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L’Italia digitale con i piedi nel cemento. La politica si assuma le sue responsabilità

Raffaele Barberio

Perché l’Italia non diventa digitale? E prima ancora, ma siamo sicuri che l’Italia voglia veramente diventare digitale?

È quello che ha cercato di capire la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul livello di Digitalizzazione e Innovazione delle Pubbliche Amministrazioni, presieduta da Paolo Coppola (PD), i cui risultati sono stati oggetto, la scorsa settimana, di un interessante confronto presieduto dal prof. Donato Limone che si è tenuto presso il CNEL.

L’intervento di apertura del parlamentare del PD, all’evento promosso da Unitelma-Sapienza e SNAD (Scuola Nazionale Amministrazione Digitale), è stato una triste elencazione di occasioni a tutt’oggi mancate, con l’indice puntato su precise circostanze, di cui una più pesante delle altre:

“…Si ha la sensazione – ha specificato l’on. Paolo Coppola – che la digitalizzazione venga percepita come una potente arma contro la corruzione e come tale venga osteggiata da forti settori della stessa dirigenza della Pubblica Amministrazione”.

Inevitabile che uno degli argomenti toccati dal confronto presso il CNEL fosse quello dell’Anagrafe Unica, meglio conosciuta come Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), da tutti considerata come il tassello imprescindibile per l’integrazione dei sistemi informativi pubblici e la semplificazione dei processi amministrativi, il punto di passaggio obbligato per favorire e sostenere il processo di digitalizzazione della PA e pertanto il miglioramento dei servizi a cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni, riducendone i costi. Insomma la “madre di tutte le battaglie”, senza la quale si potranno solo effettuare digitalizzazioni a macchia di leopardo e pertanto del tutto inutili, oltre che dispendiose.

Primo incarico per la realizzazione dell’ANPR a Sogei, possente in-house sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze, responsabile delle operazioni e del disegno unitario.

Un progetto importante che deve coinvolgere gli oltre 8.000 Comuni italiani, ciascuno dei quali dispone di un proprio database che non comunica con gli altri, perché sino ad ora ha prevalso la cultura dei cento campanili e inevitabilmente l’interesse a gestire in proprio gare pubbliche per la distribuzione di risorse indirizzate alla realizzazione di strumenti informatici spesso obsoleti e realizzati una sola volta da società fornitrici che lo hanno venduto tante volte come se fosse un pezzo unico (fatte salve le marginali personalizzazioni eventualmente richieste).

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la incomunicabilità dei sistemi da un Comune all’altro e tra il Comune e gli altri enti pubblici del proprio territorio, con almeno l’1% della popolazione (almeno 600.000 persone) marcato da dati incongruenti da un’amministrazione pubblica all’altra.

Da qui l’esigenza di creare un’unica banca dati nazionale nella quale far confluire i dati anagrafici di tutti i residenti in Italia e degli italiani residenti all’estero (registrati all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero AIRE).

Secondo la legge istitutiva del progetto, la migrazione dei dati da tutti i Comuni italiani alla nuova banca dati unica dell’ANPR avrebbe dovuto completarsi entro la fine del 2016, ma a quella data un solo Comune italiano era entrato in ANPR, quello di Bagnacavallo in provincia di Ravenna (17.000 abitanti).

Le ragioni del ritardo, ora possiamo dirlo, vanno ricondotte anche (e forse in misura determinante) alle resistenze degli apparati degli enti locali, come ampiamente registrato e denunciato nel corso dei lavori della Commissione Parlamentare. Verrebbe voglia di chiedersi quali misure abbia preso di fronte a tali resistenze il Ministero dell’Interno o quali azioni abbia promosso ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani). Le ragioni, si sono sperticati in tanti a dire, dipendono anche dalla scarsa competenza digitale dei dipendenti, dalla scarsa alfabetizzazione ed altre amenità del genere.

Non uno che abbia puntato il dito sulla inequivocabile mancanza di volontà della maggior parte dei dirigenti della PA, sul deficit di decisioni capaci di imporre nuove procedure dall’alto, sull’ atavica manchevolezza della classe politica e delle sue classi dirigenti nell’assumersi ogni responsabilità sui processi di trasformazione di cui dovrebbe detenere inevitabilmente il timone.

