Geopolitica

L’Occidente nel nuovo ‘disordine globale’

di Francesca Traldi (Segretario Generale Fondazione Magna Charta) |

Il ruolo dell’Occidente e dell’Italia nel ridisegnare l’identità occidentale, alla luce delle sue radici storico-artistiche e del suo potenziale ‘soft power’.

Pubblichiamo di seguito la nota di presentazione del workshop promosso dalla Fondazione Magna Charta e dal Centro Studi Americani che si terrà in occasione della Conferenza Internazionale sulle Relazioni Transatlantiche “Revisiting the West in the new ‘global disorder’”. L’evento si terrà giovedì 4 dicembre ore 9.00 nella Sala Montezemolo, Palazzo Salviati, Centro Alti Studi Difesa (CASD), Piazza della Rovere 83, Roma 

La ricerca intitolata: l’Occidente nel nuovo ‘disordine globale’ (che verrà presentata nel workshop, n.d.e.) intende analizzare, in primo luogo, il ruolo dell’Occidente in uno spazio globale e, in un secondo momento, il ruolo dell’Italia nel ridisegnare l’identità occidentale, alla luce delle sue radici storico-artistiche e del suo potenziale “soft power”.

Alcune domande che emergeranno nel corso del dibattito saranno le seguenti:

I rapporti euro-americani, influenzati dall’andamento dei negoziati per il TTIP, possono essere ripensati in funzione di un rilancio del ruolo del West rispetto al Rest e rispetto ai nuovi scenari globali?  Il pivot to Asia degli USA emarginerà l’Europa? L’Italia, storicamente culla originaria dell’Occidente e ancora oggi massimo depositario delle sue radici storico-artistiche, in che modo potrà avere ancora un ruolo specifico nella ricerca di un ‘nuovo Occidente’? Esiste oggi un soft power italiano? Come definirlo? Come avvalercene per l’attrazione d’investimenti esteri?

L’analisi di scenario, condotta attraverso domande strutturali, vuole offrire a Istituzioni e imprese una chiave di lettura e strumenti di orientamento sulle dinamiche internazionali, con particolare riferimento agli interessi strategici per il nostro sistema politico e produttivo, come l’attrazione d’investimenti esteri.

Globalizzazione” è una parola moderna che riassume un ideale appartenente alla storia stessa dell’umanità. Al desiderio e all’ambizione di unificare il mondo possiamo ricondurre molteplici vicende che hanno segnato il corso dei secoli.

Vi appartengono, solo per citare qualche esempio, i caratteri dell’espansione romana, la propagazione del Cristianesimo, dell’Islam, l’esperimento di unificazione di Carlo Magno, la curiosità per l’ignoto che ha ispirato le grandi esplorazioni, i valori civili propugnati dalla rivoluzione francese, la formazione dei grandi imperi coloniali, l’internazionalismo della lotta di classe preconizzato da Karl Marx. Nella tensione alla globalità che ha ispirato vicende così diverse, c’è forse un’almeno parziale risposta alla domanda essenziale con la quale Leo Tolstoj chiudeva Guerra e Pace, quando si chiedeva “…quale è la forza che muove i popoli?”.

Tuttavia, l’ideale della globalità così connaturato allo spirito dell’uomo si è sempre manifestato attraverso la logica della conquista e del predominio. Conquista politica, economica, religiosa, ideologica. All’indomani della Seconda guerra mondiale, l’orrore per la tragica esperienza vissuta e la minaccia di nuove armi di distruzione di massa hanno contributo all’affermarsi di una logica diversa, quella della cooperazione che ammetteva, negli anni della guerra fredda, i concetti di leadership e di superpotenza.

Gli eventi terroristici dell’11 settembre 2001 e il loro seguito, accelerati dall’economia globale e dalla rivoluzione informatica, che hanno moltiplicato gli accessi all’informazione amplificandone gli effetti su scala planetaria, hanno trasformato radicalmente gli interrogativi sul rapporto fra i vantaggi ed i rischi derivanti dal processo della globalizzazione, sia le regole per governarla.

Le tre direttrici classiche su cui si era fino ad allora principalmente sviluppato il dibattito sulla globalizzazione, quella dell’analisi culturale prima, della riflessione istituzionale e politica, celebrata dalle parole di Giovanni Paolo II e dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan poi, e infine quella dei movimenti “No global”, da Seattle a Genova, fino al forum di Porte Alegre, replica sociale al Forum economico di Davos, non sono state in grado di elaborare una risposta efficace e proporzionata al nuovo fenomeno del terrore globale, in particolare sotto l’aspetto della prevenzione.

Dopo l’11 settembre 2001, gli Stati Uniti si rappresentavano come superpotenza impegnata a combattere l’idra del terrorismo islamico per rimodellare il Medio Oriente, ridisegnando i rapporti tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. Le caratteristiche di globalità e di sopranazionalità dell’11 settembre, sul piano politico e su quello strutturale hanno introdotto nel dibattito l’elemento della sicurezza accanto a quelli classici dell’economia e solidarietà.

La recessione mondiale innescata dalla crisi finanziaria, esplosa nell’agosto 2007 negli Stati Uniti, la cui incidenza è ancora difficile da valutare, ha successivamente accelerato l’evoluzione delle relazioni politiche e commerciali tra gli Stati Uniti e il “resto del mondo” ed in particolare tra gli Stati Uniti e l’Europa.

Dal punto di vista del commercio globale, prima dell’esplosione della bolla speculativa dei mercati finanziari, la tecnologia e la liberalizzazione del commercio multilaterale sembravano promettere maggior benessere, articolazione sociale e mobilità internazionale di beni e persone nelle diverse aree del mondo. Il principio del libero commercio a livello globale fallito in occasione dei negoziati di Doha ha interrotto la liberalizzazione del commercio multilaterale nei prossimi anni, spostando il baricentro dalla multilaterale organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization) agli accordi commerciali preferenziali tra i Paesi (Pta dall’inglese Preferential Trade Agreement).

Dal punto di vista politico e di leadership globale, si sollevano molteplici interrogativi: stiamo assistendo all’inizio della fine dell’Atlantismo tradizionale e all’emergere di una concorrenza “USA contro Cina? Washington e Pechino si lanceranno nella sfida per il titolo di prima potenza mondiale da conquistare o, nella competizione permanente, daranno vita ad un’inedita cooperazione, trasformando il vincolo tra debitore e creditore in alleanza strategica?

L’idea di una cogestione globale Stati Uniti-Cina suggerita dall’amministrazione Obama come via maestra per uscire dalla crisi della finanza USA (G2) è ancora una via percorribile?

Quale spazio avrà l’Europa in questo nuovo scenario geopolitico?

Quale l’Italia?