L'analisi

Linee Guida ANAC nel Codice dei Contratti Pubblici e la ‘visione di ritorno’ del d.l. Sblocca Cantieri

di Linda Bertolucci, esperta in anticorruzione e trasparenza |

L’approfondimento del testo di riforma, traguardando le indicazioni fornite dall’ANAC il 17 maggio scorso, necessita di una lettura in chiave sistemica delle novità legislative, dando così spazio a riflessioni critiche sull’attuale quadro legislativo e sui probabili riflessi applicativi. Ecco quali.

Una ricostruzione del percorso “a ostacoli” delle Linee guida ANAC in materia di contratti pubblici: inizialmente accolte con grande interesse con la riforma del Codice dei contratti pubblici, mediante Decreto Legislativo n. 50 del 2016, già in fase di prima applicazione, sono state poi il bersaglio delle più pungenti critiche per poi essere, di recente, coinvolte nel nuovo processo di riforma, avviato dal Decreto Legge Sblocca cantieri. Per analizzare tale ’evoluzione occorre ripartire dalla riforma del 2016, per poi proseguire con le premesse che hanno animato l’attuale stagione di riforme. In tale contesto, tra le direttrici di cambiamento, rileva la presenza di una visione di ritorno che contempla il ricorso al regolamento unico come strumento attuativo e la cancellazione della soft law.

L’approfondimento del testo di riforma, traguardando le indicazioni fornite dall’ANAC il 17 maggio scorso, necessita di una lettura in chiave sistemica delle novità legislative, dando così spazio a riflessioni critiche sull’attuale quadro legislativo e sui probabili riflessi applicativi.

Le linee guida Anac nel decreto legislativo n. 50 del 2016

Le linee guida Anac hanno rappresentato una delle più importanti novità legislative nel processo di riforma del 2016: dirette a sostituire il precedente impianto regolamentare (d.P.R. n. 207/2010, Regolamento di esecuzione ed attuazione del Decreto Legislativo n. 163 del 2006) e geneticamente in controtendenza rispetto alle rigidità tipiche della normazione secondaria, presentavano una struttura flessibile per rispondere efficacemente alle esigenze dettate dal dinamismo del settore degli appalti pubblici. Dall’altra parte, la categoria si mostrava altamente strutturata, composta da provvedimenti tra loro differenti per natura ed effetti. Su tale aspetto, si sono aperte complesse questioni interpretative circa il loro inquadramento nel catalogo delle fonti e la loro natura vincolante.

In tal senso, è intervenuto nel 2016 il Consiglio di Stato che, con un’operazione di catalogazione, ha analizzato gli strumenti previsti dal decreto n. 50 individuandone tre tipologie: linee guida adottate mediante Decreto del Ministero delle infrastrutture e trasporti, linee guida vincolanti e linee guida non vincolanti.

Questo sicuramente rappresenta uno snodo essenziale dell’analisi, grazie al quale sono state fornite preziose indicazioni, fino ad allora assenti, circa la natura e la perimetrazione degli effetti dei provvedimenti attuativi.  

Tuttavia, ciò non è bastato a dissolvere il clima di incertezza che ha caratterizzato, fin dagli albori, il percorso applicativo delle linee guida; alimentato, secondo molti da un’eccessiva complessità e frammentazione del quadro legislativo.  

Un nuovo esecutivo e l’audizione della Corte dei Conti

L’attuale stagione di riforme è stata inaugurata con l’inizio della XVIII legislatura, quando il nuovo esecutivo ha espresso la volontà di rivedere totalmente la normativa contenuta nel Codice dei contratti pubblici.Tale tipo di programmazione, prende le mosse da una analisi in gran parte negativa della normativa, supportata e alimentata da un sentiment pressoché ostile espresso da addetti ai lavori e non.  Il Paese viene descritto, senza mezzi termini, come imbrigliato da “vincoli, lacci e lacciuoli” che rallentano crescita e sviluppo (cit. Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte)

Nelle dichiarazioni pubbliche si è poi dato ampio spazio alla definizione di quelle che sono le principali criticità di sistema: “incertezze interpretative…rigidità generate dal nuovo codice dei contratti pubblici” (cit. Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli) che presentano una forza tale da creare una sorta di immobilismo nel settore degli investimenti e, di conseguenza, anche nel livello occupazionale.