Ora la direzione del progetto ANPR è passata (dallo scorso gennaio) sotto la guida del Team per la Trasformazione Digitale guidato dal Commissario Straordinario al Digitale Diego Piacentini.

Il Team dichiara sul suo sito i 10 Progetti su cui lavora e il primo di essi è proprio l’ANPR.

Nell’ultimo aggiornamento pubblicato il 31 luglio scorso, Il Team parla di 10 Comuni attivi in ANPR, 720 Comuni in fase di pre-subentro e 2.000 Comuni che hanno iniziato a fare test di correttezza. Ad oggi, secondo gli ultimi dati dell’Agid, ci sono 30 Comuni subentrati, 955 in pre-subentro e in totale la popolazione presente in Anpr è di 614mila persone.

Nulla si sa sulle date di presumibile completamento delle operazioni.

La struttura di Piacentini invoca la necessità di “…impegno, molta determinazione ma, soprattutto, la crescita di una comunità di persone che accetti il cambiamento culturale che una nuova visione di progetto aperto comporta”.

E se il cambiamento non viene accettato?

In quel caso Piacentini ci dirà che lui ce l’ha messa tutta ma non è stato supportato dai dipendenti comunali?

Suvvia, cambiamo paradigma, senza ricadere nelle soluzioni all’italienne, in cui la colpa di una mancata realizzazione è sempre degli altri.

Piacentini è Commissario Straordinario del Digitale, ha poteri enormi.

Parla in nome e per conto del Presidente del Consiglio sulle materie di propria competenza.

Può decidere, imporre e sanzionare chi non dovesse eseguire gli ordini.

Si assuma le sue responsabilità e lo faccia presto.

Il suo mandato scadrà tra appena 10 mesi e più che di lasciti esteriori, il suo operato deve lasciare sul campo realizzazioni concrete e processi compiuti.

Da quando è lì avrà capito che ogni operazione avviata, se sospesa e non completata, non vedrà mai la luce.

Ma c’è un altro problema, ben più rilevante.

Proprio nello stesso post, il Team di Piacentini specifica:

“…ANPR da solo non può risolvere il problema del cittadino a cui troppo spesso viene richiesto di fornire gli stessi dati a diverse Amministrazioni Pubbliche (…) ANPR è una piattaforma abilitante che facilita la semplificazione dei processi, e soltanto se le Amministrazioni cambiano questi processi se ne potranno vedere i benefici...”.

Un po’ come dire: noi cercheremo di fare ANPR, ma se non accadrà nulla di nuovo la colpa non sarà nostra, ma dei Comuni che non hanno semplificato i processi.

Ancora una volta la colpa è degli altri.

Per la verità avevamo capito, sin dal momento della sua nomina, che l’incarico di Piacentini comprendesse la semplificazione amministrativa.

Evidentemente ci eravamo sbagliati.

Il suo ruolo si ferma quindi all’allestimento di soluzioni informatiche.

Ecco perché ha fatto un Team di “smanettoni digitali” e non di esperti di semplificazione amministrativa.

Non è un caso se proprio nella descrizione della missione della sua struttura, il Commissario Straordinario Piacentini specifica con chiarezza gli obiettivi:

“…Rendere i servizi pubblici per i cittadini e aziende accessibili nel modo più semplice possibile, innanzitutto tramite dispositivi mobili (approccio “mobile first”), con architetture sicure, scalabili, altamente affidabili e basate su interfacce applicative (API) chiaramente definite…”

Sostanzialmente una ottimizzazione del Front Office: una facilitazione di dialogo tra cittadino e PA.

Ma questo obiettivo non sarà mai reso efficace, come ben sanno gli esperti del settore, se non si semplificano le procedure interne (come ridurre, ad esempio, la produzione di un determinato certificato comunale da 21 passaggi a 3?), obiettivo neanche preso in considerazione da Piacentini.

È vero, si parla di:

“…supportare le pubbliche amministrazioni centrali e locali nel prendere decisioni migliori e il più possibile basate sui dati, grazie all’adozione delle più moderne metodologie di analisi e sintesi dei dati su larga scala, quali Big Data e Machine Learning…”

ma sono affermazioni del tutto prive di significato se applicate ad un’amministrazione Comunale che per produrre quel certificato impiega ancora 21 passaggi anziché 3.

