La Commissione Europea ha pubblicato oggi la sua valutazione sull’efficacia della Raccomandazione del 2023 relativa alla lotta contro la pirateria online di eventi sportivi e in diretta. Il verdetto, seppur espresso in linguaggio prudente, è inequivocabile: i sistemi dinamici di blocco non hanno ottenuto risultati concreti nel ridurre il fenomeno della pirateria. Lo scrive l’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) in una nota, aggiungendo che le misure messe in campo, a cominciare dalle ingiunzioni dinamiche e dalla cooperazione tra Stati membri e operatori di mercato, hanno portato ad alcuni miglioramenti sul piano procedurale, ma non si è registrato un impatto significativo sul volume complessivo della pirateria.
Secondo la Commissione, le cause del fallimento sono molteplici: lentezze e inefficienze nella gestione delle segnalazioni da parte di alcune categorie di hosting provider, resistenze alla collaborazione da parte di determinati intermediari, e una perdurante richiesta da parte degli utenti di offerte legali più accessibili e capillari.
E l’Italia?
Nel contesto europeo, l’Italia rappresenta una singolarità. Nessun altro Paese ha introdotto un sistema di blocco preventivo tanto centralizzato, automatizzato e con tempistiche così ristrette come quello attivato da AGCOM con la piattaforma Piracy Shield, che impone agli Internet Service Provider nazionali di eseguire il blocco entro 30 minuti dalla segnalazione. Un obbligo gravoso, introdotto senza alcuna forma di compensazione economica, che grava esclusivamente sugli operatori italiani di accesso ad Internet.
Tuttavia, mentre questi operatori sono soggetti a obblighi tecnici stringenti e immediati, altri attori della filiera continuano a restare completamente fuori dal perimetro d’azione: fornitori satellitari, CDN internazionali, gestori di DNS pubblici extra UE, piattaforme OTT, e VPN offshore. Il risultato è una disomogeneità strutturale che vanifica l’efficacia delle misure nazionali, scaricandone gli oneri sugli operatori di accesso italiani, che non hanno alcuna responsabilità né traggono alcun beneficio – anzi – dalla pirateria.
Una battaglia a metà, una guerra già persa?
L’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) ribadisce che la lotta alla pirateria non può essere combattuta solo a valle, sulla rete, lasciando intatto il problema a monte. Se i contenuti sono facilmente piratabili è perché spesso vengono distribuiti con tecnologie di controllo e tracciamento inefficienti, con DRM inadeguati e sistemi di entitlement deboli o del tutto assenti. In questo contesto, è paradossale che si chieda agli ISP di fare da “firewall globale” a costo zero, con il costante rischio di disabilitare indirizzi IP e risorse di rete lecite, in pregiudizio dei diritti dei terzi e degli utenti, mentre chi produce e distribuisce contenuti si rifiuta di investire come sarebbe necessario nella ben più efficacia protezione alla fonte.
Per AIIP è urgente un cambio di rotta. Serve una responsabilizzazione concreta e simmetrica di tutti gli attori della catena, comprese le CDN, che operano ormai come veri e propri operatori di telecomunicazioni pur sottraendosi a ogni obbligo regolatorio. Le posizioni già espresse dall’Associazione in merito alla necessità di una regolazione equilibrata delle CDN, dei provider DNS e dei grandi operatori di contenuti devono essere oggi più che mai rilanciate, anche avvicinando i blocchi quanto più possibile alla fonte della distribuzione illecita. O si costruisce un fronte europeo che coinvolga tutti gli attori, incluse le grandi piattaforme e gli operatori hyperscaler globali, apparentemente resistenti a qualsivoglia tentativo di regolazione effettiva, oppure si continuerà a giocare una partita truccata. Non solo sarà impossibile vincere la battaglia contro la pirateria, ma si rischierà di perdere definitivamente la guerra per una Internet aperta, neutrale e competitiva.