In sostanza, il nuovo processo di riforma è apparso generato da un’idea di “smantellamento normativo”, destinato a travolgere i principali assetti del D. Lgs. n. 50 del 2016.

Si è presentato in linea con tali premesse, il 30 ottobre scorso, l’avvio di un’indagine conoscitiva sull’applicazione del Codice dei contratti pubblici presso l’ottava Commissione del Senato.

Tra le numerose audizioni in Parlamento, circa cinquanta, è doveroso segnalare quella della Corte dei Conti che, nel dare il proprio contributo, ha dato precise indicazioni in merito al sistema attuativo oggi in vigore.

La Corte, a tal fine, ha messo a disposizione del Parlamento le proprie competenze e conoscenze, mediante la pubblicazione di un documento contenente una valutazione sulla normativa vigente.

Già in apertura, il documento ha evidenziato questioni ancora aperte relative al Decreto Legislativo n. 50 del 2016. La Corte, in particolare, ha descritto uno stato di parziale attuazione del Codice, essendo ancora mancanti o non operativi alcuni degli strumenti preposti alla sua implementazione. Ciò ha inciso negativamente sul raggiungimento di alcuni degli obiettivi posti dalla riforma del 2016: miglioramento della qualità del public procurement e della fase dell’esecuzione dei contratti mediante il sistema del rating di impresa.

Dopo questa doverosa premessa, la Corte ha dedicato un intero paragrafo alla spinosa questione circa la natura giuridica dei provvedimenti attuativi.

Nel richiamare la soluzione data dal Consiglio di Stato, la Corte non ha perso l’occasione per dare una precisa valutazione in merito: è apparsa del tutto pacifica la scelta di attribuire la qualifica di “regolamenti ministeriali” ai sensi dell’articolo 17, comma 3, legge n. 400/1988, indipendentemente dal nomen juris, alle linee guida e gli altri decreti ministeriali (es. art. 24, co. 2, relativo ai requisiti di progettisti delle amministrazioni aggiudicatrici) o interministeriali (es. art. 144, co. 5, relativo ai servizi di ristorazione) e quella di “atti amministrativi ordinari” alle linee guida Anac a carattere non vincolante.

Altra storia, invece, per le linee guida Anac a carattere vincolante (es. art. 83, co. 2, in materia di sistemi di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici) e degli altri atti innominativi che presentano lo stesso carattere assimilabili, in ogni caso, ad “altri atti di regolamentazione flessibile” (es. art. 31, co. 5, relativo a requisiti e compiti del R.U.P. per lavori complessi). L’opzione interpretativa percorsa dal Consiglio, che combina la natura giuridica dell’Anac, quale autorità indipendente, con la valenza generale dei provvedimenti in oggetto, non appare del tutto condivisibile da parte della Corte. Oltre a rilevare una contraddizione di fondo nell’attribuire forza vincolante a norme che dovrebbero essere invece caratterizzate dalla moral suasion, per la Corte non risulta essere condivisibile l’adozione, per il mercato dei contratti pubblici, di atti di regolazione tecnica da parte di un Autorità indipendente. Tali ultimi strumenti, infatti, trovano solitamente collocazione in “segmenti di mercato circoscritti, nei quali l’Esecutivo, per mezzo delle società partecipate, conserva un interesse (diretto o indiretto) che ne sconsiglia qualsivoglia intervento normativo”. Esigenza, questa, assente nel comparto dei contratti pubblici.