Insomma Piacentini si rivela per quello che è: un uomo di tecnologia messo al posto sbagliato. Ma la tecnologia si compra, è un oggetto di bancarella tecnologica, e si usano gli uomini di tecnologia solo per la scelta, l’acquisto e l’adozione delle soluzioni migliori.

Se possiamo esprimere invece un punto di vista del tutto personale, noi abbiamo invece necessità di capire che fine farà il progetto ANPR di cui Piacentini ha preso la guida.

Egli ha tutti i poteri per imporre marce forzate ai suoi uomini e chiamare alle sue responsabilità funzionali il Ministero dell’Interno come soggetto cui fanno capo gli obiettivi strategici del progetto.

Eserciti questi poteri ora, prima della fine del suo mandato (naturale o anticipato), si assuma egli stesso le prime responsabilità di ciò che guida: eserciti appieno il suo ruolo di Commissario Straordinario sull’intero processo di digitalizzazione del Paese a nome della Presidenza del Consiglio.

Le due componenti sin qui tracciate (le resistenze dei Comuni e le insufficienze dell’azione del Commissario Straordinario Piacentini) sono due facce della stessa medaglia.

Tra qualche mese, come ricordato, Piacentini andrà via e noi ci ritroveremo a resettare nuovamente il campo delle operazioni con grande soddisfazione dei nemici della digitalizzazione, che lavorano perché questi azzeramenti si verifichino ad ogni occasione di soluzioni delle continuità precedenti: una fine di legislatura, la nomina di un Commissario Straordinario o la fine del suo mandato per scadenza naturale o per decisione di chiusura anticipata.

Ma torniamo alla relazione finale della Commissione Parlamentare.

Per capire le ragioni dell’impasse di un progetto che ha preso le mosse nel 2012 (Legge 279 del 18 ottobre) e che da allora ha visto la stipula di 8-9 contratti fra Ministero dell’Interno e Sogei per la realizzazione del sistema (per un valore complessivo di circa 20 milioni di euro anche se non si conosce il dettaglio), bisogna scavare in profondità sul terreno delle volontà politiche e delle responsabilità funzionali

Riproporre ancora oggi, nel 2017 e quasi 2018, che gli ostacoli alla digitalizzazione della PA siano la scarsa competenza del personale, l’esigenza di alfabetizzazione digitale negli uffici, è un grave elemento distorsivo. Mina alla base la comprensione dei problemi e dei nodi che impediscono la modernizzazione digitale del Paese. Non sono questi i problemi ostativi.

La digitalizzazione delle PA è minata, osteggiata e combattuta con baionetta alla mano da un esercito di dirigenti delle PA centrali e locali che in molti casi non vogliono perdere i privilegi (fonte primaria di ogni corruzione) che l’arbitrarietà delle procedure analogiche e cartacee gli garantisce.

Ad essi si affiancano gli interessi della criminalità organizzata, che controlla i territori e pezzi di PA, che finanzia le proprie attività anche attraverso le infiltrazioni nelle gare pubbliche e che non ha alcun interesse a vedere tali pratiche sottoposte a elementi di trasparenza, ottimizzazione, tracciabilità delle operazioni realizzative di ogni assegnazione pubblica. Da questo punto di vista, i Comuni rischiano di essere ostaggio di forze esterne alle amministrazioni locali (quando queste forze non possano contare già su propri rappresentanti nelle amministrazioni o su personale accondiscendente).

Nel capitolo conclusivo dei lavori della Commissione si legge che: “…la scelta di Sogei è stata dettata dal fatto che già aveva sviluppato e gestiva l’anagrafe tributaria e quindi il legislatore ha ritenuto opportuno che potesse sviluppare e gestire anche l’anagrafe della popolazione residente (ANPR n.d.r.), sottovalutando pesantemente la differenza tra i due tipi di anagrafi e i processi a loro collegati…).

La Commissione, non manca poi di segnalare come dalle audizioni sia emerso che: “…i ritardi dovuti all’attesa dei decreti attuativi, l’allungamento dei tempi è stato imputabile anche al tentativo insufficiente di venire incontro alle necessità dei Comuni, portando una strategia di digitalizzazione Top-down in cui la diffusione del software dal centro alla periferia avviene per forza di legge e non perché chi deve adottare la soluzione ne riconosca un beneficio…”.

Ci pare, francamente, una lettura parziale, imprecisa e fuorviante del problema.

