiore è stata quella delle costruzioni, il cui valore aggiunto ha visto un progresso significativo, del 4,9%, inferiore, però, a quello che si era visto tra 2021 e metà 2022. Bene, +3%, anche le attività immobiliari e commercio, trasporti e alloggio, +3,6%, mentre ha sofferto l’industria in senso stretto, quella manifatturiera, -1,7%.

Incombe, però, il pericolo della riduzione della domanda, in particolare per quei comparti, come alcuni dei servizi, che più dipendono dalla domanda interna invece che dal turismo, dalle esportazioni o dall’andamento degli investimenti. La riduzione del potere d’acquisto delle famiglie e l’esaurimento dei risparmi possono mettere un’ipoteca sui consumi, e di conseguenza, anche sul margine di profitto delle imprese.

Il miglioramento delle prospettive del Pil per il 2023, con una crescita prevista intorno all’1%, assieme al rientro dell’inflazione e dei costi delle materie prime, dovrebbe avere un impatto positivo sull’immediato futuro, soprattutto se sarà in grado di incrementare produttività e salari.

Dati del 2022

Fonte: Istat