Le Sezioni Riunite, quindi, una volta descritto l’attuale panorama legislativo, hanno fornito un giudizio negativo, diretto ed inequivocabile, agli strumenti di soft law: “Se, da un lato, i provvedimenti di soft law si caratterizzano per un maggior grado di flessibilità e di capacità di adattamento all’evoluzione delle fattispecie operative, dall’altro lato, rischiano di generare maggiore incertezza sia in termini di dettaglio delle regole, sia in merito alla relativa portata prescrittiva”.

Così la frammentazione normativa, la perdita di sistematicità con il “difetto di un congruo periodo di riflessione e decantazione normativa” comportano inevitabilmente “…il sovrapporsi di regimi transitori, il determinarsi di incertezza applicativa, l’aumento del contenzioso e dei costi amministrativi per le imprese, soprattutto piccole e medie”.

In chiusura, la Corte ha auspicato così il ritorno ad un testo unico che contempli tutte le disposizioni attuative del Codice che assicuri omogeneità e chiarezza della disciplina.

Il ritorno al regolamento unico: il decreto legge “Sblocca Cantieri” n. 32 del 2019

Il 18 aprile scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 32 del 2019 contenente “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici.”

Il documento adottato dal Governo, composto da 30 articoli, prevede una serie di modifiche al decreto n. 50 del 2016 considerate di estrema urgenza, rivolte a velocizzare e “sbloccare” i progetti di lavoro fermi per difficoltà sopravvenute.  Tra i vari interventi di riforma, quello sicuramente degno di nota, è l’adozione di un regolamento unico e la cancellazione delle linee guida Anac dei provvedimenti attuativi emanati dai Ministeri. Il regolamento unico, disciplinato dal nuovo comma 27-octies, dell’ articolo 216 del succitato decreto, si legge, sarà introdotto entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, ai sensi dell’articolo 17 comma 1, lettera a) e b) della legge n. 400 del 1988 “su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni” e conterrà “…disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del presente codice…”. Le linee guida e i decreti, adottati secondo le previgenti disposizioni, rimarranno in vigore sino all’entrata in vigore del regolamento unico succitato. Le aree di intervento, definite dall’articolo 27-octies, in cui il Regolamento si sostituirà agli strumenti attuativi ora vigenti, sono altamente significative e riportate nei seguenti passaggi normativi: art. 24, co. 2 (requisiti che devono possedere i soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria); art. 31, co. 5 (compiti, requisiti, modalità di nomina del RUP); art. 36, co. 7 (contratti sotto soglia); art. 89, co. 11 (requisiti di specializzazione richiesti ai fini dell’ottenimento dell’attestazione di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici); art. 111, co. 1 e co. 2 (modalità e tipologia di atti mediante i quali il direttore dei lavori e direttore dell’esecuzione realizzano la propria attività);  art. 146, co. 4, art. 147, co. 1 e co. 2, art.150, co. 2 (requisiti di qualificazione, modalità di verifica, livelli e contenuti della progettazione e collaudo di beni culturali).  

Criticità e i rilievi dell’ANAC

Già dai primi giorni dalla pubblicazione del Decreto “Sblocca cantieri”, si sono aperte importanti questioni interpretative. Si sta riflettendo, in particolare, sulla costruzione del citato comma 27-octies, dell’articolo 216, in cui si dispone dell’adozione del Regolamento Unico. A differenza di quanto previsto nei precedenti interventi di riforma, il nuovo Codice non individua sistematicamente le materie di intervento, ma prevede l’adozione, in maniera del tutto generica, di un “regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del presente codice” che andrà ad incidere su un numero limitato di materie. Vi sono poi singoli passaggi del Codice che, seppur non rientrando nelle aree di intervento dell’articolo 27-octies, fanno espresso richiamo al Regolamento.