Nel corso dell’audizione dello scorso 21 febbraio presso la Commissione Parlamentare, l’allora Amministratore delegato di Sogei, Cristiano Cannarsa, dichiarò che:

“…Dal punto di vista informatico di Sogei, il progetto ANPR è completato e da novembre 2015 è operativo nel Comune di Bagnacavallo. Il collaudo del progetto c’è stato nel 2016, il progetto per noi è operativo…”.

D’altra parte la possibilità di un Comune di entrare nel sistema definitivamente, anche di un solo Comune, indica che il sistema aveva all’epoca già tutte le funzionalità che lo facevano considerare come “tecnicamente” portato a compimento.

Da canto suo Il Commissario Straordinario per il Digitale Diego Piacentini aveva già dichiarato che dal suo punto di vista:

“…il progetto sarà completo solo quando tutti i comuni italiani saranno migrati nel sistema”.

Le ragioni che hanno facilitato l’evasione dei Comuni nei confronti del progetto ANPR?

In primis, gli inevitabili contrasti tra Sogei e Assosoftware, l’associazione dei fornitori di sistemi informatici, che hanno visto nell’ANPR una piattaforma insidiosa di restringimento del loro mercato. E poi, la necessità di attendere ben due Dpcm per rendere operativo il progetto, e nel frattempo il cambio al vertice di Agid (l’esperto Agostino Ragosa, la meteora Alessandra Poggiani e infine il pensoso Antonio Samaritani), struttura che si è rivelata come del tutto inutile, il che ha rallentato tutto, anche se le specifiche tecniche erano pronte già nel 2014.

Ma in corso di audizione Cannarsa, specificò anche che il problema di ANPR e dei suoi ritardi:

“…non è informatico, per progetti strategici come questo serve un sistema legislativo più snello e i Comuni devono rinunciare alle singole anagrafi…”, in nome di un’anagrafe unica che garantisca la certezza dell’identità digitale conditio sine qua non per lo sviluppo di tutti i servizi online della PA

Un ottimo punto di vista: e allora, se il sistema funziona e i Comuni non aderiscono cosa si fa?

Dobbiamo evitare le imposizioni Top-down, come dice il presidente della Commissione Parlamentare Paolo Coppola o dobbiamo evitare che l’idea della moral suasion consenta ai Comuni il fuggi-fuggi dal progetto ANPR?

Vogliamo imporre ai Comuni un cambiamento che indichi loro come risparmiare e ottimizzare le funzioni e le procedure delle anagrafi o vogliamo che la condizione di difficoltà delle casse dei Comuni diventi la foglia di fico dietro cui nascondere l’aspirazione che il modello analogico-cartaceo (che assicura tanta corruzione e tanta opacità sulle assegnazioni di denaro per opere pubbliche) possa continuare a persistere, perché ogni giorno strappato è un giorno guadagnato?

Ecco perché abbiamo bisogno di continuità.

Abbiamo bisogno che le operazioni di digitalizzazione del Paese siano nelle stesse mani fino al compimento delle operazioni, sotto la guida ferma e inamovibile delle sue istituzioni.

Abbiamo bisogno che si ridia ruolo a Sogei, che deve essere considerata come un immenso patrimonio del sistema-Paese, quale è, un soggetto con le mani sicure e lontane dagli interessi dei giganti del web che sperano di mettere le loro mani sui dati di 60 milioni di italiani.

Abbiamo bisogno che il Ministero dell’Interno faccia il suo lavoro di controllore del progetto e di garante non solo delle operazioni tecniche (delle quali deve rispondere Sogei), ma della compiuta applicazione di tutte le fasi esecutive del progetto ANPR, imponendo ai Comuni l’adeguamento per legge.

Ben prima dell’audizione in Commissione Parlamentare di Cannarsa, il Commissario Straordinario al Digitale Diego Piacentini aveva dichiarato nel gennaio scorso, assumendo la guida di ANPR:

“…che il progetto ripartirà da 7 comuni ovvero Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Bari, Palermo...”.

Dopo 11 mesi ancora non abbiamo visto nulla di quanto promesso e tra appena 10 mesi, salvo malaugurati imprevisti di percorso, l’incarico di Diego Piacentini arriverà a scadenza ed egli tornerà alle sue attività di vicepresidente di Amazon, multinazionale del web e numero 1 al mondo sul mercato del Cloud Computing, di cui è incumbent anche sul mercato nazionale.

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