Per fare un esempio, in tema di definizione dei contenuti della progettazione nei tre livelli progettuali, previsto dall’articolo 23, co. 3 del Codice, seppur non contemplato nella scarna costruzione dell’articolo 27-octies, rappresenta un passaggio fondamentale, comunque attratto dalla sfera regolamentare mediante semplice richiamo normativo. La costruzione normativa, in sostanza, manca di quella linearità normativa che ci si aspetta da un così decisivo intervento di riforma.

Ancor più nebulosa la disposizione in merito al “periodo transitorio” dove, nel citato comma 27-octies, si prevede un passaggio applicativo di “fine corsa” legato all’adozione del nuovo regolamento solo per alcune disposizioni citate nel comma succitato, mancando il riferimento di molte altre norme altrettanto essenziali. Per alcune di queste, è prevista una disciplina transitoria specifica: riprendendo l’esempio dell’articolo 23, co. 3, è previsto un richiamo all’articolo 216, co. 4 in cui si dispone l’applicazione delle disposizioni contenute nella parte II, Titolo II, Capo I e relativi allegati sino all’entrata in vigore del Regolamento Unico.

Inoltre, risulta essere assente una disposizione specifica, in merito al potere dell’Anac di predisporre provvedimenti in materia di contratti pubblici ai sensi dell’articolo 213, co. 2 del Codice; questo permette all’ Autorità di continuare a individuare, con la propria regolamentazione, pratiche considerate virtuose.

Si tenga presente, inoltre, come il Decreto Sblocca Cantieri preveda una soppressione parziale delle linee guida ANAC. Le linee guida n. 6, per esempio, previste dall’articolo 80, co. 13, relative all’indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possono considerarsi significative ai fini di esclusione, risultano essere non soggette ad alcuna modifica per effetto del decreto legge.

Se tale impostazione rimanesse, anche a seguito della conversione, potrebbe costituire un motivo di confusione per l’interprete che si troverebbe obbligato a confrontarsi con due sistemi paralleli: uno rappresentato dai provvedimenti attuativi nati dalla precedente riforma e l’altro rappresentato dalle nuove disposizioni inserite nel Codice per effetto della nuova riforma.

Sarà così per gli affidamenti sotto soglia che, disciplinati dall’articolo 36 del decreto n. 50 del 2016, in gran parte rivisto per effetto del decreto legge n. 32, continueranno a essere regolamentati anche dalle Linee guida ANAC n. 4 fino all’approvazione del Regolamento unico.

Si apre così una nuova questione rappresentata dalla necessaria definizione dei termini di dialogo tra le disposizioni che rimarranno in vigore, contenute nelle Linee guida e nei decreti attuativi e quelle innovate per effetto del decreto legge, inserite nel Codice dei contratti pubblici.

A riguardo, l’ANAC ha dato una sua valutazione del Decreto il 17 maggio scorso. In tale occasione, ha espresso non poche perplessità, sottolineando gravi criticità generate dall’introduzione di una normativa forse non adeguatamente matura rispetto all’impianto attuativo precedente.

In particolare, ANAC dichiara, che “il periodo transitorio”, così come previsto nel comma 27-octies, non garantirebbe un lineare percorso applicativo. Al contrario, l’ultrattività delle linee guida comporterebbe una fossilizzazione delle stesse, ponendole in posizione asincronica rispetto alla novella disciplina.

Inoltre, tale tipo di impostazione, non permetterebbe al nostro Paese di rispettare gli impegni assunti a livello comunitario, mediante modifica delle linee guida sulla base dei rilievi mossi nell’ambito delle procedure di infrazione n. 2018/2273 (“Non conformità dell’ordinamento interno rispetto ad alcune disposizioni delle direttive europee in materia di contratti pubblici”) e n. 2017/2090 (“Non conformità dell’art. 77 del decreto legislativo n. 56 del 19 aprile 2017 con la direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”)  

Altra criticità rilevata è l’assenza di una specifica disposizione che contempli l’ipotesi della mancata adozione del Regolamento unico entro i termini previsti. Tale aspetto è di primaria importanza in quanto in mancanza del provvedimento attuativo e di un’apposita regolamentazione che disponga in tal senso, si prefigurerebbe una condizione precaria di riferimenti normativi certi che inciderebbe, negativamente, sul mercato degli appalti pubblici. 

Da qui, l’invito a riflettere attentamente sulla costruzione e sui risvolti applicativi della disciplina, per evitare il parziale stallo applicativo dei provvedimenti Anac e complicare ulteriormente il quadro normativo.

Infine, l’Autorità rileva una certa incoerenza nell’attribuirle, in base all’ articolo 110, il compito di adottare nuove linee guida per la definizione dei requisiti aggiuntivi che deve possedere l’impresa in concordato per poter partecipare a gare d’appalto. Tale scelta, appare in netta contraddizione con la visione di fondo della Riforma che riporta in auge il Regolamento unico quale unico strumento attuativo del Codice; in secondo luogo, non sembra essere assimilabile alle competenze proprie dell’Autorità, essendo disciplina attinente alle procedure concorsuali (r.d. n. 267 del 1942).

Conclusioni e prospettive

Quello che emerge complessivamente, dall’analisi finora esposta, è un intervento di riforma di valore ambiguo che si auspica avrà migliore inquadramento in fase di conversione e al termine del processo di riforma.

Si ricordi, in tal senso, che il disegno di legge, “Delega al Governo per la semplificazione, la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l’integrazione della normativa in materia di contratti pubblici” dal 15 aprile 2019, è passato al Senato con atto n. 1162 ed è in attesa di esame.

Come si legge nella Relazione allegata all’atto, “la delega mira a restituire semplicità e chiarezza di linguaggio…limitando il più possibile nel testo i rinvii alla normativa secondaria”.

Sarà interessante verificare le soluzioni di armonizzazione per i due canali di riforma: “Sblocca cantieri” e “Legge delega”.

Anche perché, è doveroso rilevare, che nel disegno legge delega, al comma 7, articolo 1, trova sostanza, in forma sistemica, un regolamento unico in materia di Contratti Pubblici. Una costruzione, come appena rilevato, volutamente non replicata nel decreto legge n. 32. 

Si può ipotizzare che lo strumento attuativo trovi sostanza e compimento in parallelo alla legge delega. Questo in ragione dei tempi notoriamente dilatati che caratterizzano l’adozione di uno strumento tecnicamente complesso come il DPR.

In conclusione, quindi, è possibile affermare come quella “visione di ritorno”, sostenuta a vari livelli e, caratterizzata da una soluzione normativa concentrica, oggi su carta, innesca, già in prima analisi, dubbi interpretativi.

La mancanza di un chiaro quadro di progettazione e quella di una visione sistemica, costituiscono forse le lacune più importanti e rischiose: in precedenti passaggi di riforma, infatti, si è rilevato come costruzioni normative prive di una chiara definizione legislativa e di una consapevole percezione, circa la genetica interdipendenza dei precetti, abbiano subìto, una volta calate nel panorama legislativo, veri e propri shock applicativi e, di conseguenza, ottenuto livelli pessimi in termini di efficacia. 

Ovviamente tale giudizio non vuole essere risolutivo. Anzi, per un’analisi definitiva, si dovranno attendere i successivi passaggi di riforma che potranno riservare delle sorprese. Si tenga presente, infatti, che rispetto al Disegno di Legge di conversione del Decreto n. 32 sono stati presentati diversi emendamenti che potrebbero, potenzialmente, modificare il testo definitivo. Tra questi, spicca sicuramente quello presentato dalla Lega che contempla la sospensione “sperimentale” per due anni del Codice dei contratti pubblici e l’applicazione della normativa europea. Questo implicherebbe il congelamento di una parte della normativa vigente.

Come è possibile percepire, la discussione istituzionale è aperta a soluzioni anche delle più radicali.

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